Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Pietro Aretino Il Marescalco IntraText CT - Lettura del testo |
|
|
PROLOGO SE non che io ho riguardo a quella nobile gentilezza, la quale vi ha fatto degnare di venire a ornare ed a onorare questo luogo con le vostre divine presenze, sì come orna ed onora il mondo con le sue divine magnificenze il grande IPPOLITO DE' MEDICI, per Dio a fe', per questa Croce, che io adesso, mo mo, or ora, in questo punto, mi asconderei in uno et cetera, acciocché i miei compagni non m'avessero istasera a la loro Commedia a onorare il gran CARDINAL DI LORENO. E la cagione è, che i bufoli hanno data la cura del Prologo e dell'Argomento ad un goffo, ad un bue, ad un moccicone, che non gli basta l'animo di venirvi a dire come il magnanimo Duca di Mantova, esempio di bontà e di liberalità del nostro pessimo secolo, avendo un Marescalco ritroso con le donne, come gli usurai con lo spendere, gli ordina una burla, per via de la quale gli fa tor moglie con nome di quattro mila scudi di dota, e strascinatolo in casa del gentilissimo Conte Nicola, albergo di vertù e rifugio de i vertuosi, sposa per forza un fanciullo, che da fanciulla era vestito. E scopertosi lo inganno, il valente uomo ne ha più allegrezza nel trovarlo maschio, che non ebbe dolore credendolo femina. Ora se si pecca mortalmente a non dare un cavallo a quel venerabile castrone, che non ha paura d'essere un cujum pecus, e teme di favellare nel cospetto vostro, ditelo voi; anzi lo meriterebbero gli stregoni, volli dire istrioni, che gli diedero cotal carico. E sappiate, Signori, che non era error niuno a far che trasformato in ogni persona io solo v'appresentassi tutto quello che i miei sozi tutti insieme vi reciteranno; e che sia il vero, che io vaglia più di loro, udite me, ed uditi poi essi, giudicate de' nostri meriti. Se io avessi a farvi l'argomento (o serviziale, che lo chiami il Petrarca) non è speziale, né spedale, che io non facessi parere una bestia. Io me ne verrei via togato e laureato (caso che il lauro non fosse sì occupato intorno a le osterie, che non mi potesse servire) e mostrando gravità nel passeggiare, maestà ne l'arrestarsi e probità nel guardare, direi: Spettatori, snello ama unquanco, e per mezzo di scaltro a sé sottragge quinci e quindi uopo, in guisa che a le aurette estive gode de lo amore di invoglia, facendo restìo sovente, che su le fresche erbette al suono de' liquidi cristalli cantava l'oro, le perle e l'ostro di colei che lo ancide. Se io fossi, una Ruffiana, con riverenza parlando, io mi vestirei di bigio, e discinta e scalza con due candele in mano, masticando paternostri, ed infilzando avemarie, dopo l'avere fiutate tutte le chiese, spierei che 'l Messere non fosse in casa, e comparsa a la porta di Madonna, la percoterei pian piano, ed impetrato udienza, prima che io venissi al quia, le conterei i miei affanni, i miei digiuni e le mie orazioni, e poi con mille novellette rallegratola, le entrerei ne le sue bellezze, che tutte gongolano ne l'udir lodare i loro begli occhi, le lor belle mani, e la lor gentile aria; e facendo meraviglie del riso, de la favella, de la rossezza de le labbra, e de la candidezza de' denti, sguainato fuori una esclamazione direi: o Madonna, tutte le belle d'Italia non sarebber degne di scalzare un pelo a le vostre ciglia; e tosto che io l'avessi vinta con le arme de le sue lodi, sospirando le direi: la vostra grazia ha mal concio il più leggiadro giovane, il più vago ed il più ricco di questa città; ed in tempo le pianterei una letterina in mano, e non mi mancherebbono scuse, cogliendomici il suo marito. E forse li saprei dire altro che lino da filare e uova da covare. Caso che io fossi Madonna schifa il poco, che facea della ciriegia due bocconi e di quella cosa una; tosto che la sopradetta Ruffiana mi ponesse la lettera in mano, la guarderei prima a questa foggia, et in cotal modo, e poi dandole d'una vecchia poltrona nel capo, le direi con le dita in su gli occhi: io, io, ti paio di quelle, an? incanta nebbia, beve bambini, caccia diavoli; e squarciata e calpesta la carta, la sospignerei giù per la scala, e appena toltomela dinanzi, ripigliati i pezzi di essa e ricongiuntogli insieme, ed inteso il tenor suo, m'apprenderei al partito che pigliano le savie; e che la imbasciata mi fosse stata cara, non a la maniera riferita dall'apportatrice, ne farei segno a lo amante del balcone, sorridendo così, e inchinandomegli così, e così vezzeggiando con la testa in cotal guisa, e con la bocca acconcia così stringerei le labbra alquanto, e dopo le aprirei con certi sospiretti troppo ben tratti dal core con finzione, ed avendo le lagrime e le risa a mia posta, torrei la volta a qual puttana si sia. E con tale arte farei lavorare il martello di sorte, che chi m'amasse mi trarria dietro la roba con maggior furia, che non mi trasse il core; e non è dottore in Maremma sì scaltrito, che sapesse così saviamente riparare ad uno scandolo, come riparerìa io col mio marito, caso che l'amico mi fosse trovato in casa. Come farei io bene uno assassinato d'Amore; non è Spagnuolo, né Napolitano, che mi vincesse di copia di sospiri, d'abbondanza di lagrime e di cerimonia di parole; e tutto pieno di lussuriosi taglietti verrei in campo col paggio dietromi vestito de' colori donatimi da la Diva, e ad ogni passo mi farei forbire le scarpe di terzio pelo, e squassando il pennacchio, con voce sommessa, aggirandomi intorno a le sue mura, biscanterei: Ogni loco mi attrista ove io non veggio Farei fare madrigali in sua laude, e dal Tromboncino componervi suso i canti, e ne la berretta porterei una impresa, ove fosse uno amo, un delfino ed un core, che disciferato vuol dire: amo del fino core. Chi saria quel pazzo, che ha paura che la moglie non gli sia rubata da le mosche e da le zanzare, che sapesse fare un geloso meglio di me? Io suggellerei fino al destro, acciocché gli amanti non venissero profumati per entrovia a farmi diventare un Cornucopia. Né balli, né feste, né commedie, né nozze mi ci coglierieno, né gioveriano supplicazioni d'amici, né di parenti; perché balli, feste, commedie, e nozze furono trovate da lo Dio Cupido, per consultare il luogo ed il tempo del voi m'intendete. Dio ve 'l dica, come lo contraffarei uno avaro, un pidocchioso ed un misero. In persona e manu propria adacquerei il vino, e pesarei il pane, e misurerei le minestre, e con le tanaglie non mi si trarria un soldo de le mani, e litigherei due ore un quattrino nel comprare tre libbre di carne, le quali farei trinciare sì sottili, che dieci persone ne trionferebbono, e farei meco cinque o sei diete prima che io pagassi il salario al famiglio. Un milite glorioso lascisi imitare a questo fusto. Io mi attraverserei la berretta a questa foggia, mi sospenderei la spada al fianco a la bestiale, e lasciando cader giuso le calzette, moverei il passo come si muove al suono del tamburo, cioè così; e col guardo fiero mirerei la gente in torto, e lisciandomi la barba con la mano, trista quella pietra che mi toccasse il piede, ed il primo, che mi attraversasse la strada, lo taglierei nel mezzo, ed appiccandolo al contrario, lo manderei pel mondo come un miracolo. Ah intemerata madre di grazia, ahi benedetto Dio, ahi ciel stradiotto, levami dinanzi quello specchio, ché la mia ombra mi fa paura: a mi, an? Vegniamo al parasito. O come lo farei io di galantaria! caso che il padrone frappasse meco, ogni cosa gli farei buono, e se egli mi dicesse: sono io bello? gli risponderei: bellissimo; son io valente? valentissimo; son io liberale? liberalissimo; non ho io dieci turchi in stalla sì; non ho io vestimenti di broccato, d'oro e d'argento? non ho io cento mila ducati in cassa? così è; non muoiono di me tutte le belle? tutte; non godo io d'una gentildonna? signor sì; il Re non mi ama? vi adora; lo Imperadore non mi diede mille fanti? diede; non canto io soavemente? cantate; come suono io? come Messer Marco da la Aquila; che ti pare del mio volteggiare? miracolo; del mio saltare? stupisco; del mio schermire? rinasco; e del mio correre? trasecolo. In somma io gli suggellerei ogni sua frappa sì, che gli caverei de l'anima la vita, non che i danari de le mani e le vesti di dosso e promettendogli ad ogni ora cibi novelli, in otto giorni mi gli farei fratello. Uno di quelli soldati del Tinca farei io benissimo. lo direi: al mio tempo il Duca Borso fece una giostra con gli uomini d'arme da vero; i quali avevano i gambali, i cosciali ed il capale di ferro; et al mio tempo i Bentivogli a le nozze loro ferno il giuoco de la inguintana, ove io ruppi una lancia busa piena di uccelli e dipinta, in sei colpi; ed al mio tempo ballai a la festa del Capitanio del mal nome con una Signora, però col fazzoletto, perché allora non si poteva toccare la mano a le donne, ballando; adesso gli uomini la tengono ascosa sotto la cappa con mille cacabaldole ed è una gran disonestà ed una gran ribalderia; basta mo. Vi confesso bene che mi metteria un bestial pensiere di contraffare un signore, perché se io fossi un signore (che Dio me ne guardi) non saprei mai, come loro, non riconoscere fede di servitore, né beneficio d'amico, né carnalità di sangue; né potrei con la mia castroneria aggiunger mai a la loro, io non vo' dire, ignoranza. Ma eccovi là, Giannicco; oh il sottil ladroncello, oh il gran ghiotto; attendete a lui, ché io mi raccomando a le signorie vostre.
|
Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License |