CAPITOLO
IX
Candido
continua a viaggiare, ed in qual qualità.
- Io non ho altro
partito da prendere, diceva il nostro filosofo, che quello di farmi schiavo o
turco; la fortuna mi ha abbandonato per sempre. Un turbante corromperebbe
tutt'i miei piaceri: io mi sento incapace di provare la tranquillita dell'anima
in una religione piena di imposture, e nella quale non sarei entrato che per un
vile interesse. No, non sarei mai contento se io cessassi d'esser galantuomo.
Facciamoci dunque schiavo.
Presa questa
risoluzione, si mise Candido in dovere di eseguirla. Egli scelse un mercante
armeno per padrone. Era questi un uomo di buonissimo carattere, e che passava
per virtuoso quanto può esserlo un armeno. Egli diede dugento zecchini a
Candido per prezzo della sua libertà. L'armeno era sul punto di partire per la
Norvegia, e con sè condusse Candido, sperando che un filosofo gli sarebbe utile
nel suo commercio. S'imbarcarono, ed il vento fu loro sì favorevole, che non
impiegarono la metà del tempo che si mette ordinariamente per fare un simil
tratto; non ebbero neppur bisogno di comprare del vento dai maghi della
Lapponia, e si contentarono di dar loro de' rinfreschi, purchè non fosse loro
turbata la buona fortuna con gli incantesimi, come accade qualche volta, se si
deve credere al Dizionario di Moreri.
Sbarcato che
fu, l'armeno fece la sua provvisione di grasso di balena, e incaricò il nostro
fllosofo di andar per il paese a comprargli del pesce secco. Egli adempì alla
sua commissione al meglio che gli fu possibile; se ne tornava con molte ceste
cariche di quella mercanzia, e rifletteva profondamente sulla differenza
maravigliosa che passa fra i Lapponi, e gli altri uomini, quando una piccola
lappona, che aveva il capo un po' piu grosso del corpo, gli occhi rossi e pieni
di fuoco, il naso largo, e la bocca della maggior grandezza posslbile, gli
diede il buon giorno con mille smorfie. - Mio signorino, gli disse quell'essere
alto un piede e dieci dita, io vi trovo vezzoso, fatemi la grazia d'amarmi un
poco.
Così dicendo
la lappona gli salta al collo; Candido la respinge con orrore; ella grida, e
viene suo marito accompagnato da più lapponi. - Cos'è questo baccano? dissero
eglino. - Egli è, disse il piccolo essere, che questo forastiero.... ah, mi
soffoca il dolore nel dirlo! egli mi disprezza. - Che sento? disse il marito
lappone: incivile, disonesto, brutale, infame, furfante, tu copri d'obbrobrio
la mia casa: tu mi fai l'ingiuria più grave; tu ricusi di dormir, com'è
l'usanza del paese, con mia moglie! - Eccone un'altra! dice il nostro eroe; che
avreste voi dunque detto se io avessi dormito con lei? - Io ti avrei desiderato
ogni sorta di prosperità, risponde il lappone in collera, ma tu non meriti che
la mia indignazione. Così dicendo scaricò sul dorso di Candido un fracco di
bastonate. Le ceste furono sequestrate dai parenti della sposa offesa, e
Candido, temendo di peggio, si vide costretto a fuggirsene, e rinunziare per
sempre al suo buon padrone, perchè come poteva ardire di presentarsi a lui
senza danaro, senza grasso di balena e senza ceste?
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