CAPITOLO
XIII
Arrivo di
Volhall. Viaggio a Copenaghen,
Candido e
Zenoide trattenevansi sull'opere della divinità, sul culto che gli uomini
devono rendergli, su i doveri che li uniscono fra loro, e specialmente sulla
carità, virtù d'ogni altra virtù più utile al mondo, e non vi s'occupavano con
declamazioni frivole; insegnava Candido ai giovinetti il rispetto dovuto al
freno sacrato delle leggi; Zenoide istruiva ragazze su quanto doveano a' lor
parenti, ed ambi si riunivano per gettare in quei giovani cuori i fecondi semi
della religione. Un giorno ch'essi si dedicavano in quelle pie occupazioni,
venne Suname ad avvertire ch'era arrivato un vecchio signore accompagnato da
molti domestici, e che al ritratto che le avea fatto di quella ch'ei cercava,
non aveva potuto dubitare che non fosse la bella Zenoide. Quel signore seguiva
Suname alle calcagna ed entrò quasi nel tempo stesso di lei nel luogo ov'erano
Zenoide e Candido.
Svenne Zenoide
alla sua vista, ma poco sensibile a spettacolo compassionevole, la prese
Volhall per mano e la tirò con tanta violenza ch'ella rinvenne; ma non rinvenne
che per spargere un rio di lacrime. - Mia nipote, le diss'egli con un sorriso
amaro, io vi trovo in molto buona compagnia: non mi stupisco che la preferiate
al soggiorno della capitale, alla mia casa, alla vostra famiglia. Sì, signore,
rispose Zenoide, io preferisco i luoghi ove abitano la semplicità e il candore,
al soggiorno del tradimento e dell'impostura. Io non rivedrò che con orrore
quel luogo ov'ebbero principio le mie sventure, ove ho ricevuto tante prove del
vostro nero carattere, ove non ho altri parenti che voi... - Signorina, replicò
Volhall, voi mi seguirete, se vi piace; quand'anche doveste svenire un'altra
volta.
Così dicendo,
la strascinò seco, e la fe' montare in un calesse che l'attendea. Ella ebbe
appena tempo di dire a Candido di seguirla, e partì benedicendo i suoi ospiti e
promettendo loro di ricompensare i generosi servigi ricevuti.
Un domestico
di Volhall ebbe compassione del dolore in cui Candido era immerso; credendo
ch'ei non avesse altro affetto per la giovine danese, fuor quello che inspira
la virtù infelice, gli propose di andare a Copenaghen, e gliene facilitò i
mezzi; fece di più; gl'insinuò che potrebbe essere ammesso al numero de'
domestici di Volhall, s'ei non avesse altro modo che il servizio per tirare
avanti. Candido gradì quelle offerte, e tosto che fu giunto, il suo futuro
camerata lo presentò come un suo parente, per cui egli stava garante. -
Birbante, gli disse Volhall, voglio accordarti l'onore di stare appresso a un
pari mio. Non ti scordar mai del profondo rispetto che devi alle mie volontà:
previenile, se hai sufficiente istinto per questo: considera che un pari mio si
avvilisce parlando ad un uomo come te.
Il nostro
filosofo rispose con tutta la sommissione a quel discorso impertinente, e da
quello stesso giorno fu rivestito della livrea del suo padrone.
È da
immaginarsi facilmente quanto fu stupita e contenta Zenoide, riconoscendo il
suo amante fra i servitori dello zio; ella fece nascere le occasioni di
trovarsi: Candido ne profittò; si giurarono una costanza inviolabile. Avea
Zenoide qualche momento di cattivo umore; ella si rimproverava qualche volta il
suo amore per Candido; lo affliggea co' suoi capricci, ma Candido l'idolatrava;
ei sapea che la perfezione non è propria dell'uomo, e molto meno della donna.
Zenoide riprendeva il suo buon umore nelle di lui braccia.
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