CAPITOLO
XII
Continuazione
dell'amore dl Candido.
L'unica
consolazione che provava Candido, era di parlare alla bella Zenoide in presenza
de' loro ospiti. - Come, le disse un giorno, il re a cui vivevate da presso,
potè permettere l'ingiustizia che si fece alla vostra casa? Voi dovete bene
aborrirlo. - Ah, disse Zenoide, chi può odiare il suo re? Chi può non amar
quello in cui è riposta la spada sfolgoreggiante delle leggi? I re sono le vive
immagini della divinità, e noi non dobbiamo condannare mai la loro condotta;
l'obbedienza, e il rispetto fanno il dovere de' buoni sudditi. - Io vi ammiro,
sempre più rispose Candido: conoscete voi, signorina, il gran Leibnitz, e il
gran Pangloss, che è stato abbruciato dopo che scampò da esser impiccato?
Sapete voi dello monadi, della materia sottile, e de' vortici? - No, disse
Zenoide, mio padre non mi ha parlato mai di alcuna di queste cose; egli mi ha
dato solamente una tintura della fisica sperimentale, e mi ha insegnato a
disprezzare ogni sorta di filosofia, che non concorra direttamente alla
felicità dell'uomo, che gli dia false nozioni di ciò ch'ei deve a se stesso, e
di ciò ch'ei deve agli altri, che non gl'insegni a regolare i costumi, che non
gli riempia lo spirito che di parole barbare, e di congetture temerarie, che
non gli dia più chiare idee dell'autore degli esseri che quella che gli
somministrano le di lui opere, e le maraviglie che si operano tutti i giorni
sotto i suoi occhi. - E maggiormente v'ammiro, signorina; voi m'incantate, voi
mi rapite; siete un angelo che il cielo m'ha inviato per illuminarmi sopra i
sofismi del maestro Pangloss. Povero animale ch'io era! Dopo d'aver sopportato
un numero prodigioso di pedate, di frustate sulle spalle, di nerbate sotto le
piante de' piedi; dopo d'aver sopportato un terremoto; dopo d'aver assistito
all'impiccagione del dottor Pangloss e averlo veduto abbruciare poco fa; dopo
d'essere stato preso per decreto del Divano, e battuto da alcuni filosofi, io
credeva pure che tutto andasse bene. A ch'io ne son ben disingannato! Intanto
la natura non mi è parsa mai tanto bella, quanto allora ch'io vi ho veduta. I
concerti campestri degli uccelli suonano al mio orecchio con una armonia che
fino a questo giorno io non conosceva; tutto si anima, e il sentimento che mi
invade, pare che imprima un altro colore su tutti gli oggetti: io più non sento
quella molle languidezza che provava ne' giardini che avevo a Sus. Quel che voi
m'ispirate è differente assolutamente. - O via, finiamola, disse Zenoide, il
seguito de' vostri discorsi potrebbe offendere la mia delicatezza, e voi dovete
rispettarla. - Tacerò, disse Candido, ma il mio fuoco non sarà che più ardente.
Pronunziando
queste parole riguardò Zenoide, si avvide che ella arrossiva, e da uomo esperto
concepì le più lusinghiere speranze
La giovine
danese scansò per qualche tempo ancora di trovarsi con Candido. Un giorno ch'ei
passeggiava in fretta nel giardino degli ospiti, diede in un trasporto amoroso.
- Perchè non ho più i miei montoni del buon paese d'Eldorado! Perchè non son io
in stato di comprare un piccolo regno! Ah s'io fossi re... - Che vi sarei io...
disse una voce che colpì il cuore del nostro filosofo. - Siete voi, bella,
Zenoide? diss'egli cadendole ai piedi. Io mi credeva solo; le poche parole che
avete pronunziate pare che mi assicurino fa felicità alla quale aspiro: io non
sarò mai re, nè forse mai ricco, ma se voi mi amate... non rivolgete da me
quegli occhi pieni di vezzi, che io vi leggo un consenso che può solo compire i
miei desideri. Bella Zenoide, io vi adoro; aprasi la vostr'anima alla pietà.
Che vedo! voi piangete! Ah ch'io son troppo fortunato! - Sì voi siete
fortunato, disse Zenoide: niente mi obbliga a celare la mia sensibilità per un
oggetto che io ne credo degno: finora non avete avuto pietà della mia sorte che
per i legami dell'umanità: è tempo ormai di stringere questi legami con altri
legami più santi. Io mi sono consigliata; riflettete seriamente ai casi vostri,
e pensate sopratutto che sposandomi, contraete l'obbligo di proteggermi, e di
mitigare e dividere le miserie che forse ancora mi serba la sorte. - Sposarvi?
dice Candido: queste parole mi illuminano sull'imprudenza della mia condotta.
Ah! caro idolo della mia vita, io non merito da voi tanta bontà. Cunegonda non
è morta ancora. - Chi è questa Cunegonda? chiese Zenoide - Questa è mia moglie,
rispose Candido colla sua solita sincerità.
Restarono i
nostri amanti qualche tempo senza aprir bocca voleano parlare, e le loro parole
spiravano su' lor labbri; i loro occhi erano molli di pianto; Candido tenea fra
le sue mani quelle di Zenoide, se le stringeva al cuore e le divorava di baci.
Ardì alzare gli sguardi e credè di vedere scritto il suo perdono ne' begli
occhi di lei - Caro amante, gli diss'ella, la mia collera coprirebbe malamente
i trasporti che autorizza il mio cuore. Fermati per altro; tu mi rovineresti
nell'opinione degli uomini, e saresti poco capace d'amarmi se io diventassi
l'oggetto de' loro disprezzi: fermati, e rispetta la mia debolezza.
Non riferiremo
tutta quella conversazione interessante; ci contenteremo di dire che
l'eloquenza di Candido abbellita dall'espressioni amorose, ebbe tutto
quell'effetto che egli potea aspettare sopra una filosofessa giovine e
sensibile.
Questi amanti,
i cui giorni passavano per l'innanzi fra la mestizia e fra l'inquietudine,
parvero felici; il silenzio delle foreste, le montagne coperte di bronchi e
spine, ed attorniate da precipizj, le pianure gelate, i campi ripieni d'orrore
de' quali erano circondati, li persuasero maggiormente del bisogno ch'essi
avevano di amarsi. Erano risoluti a non abbandonare quella solitudine orribile,
ma il destino non era stanco di perseguitarli, come lo vedremo nel capitolo
seguente.
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