Crepuscolo mediterraneo
Crepuscolo
mediterraneo perpetuato di voci che nella sera si esaltano, di lampade che si accendono,
chi t’inscenò nel cielo più vasta più ardente del sole notturna estate
mediterranea? Chi può dirsi felice che non vide le tue piazze felici, i vichi
dove ancora in alto battaglia glorioso il lungo giorno in fantasmi d’oro, nel
mentre a l’ombra dei lampioni verdi nell’arabesco di marmo un mito si cova che
torce le braccia di marmo verso i tuoi dorati fantasmi, notturna estate
mediterranea? Chi pò dirsi felice che non vide le tue piazze felici? E le tue
vie tortuose di palazzi e palazzi marini e dove il mito si cova? Mentre dalle
volte un altro mito si cova che illumina solitaria limpida cubica la lampada
colossale a spigoli verdi? Ed ecco che sul tuo porto fumoso di antenne, ecco
che sul tuo porto fumoso di molli cordami dorati, per le tue vie mi appaiono in
grave incesso giovani forme, di già presaghe al cuore di una bellezza immortale
appaiono rilevando al passo un lato della persona gloriosa, del puro viso ove
l’occhio rideva nel tenero agile ovale. Suonavano le chitarre all’incesso della
dea. Profumi varii gravavano l’aria, l’accordo delle chitarre si addolciva da
un vico ambiguo nell’armonioso clamore della via che ripida calava al mare. Le
insegne rosse delle botteghe promettevano vini d’oriente dal profondo splendore
opalino mentre a me trepidante la vita passava avanti nelle immortali forme
serene. E l’amaro, l’acuto, balbettìo del mare subito spento all’angolo di una
via: spento, apparso e subito spento! Il Dio d’oro del crepuscolo bacia le
grandi figure sbiadite sui muri degli alti palazzi, le grandi figure che
anelano a lui come a un più antico ricordo di gloria e di gioia. Un bizzarro
palazzo settecentesco sporge all’angolo di una via, signorile e fatuo, fatuo
della sua antica nobiltà mediterranea. Ai piccoli balconi i sostegni di marmo si
attorcono in se stessi con bizzarria. La grande finestra verde chiude nel
segreto delle imposte la capricciosa speculatrice, la tiranna agile bruno
rosata, e la via barocca vive di una duplice vita: in alto nei trofei di gesso
di una chiesa gli angioli paffuti e bianchi sciolgono la loro pompa
convenzionale mentre che sulla via le perfide fanciulle brune mediterranee,
brunite d’ombra e di luce, si bisbigliano all’orecchio al riparo delle ali
teatrali e pare fuggano cacciate verso qualche inferno in quell’esplosione di
gioia barocca: mentre tutto tutto si annega nel dolce rumore dell’ali sbattute
degli angioli che riempie la via.
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