CAPITOLO
VIII
Arrivo dl
Candido e di Pangloss alla Propontide; ciò che videro e ciò che avvenne.
- O Candido,
dicea Pangloss, perchè avete lasciato di coltivare il vostro giardino? Non
mangiavamo noi de' cedrati canditi, e de' pistacchi? Perchè vi siete annojato
della vostra felicità? Perchè tutto è necessario nel migliore de' mondi;
bisognava che voi soffriste le nerbate in presenza del re di Persia, che aveste
la gamba tagliata, per rendere felice il Chusistan, per provare l'ingratitudine
degli uomini, e per attirar sul capo di qualche scellerato i castighi che aveva
meritati.
Così
discorrendo arrivarono al loro antico soggiorno. Il primo oggetto che si offrì
a' loro occhi fu Martino in abito da schiavo. - Qual metamorfosi è questa?
disse Candido, dopo di averlo teneramente abbracciato. - Ah, rispose
singhiozzando, voi non avete più casa; un altro si è incaricato di far
coltivare il vostro giardino; ei mangia i vostri cedri canditi, i vostri
pistacchi, e mi tratta da negro. - Chi è quest'altro? domandò Candido. - Egli
è, disse Martino, il general di marina, l'uomo il meno umano di tutti gli
uomini. Il sultano volendo ricompensare i di lui servigi senza che gliene
costasse cosa alcuna, ha confiscato tutti i vostri beni, sotto pretesto che voi
siete passato fra i suoi nemici e ci ha condannati alla schiavitù. Fate a mio
modo, Candido, soggiunse, continuate il vostro viaggio: io ve l'ho sempre
detto, tutto è per il peggio, la somma de' mali eccede troppo la somma de'
beni: partite, e non dispero che diventiate manicheo, seppur già non lo siete.
Pangloss
voleva cominciare un argomento in forma, ma Candido l'interruppe per
dimandargli nuove di Cunegonda, della vecchia e di Cacambo. - Cacambo, rispose
Martino, è qui; egli è occupato attualmente a ripulire una fogna, la vecchia è
morta di una pedata che un eunuco le diè nel petto; Cunegonda è ingrassata e ha
ripreso la sua primiera bellezza: ella è nel serraglio del nostro padrone. -
Qual concatenamento di sventure! dice Candido, bisognava che Cunegonda tornasse
bella per farmi becco! - Importa poco, dice Pangloss, che Cunegonda sia bella o
brutta, e ch'ella sia vostra o di un altro; questo non ha che fare col sistema
generale; per me, io le desidero una numerosa posterità. I filosofi non
s'imbarazzano di ciò. La popolazione... - Ah, dice Martino i filosofi
dovrebbero piuttosto occuparsi a render felice qualche individuo, invece
d'impegnarlo a moltiplicare la specie de' sofferenti
Mentre
discorrevano si sente un gran fracasso: era il general del mare che si
divertiva a far bastonare una dozzina di schiavi. Pangloss e Candido spaventati
si separarono colle lagrime agli occhi dal loro amico, e presero in fretta il
cammino di Costantinopoli.
Essi vi
trovarono tutta la gente in moto; erasi appiccato il fuoco nel sobborgo di
Pera, e già cinque o seicento case erano incenerite, ed erano perite fra le
fiamme due o tremila persone. Qual orribil disastro! grida Candido. - Tutto è
bene, dice Pangloss; questi piccoli accidenti accadono tutti gli anni, ed è ben
naturale che s'appicchi il fuoco alle case di legno, e che quelli che vi si
trovano restino abbruciati; del resto, questo procura lavoro a molti
galantuomini che languiscono nella miseria. - Che sento? dice un uffiziale
dell'eccelsa Porta. Disgraziato, e puoi tu dire che tutto è bene, quando la
metà di Costantinopoli è in fuoco e in fiamma? Va, cane maledetto dal Profeta,
va a ricevere il castigo della tua audacia.
Dicendo queste
parole, prese Pangloss per la vita, e lo precipitò nelle flamme. Candido, mezzo
morto, si strascinò come potè in un quartier vicino, ove le cose eran più
tranquille; e noi vedremo ciò che accadde nel capitolo seguente.
|