Firenze
Fiorenza
giglio di potenza virgulto primaverile. Le mattine di primavera sull’Arno. La grazia
degli adolescenti (che non è grazia al mondo che vinca tua grazia d’Aprile),
vivo vergine continuo alito, fresco che vivifica i marmi e fa nascere Venere
Botticelliana: I pollini del desiderio gravi da tutte le forme scultoree della
bellezza, l’alto Cielo spirituale, le linee delle colline che vagano, insieme a
la nostalgia acuta di dissolvimento alitata dalle bianche forme della bellezza:
mentre pure nostra è la divinità del sentirsi oltre la musica, nel sogno
abitato di immagini plastiche!
L’Arno qui
ancora ha tremiti freschi: poi lo occupa un silenzio dei più profondi: nel
canale delle colline basse e monotone toccando le piccole città etrusche,
uguale oramai sino alle foci, lasciando i bianchi trofei di Pisa, il duomo
prezioso traversato dalla trave colossale, che chiude nella sua nudità un così
vasto soffio marino. A Signa nel ronzìo musicale e assonnante ricordo quel
profondo silenzio: il silenzio di un’epoca sepolta, di una civiltà sepolta: e
come una fanciulla etrusca possa rattristare il paesaggio...
Nel vico
centrale osterie malfamate, botteghe di rigattieri, bislacchi ottoni disparati.
Un’osteria sempre deserta di giorno mostra la sera dietro la vetrata un
affaccendarsi di figure losche. Grida e richiami beffardi e brutali si spandono
pel vico quando qualche avventore entra. In faccia nel vico breve e stretto c’è
una finestra, unica, ad inferriata, nella parete rossa corrosa di un vecchio
palazzo, dove dietro le sbarre si vedono affacciati dei visi ebeti di
prostitute disfatte a cui il belletto dà un aspetto tragico di pagliacci. Quel
passaggio deserto, fetido di un orinatoio, della muffa dei muri corrosi, ha per
sola prospettiva in fondo l’osteria. I pagliacci ritinti sembrano seguire
curiosamente la vita che si svolge dietro l’invetriata, tra il fumo delle
pastasciutte acide, le risa dei mantenuti dalle femmine e i silenzii improvvisi
che provoca la squadra mobile: Tre minorenni dondolano monotonamente le loro
grazie precoci. Tre tedeschi irsuti sparuti e scalcagnati seggono compostamente
attorno ad un litro. Uno di loro dalla faccia di Cristo è rivestito da una
tunica da prete (!) che tiene raccolta sulle ginocchia. Fumo acre delle
pastasciutte: tinnire di piatti e di bicchieri: risa dei maschi dalle dita
piene di anelli che si lasciano accarezzare dalle femmine, ora che hanno
mangiato. Passano le serve nell’aria acre di fumo gettando un richiamo
musicale: Pastee. In un quadro a bianco e nero una ragazza bruna con una
chitarra mostra i denti e il bianco degli occhi appesa in alto. – Serenata sui
Lungarni. M’investe un soffio stanco dalle colline fiorentine: porta un profumo
di corolle smorte, misto a un odor di lacche e di vernici di pitture antiche,
percettibile appena (Mereskoswki).
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