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– Tre giovani corsari ferono pensiero di abitare in Siena e posono su un banco
quarantamila ducati, dicendo non ne volere discrezione nessuna, ma solo che gli
promettessi non dare danaio nessuno se non in presenza di tutti tre. Uno di
loro, più cattivo, pensò giuntargli e mostrò d'avere alle mani di comperare
poderi, case e beni in comune. Fe' dare un tocco dagli altri giovani al
banchiere che stessi in punto, perché di corto gli leverebbono il danaio
intero; poi osservò un dì che quelli due cavalcavano in caccia con altri
giovani, e, mentre erano a cavallo, disse loro che bisognava cinquanta ducati
per fornire la casa. Quelli due giovani passorono dal banco e dissono: – Darai
a costui quello ti chiede –, non si avisando dell'inganno; e, rimaso, levò
tutti e denari e con essi via cavalcò. Tornano i giovani, intendono la cosa,
muovono lite; da ognuno è dato il torto al banchiere, dicendo che non doveva
tanta somma sì tosto pagare <se non>
in presenza di tutti. Il banchiere, intesa la fama di messer Gellio d'Arezzo,
uomo non molto dotto ma naturale, se n'andò per consiglio a lui e trovollo in
villa; e il detto messere, ordinato che il detto banchiere l'aspettassi ad
Arezzo, si consigliò del caso con alcuni de' suoi naturalozzi contadini, e la
mattina, con una conchiusione, ne andò ad Arezzo: che il detto banchiere
confessassi esser mal pagati detti danari, ma che voleva pagare di nuovo
osservando la scritta, la quale diceva che non si doveva pagare un quattrino se
none in presenza di tutti tre. – Siate adunque tutti tre qui, e io vi pagaerò e
vostri danari. –
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