Pampa
Quiere
Usted Mate? uno spagnolo mi profferse a bassa voce, quasi a non turbare il
profondo silenzio della Pampa. – Le tende si allungavano a pochi passi da dove
noi seduti in circolo in silenzio guardavamo a tratti furtivamente le strane
costellazioni che doravano l’ignoto della prateria notturna. – Un mistero
grandioso e veemente ci faceva fluire con refrigerio di fresca vena profonda il
nostro sangue nelle vene: – che noi assaporavamo con voluttà misteriosa – come
nella coppa del silenzio purissimo e stellato.
Quiere
Usted Mate? Ricevetti il vaso e succhiai la calda bevanda.
Gettato sull’erba
vergine, in faccia alle strane costellazioni io mi andavo abbandonando tutto ai
misteriosi giuochi dei loro arabeschi, cullato deliziosamente dai rumori
attutiti del bivacco. I miei pensieri fluttuavano: si susseguivano i miei
ricordi: che deliziosamente sembravano sommergersi per riapparire a tratti
lucidamente trasumanati in distanza, come per un’eco profonda e misteriosa,
dentro l’infinita maestà della natura. Lentamente gradatamente io assurgevo
all’illusione universale: dalle profondità del mio essere e della terra io
ribattevo per le vie del cielo il cammino avventuroso degli uomini verso la
felicità a traverso i secoli. Le idee brillavano della più pura luce stellare.
Drammi meravigliosi, i più meravigliosi dell’anima umana palpitavano e si rispondevano
a traverso le costellazioni. Una stella fluente in corsa magnifica segnava in
linea gloriosa la fine di un corso di storia. Sgravata la bilancia del tempo
sembrava risollevarsi lentamente oscillando: – per un meraviglioso attimo
immutabilmente nel tempo e nello spazio alternandosi i destini eterni. . . .
Un disco
livido spettrale spuntò all’orizzonte lontano profumato irraggiando riflessi
gelidi d’acciaio sopra la prateria. Il teschio che si levava lentamente era
l’insegna formidabile di un esercito che lanciava torme di cavalieri colle
lancie in resta, acutissime lucenti: gli indiani morti e vivi si lanciavano
alla riconquista del loro dominio di libertà in lancio fulmineo. Le erbe
piegavano in gemito leggero al vento del loro passaggio. La commozione del
silenzio intenso era prodigiosa.
Che cosa
fuggiva sulla mia testa? Fuggivano le nuvole e le stelle, fuggivano: mentre che
dalla Pampa nera scossa che sfuggiva a ratti nella selvaggia nera corsa del
vento ora più forte ora più fievole ora come un lontano fragore ferreo: a
tratti alla malinconia più profonda dell’errante un richiamo:... dalle criniere
dell’erbe scosse come alla malinconia più profonda dell’eterno errante per la
Pampa riscossa come un richiamo che fuggiva lugubre.
Ero sul
treno in corsa: disteso sul vagone sulla mia testa fuggivano le stelle e i
soffi del deserto in un fragore ferreo: incontro le ondulazioni come di dorsi
di belve in agguato: selvaggia, nera, corsa dai venti la Pampa che mi correva
incontro per prendermi nel suo mistero: che la corsa penetrava, penetrava con
la velocità di un cataclisma: dove un atomo lottava nel turbine assordante nel
lugubre fracasso della corrente irresistibile.
Dov’ero?
Io ero in piedi: Io ero in piedi: sulla pampa nella corsa dei venti, in piedi
sulla pampa che mi volava incontro: per prendermi nel suo mistero! Un nuovo
sole mi avrebbe salutato al mattino! Io correvo tra le tribù indiane? Od era la
morte? Od era la vita? E mai, mi parve che mai quel treno non avrebbe dovuto
arrestarsi: nel mentre che il rumore lugubre delle ferramenta ne commentava
incomprensibilmente il destino. Poi la stanchezza nel gelo della notte, la
calma. Lo stendersi sul piatto di ferro, il concentrarsi nelle strane
costellazioni fuggenti tra lievi veli argentei: e tutta la mia vita tanto
simile a quella corsa cieca fantastica infrenabile che mi tornava alla mente in
flutti amari e veementi. La luna illuminava ora tutta la Pampa deserta e uguale
in un silenzio profondo. Solo a tratti nuvole scherzanti un po’ colla luna,
ombre improvvise correnti per la prateria e ancora una chiarità immensa e
strana nel gran silenzio.
La luce
delle stelle ora impassibili era più misteriosa sulla terra infinitamente
deserta: una più vasta patria il destino ci aveva dato: un più dolce calor
naturale era nel mistero della terra selvaggia e buona. Ora assopito io seguivo
degli echi di un’emozione meravigliosa, echi di vibrazioni sempre più lontane:
fin che pure cogli echi l’emozione meravigliosa si spense. E allora fu che nel
mio intorpidimento finale io sentii con delizia l’uomo nuovo nascere: l’uomo
nascere riconciliato colla natura ineffabilmente dolce e terribile:
deliziosamente e orgogliosamente succhi vitali nascere alle profondità
dell’essere: fluire dalle profondità della terra: il cielo come la terra in
alto, misterioso, puro, deserto dall’ombra, infinito. Mi ero alzato. Sotto le
stelle impassibili, sulla terra infinitamente deserta e misteriosa, dalla sua
tenda l’uomo libero tendeva le braccia al cielo infinito non deturpato dall’ombra
di Nessun Dio.
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