II.Ritorno
SALGO
(nello spazio, fuori del tempo)
L’acqua il
vento
La sanità
delle prime cose –
Il lavoro
umano sull’elemento
Liquido –
la natura che conduce
Strati di
rocce su strati – il vento
Che
scherza nella valle – ed ombra del vento
La nuvola
– il lontano ammonimento
Del fiume
nella valle –
E la
rovina del contrafforte – la frana
La vittoria
dell’elemento – il vento
Che
scherza nella valle.
Su la
lunghissima valle che sale in scale
La casetta
di sasso sul faticoso verde:
La bianca
immagine dell’elemento.
La
tellurica melodia della Falterona. Le onde telluriche.
L’ultimo
asterisco della melodia della Falterona s’inselva nelle nuvole. Su la costa
lontana traluce la linea vittoriosa dei giovani abeti, l’avanguardia dei
giganti giovinetti serrati in battaglia, felici nel sole lungo la lunga costa
torrenziale. In fondo, nel frusciar delle nere selve sempre più avanti
accampanti lo scoglio enorme che si ripiega grottesco su sè stesso, pachiderma
a quattro zampe sotto la massa oscura: la Verna. E varco e varco. Campigno:
paese barbarico, fuggente, paese notturno, mistico incubo del caos. Il tuo
abitante porge la notte dell’antico animale umano nei suoi gesti. Nelle tue
mosse montagne l’elemento grottesco profila: un gaglioffo, una grossa puttana
fuggono sotto le nubi in corsa. E le tue rive bianche come le nubi,
triangolari, curve come gonfie vele: paese barbarico, fuggente, paese notturno,
mistico incubo del Caos.
Riposo ora
per l’ultima volta nella solitudine della foresta. Dante la sua poesia di
movimento, mi torna tutta in memoria. O pellegrino, o pellegrini che pensosi
andate! Catrina, bizzarra figlia della montagna barbarica, della conca rocciosa
dei venti, come è dolce il tuo pianto: come è dolce quando tu assistevi alla
scena di dolore della madre, della madre che aveva morto l’ultimo figlio. Una
delle pie donne a lei dintorno, inginocchiata cercava di consolarla: ma lei non
voleva essere consolata, ma lei gettata a terra voleva piangere tutto il suo
pianto. Figura del Ghirlandaio, ultima figlia della poesia toscana che fu, tu
scesa allora dal tuo cavallo tu allora guardavi: tu che nella profluvie ondosa
dei tuoi capelli salivi, salivi con la tua compagnia, come nelle favole
d’antica poesia: e già dimentica dell’amor del poeta.
Monte
Filetto 25 Settembre
Un
usignolo canta tra i rami del noce. Il poggio è troppo bello sul cielo troppo
azzurro. Il fiume canta bene la sua cantilena. E’ un’ora che guardo lo spazio
laggiù e la strada a mezza costa del poggio che vi conduce. Quassù abitano i
falchi. La pioggia leggera d’estate batteva come un ricco accordo sulle foglie
del noce. Ma le foglie dell’acacia albero caro alla notte si piegavano senza
rumore come un’ombra verde. L’azzurro si apre tra questi due alberi. Il noce è
davanti alla finestra della mia stanza. Di notte sembra raccogliere tutta
l’ombra e curvare le cupe foglie canore come una messe di canti sul tronco
rotondo lattiginoso quasi umano: l’acacia sa profilarsi come un chimerico fumo.
Le stelle danzavano sul poggio deserto. Nessuno viene per la strada. Mi piace
dai balconi guardare la campagna deserta abitata da alberi sparsi, anima della
solitudine forgiata di vento. Oggi che il cielo e il paesaggio erano così dolci
dopo la pioggia pensavo alle signorine di Maupassant e di Jammes chine l’ovale
pallido sulla tapezzeria memore e sulle stampe. Il fiume riprende la sua
cantilena. Vado via. Guardo ancora la finestra: la costa è un quadretto d’oro
nello squittire dei falchi.
Presso
Campigno (26 Settembre)
Per
rendere il paesaggio, il paese vergine che il fiume docile a valle solo riempie
del suo rumore di tremiti freschi, non basta la pittura, ci vuole l’acqua,
l’elemento stesso, la melodia docile dell’acqua che si stende tra le forre
all’ampia rovina del suo letto, che dolce come l’antica voce dei venti incalza
verso le valli in curve regali: poi chè essa è qui veramente la regina del paesaggio.
Valdervé è
una costa interamente alpina che scende a tratti a dirupi e getta sull’acqua il
suo piedistallo come la zanna del leone. L’acqua volge con tonfi chiari e
profondi lasciando l’alto scenario pastorale di grandi alberi e colline.
Ecco le rocce,
strati su strati, monumenti di tenacia solitaria che consolano il cuore degli
uomini. E dolce mi è sembrato il mio destino fuggitivo al fascino dei lontani
miraggi di ventura che ancora arridono dai monti azzurri: e a udire il
sussurrare dell’acqua sotto le nude roccie, fresca ancora delle profondità
della terra. Così conosco una musica dolce nel mio ricordo senza ricordarmene
neppure una nota: so che si chiama la partenza o il ritorno: conosco un quadro
perduto tra lo splendore dell’arte fiorentina colla sua parola di dolce
nostalgia: è il figliuol prodigo all’ombra degli alberi della casa paterna.
Letteratura? Non so. Il mio ricordo, l’acqua è così. Dopo gli sfondi spirituali
senza spirito, dopo l’oro crepuscolare, dolce come il canto dell’onnipresente
tenebra è il canto dell’acqua sotto le rocce: così come è dolce l’elemento
nello splendore nero degli occhi delle vergini spagnole: e come le corde delle
chitarre di Spagna..... Ribera, dove vidi le tue danze arieggiate di secchi
accordi? Il tuo satiro aguzzo alla danza dei vittoriosi accordi? E in contro
l’altra tua faccia, il cavaliere della morte, l’altra tua faccia cuore
profondo, cuore danzante, satiro cinto di pampini danzante nella sacra oscenità
di Sileno? Nude scheletriche stampe, sulla rozza parete in un meriggio torrido
fantasmi della pietra....
Ascolto.
Le fontane hanno taciuto nella voce del vento. Dalla roccia cola un filo
d’acqua in un incavo. Il vento allenta e raffrena il morso del lontano dolore.
Ecco son volto. Tra le rocce crepuscolari una forma nera cornuta immobile mi
guarda immobile con occhi d’oro.
Laggiù nel
crepuscolo la pianura di Romagna. O donna sognata, donna adorata, donna forte,
profilo nobilitato di un ricordo di immobilità bizantina, in linee dolci e
potenti testa nobile e mitica dorata dell’enigma delle sfingi: occhi
crepuscolari in paesaggio di torri là sognati sulle rive della guerreggiata
pianura, sulle rive dei fiumi bevuti dalla terra avida là dove si perde il
grido di Francesca: dalla mia fanciullezza una voce liturgica risuonava in
preghiera lenta e commossa: e tu da quel ritmo sacro a me commosso sorgevi, già
inquieto di vaste pianure, di lontani miracolosi destini: risveglia la mia
speranza sull’infinito della pianura o del mare sentendo aleggiare un soffio di
grazia: nobiltà carnale e dorata, profondità dorata degli occhi: guerriera,
amante, mistica, benigna di nobiltà umana antica Romagna.
L’acqua
del mulino corre piana e invisibile nella gora. Rivedo un fanciullo, lo stesso fanciullo,
laggiù steso sull’erba. Sembra dormire. Ripenso alla mia fanciullezza: quanto
tempo è trascorso da quando i bagliori magnetici delle stelle mi dissero per la
prima volta dell’infinità delle morti!...... Il tempo è scorso, si è addensato,
è scorso: così come l’acqua scorre, immobile per quel fanciullo: lasciando
dietro a sè il silenzio, la gora profonda e uguale: conservando il silenzio
come ogni giorno l’ombra...... Quel fanciullo o quella immagine proiettata
dalla mia nostalgia? Così immobile laggiù: come il mio cadavere.
Marradi
(Antica volta. Specchio velato)
Il mattino
arride sulle cime dei monti. In alto sulle cuspidi di un triangolo desolato si
illumina il castello, più alto e più lontano. Venere passa in barroccio
accoccolata per la strada conventuale. Il fiume si snoda per la valle: rotto e
muggente a tratti canta e riposa in larghi specchi d’azzurro: e più veloce
trascorre le mura nere (una cupola rossa ride lontana con il suo leone) e i
campanili si affollano e nel nereggiare inquieto dei tetti al sole una lunga
veranda che ha messo un commento variopinto di archi!
Presso
Marradi (ottobre)
Son
capitato in mezzo a bona gente. La finestra della mia stanza che affronta i
venti: e la...... e il figlio, povero uccellino dai tratti dolci e dall’anima
indecisa, povero uccellino che trascina una gamba rotta, e il vento che batte
alla finestra dall’orizzonte annuvolato i monti lontani ed alti, il rombo
monotono del vento. Lontano è caduta la neve...... La padrona zitta mi rifà il
letto aiutata dalla fanticella. Monotona dolcezza della vita patriarcale.
Fine del
pellegrinaggio.
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