Dualismo
(Lettera
aperta a Manuelita Etchegarray)
Voi
adorabile creola dagli occhi neri e scintillanti come metallo in fusione, voi
figlia generosa della prateria nutrita di aria vergine voi tornate ad apparirmi
col ricordo lontano: anima dell’oasi dove la mia vita ritrovò un istante il
contatto colle forze del cosmo. Io vi rivedo Manuelita, il piccolo viso armato
dell’ala battagliera del vostro cappello, la piuma di struzzo avvolta e
ondulante eroicamente, i vostri piccoli passi pieni di slancio contenuto sopra
il terreno delle promesse eroiche! Tutta mi siete presente esile e nervosa. La
cipria sparsa come neve sul vostro viso consunto da un fuoco interno, le vostre
vesti di rosa che proclamavano la vostra verginità come un’aurora piena di
promesse! E ancora il magnetismo di quando voi chinaste il capo, voi fiore
meraviglioso di una razza eroica, mi attira non ostante il tempo ancora verso
di voi! Eppure Manuelita sappiatelo se lo potete: io non pensavo, non pensavo a
voi: io mai non ho pensato a voi . Di notte nella piazza deserta, quando nuvole
vaghe correvano verso strane costellazioni, alla triste luce elettrica io
sentivo la mia infinita solitudine. La prateria si alzava come un mare
argentato agli sfondi, e rigetti di quel mare, miseri, uomini feroci, uomini
ignoti chiusi nel loro cupo volere, storie sanguinose subito dimenticate che
rivivevano improvvisamente nella notte, tessevano attorno a me la storia della
città giovine e feroce, conquistatrice implacabile, ardente di un’acre febbre
di denaro e di gioie immediate. Io vi perdevo allora Manuelita, perdonate, tra
la turba delle signorine elastiche dal viso molle inconsciamente feroce, violentemente
eccitante tra le due bande di capelli lisci nell’immobilità delle dee della
razza. Il silenzio era scandito dal trotto monotono di una pattuglia: e allora
il mio anelito infrenabile andava lontano da voi, verso le calme oasi della
sensibilità della vecchia Europa e mi si stringeva con violenza il cuore.
Entravo, ricordo, allora nella biblioteca: io che non potevo Manuelita io che
non sapevo pensare a voi. Le lampade elettriche oscillavano lentamente. Su da
le pagine risuscitava un mondo defunto, sorgevano immagini antiche che
oscillavano lentamente coll’ombra del paralume e sovra il mio capo gravava un
cielo misterioso, gravido di forme vaghe, rotto a tratti da gemiti di
melodramma: larve che si scioglievano mute per rinascere a vita inestinguibile nel
silenzio pieno delle profondità meravigliose del destino. Dei ricordi perduti,
delle immagini si componevano già morte mentre era più profondo il silenzio.
Rivedo ancora Parigi, Place d’Italie, le baracche, i carrozzoni, i magri
cavalieri dell’irreale, dal viso essicato, dagli occhi perforanti di nostalgie
feroci, tutta la grande piazza ardente di un concerto infernale stridente e
irritante. Le bambine dei Bohemiens, i capelli sciolti, gli occhi arditi e
profondi congelati in un languore ambiguo amaro attorno dello stagno liscio e
deserto. E in fine Lei, dimentica, lontana, l’amore, il suo viso di zingara
nell’onda dei suoni e delle luci che si colora di un incanto irreale: e noi in
silenzio attorno allo stagno pieno di chiarori rossastri: e noi ancora stanchi
del sogno vagabondare a caso per quartieri ignoti fino a stenderci stanchi sul
letto di una taverna lontana tra il soffio caldo del vizio noi là
nell’incertezza e nel rimpianto colorando la nostra voluttà di riflessi
irreali!
E così
lontane da voi passavano quelle ore di sogno, ore di profondità mistiche e
sensuali che scioglievano in tenerezze i grumi più acri del dolore, ore di
felicità completa che aboliva il tempo e il mondo intero, lungo sorso alle
sorgenti dell’Oblio! E vi rivedevo Manuelita poi: che vigilavate pallida e
lontana: voi anima semplice chiusa nelle vostre semplici armi.
So
Manuelita: voi cercavate la grande rivale. So: la cercavate nei miei occhi
stanchi che mai non vi appresero nulla. Ma ora se lo potete sappiate: io dovevo
restare fedele al mio destino: era un’anima inquieta quella di cui mi ricordavo
sempre quando uscivo a sedermi sulle panchine della piazza deserta sotto le
nubi in corsa. Essa era per cui solo il sogno mi era dolce. Essa era per cui io
dimenticavo il vostro piccolo corpo convulso nella stretta del guanciale, il
vostro piccolo corpo pericoloso tutto adorabile di snellezza e di forza. E pure
vi giuro Manuelita io vi amavo e vi amo e vi amerò sempre di più di qualunque
altra donna........ dei due mondi.
|