CAPITOLO
XVII
Nuovi
incontri.
Candido non
era tanto disgraziato, poichè aveva un vero amico; ei l'avea trovato in un servo
bastardo, ciò che invano si cerca nella nostra Europa; forse la natura che fa
crescere in America le erbe proprie alle malattie corporali del nostro
continente, vi ha piantato ancora de' rimedj per le nostre malattie del cuore e
dello spirito: forse vi son formati differentemente da noi: chè non sono
schiavi dell'interesse personale, che son degni di ardere al bel fuoco
dell'amicizia. Quanto sarebb'egli da desiderarsi, che invece di ciurli d'indaco
e di cocciniglia tutti coperti di sangue, ci si conducesse qualcheduno di
questi uomini. Una tal sorte di commercio sarebbe ben vantaggiosa all'umanità.
Cacambo valeva più per Candido, che una dozzina di montoni rossi carichi di
ciottoli dell'Eldorado. Il nostro filosofo ricominciò a godere il piacere di vivere;
era una consolazione per lui il vigilare alla conservazione della specie umana
e non essere un membro inutile nella società. Iddio benedisse intenzioni sì
pure, rendendo a lui, come a Cacambo, le dolcezze della sanità. Essi non
avevano più la rogna ed adempivano piacevolmente le faticose funzioni del loro
stato; ma la sorte tolse loro ben tosto la sicurezza nella quale gioivano.
Cunegonda, che s'era presa a petto di tormentare il suo sposo, abbandonò
Copenaghen per andarne in traccia; il caso la condusse all'ospedale; era ella
accompagnata da un uomo che Candido riconobbe per il signor barone di
Thunder-ten-tronckh; è da immaginarsi facilmente qual dovesse essere la sua
maraviglia; il barone se ne accorse e gli parlò così:- Io non ho remato gran
tempo sulle galere ottomane; seppero i gesuiti la mia disgrazia, e mi
riscattarono per onore della società: ho fatto un viaggio in Alemagna, ove ho
ricevuto alcuni benefizj dagli eredi di mio padre; non ho niente trascurato per
trovar mia sorella, ed avendo saputo da Costantinopoli ch'ella era partita con
un bastimento ch'era naufragato sulle coste di Danimarca, mi sono travestito,
ho preso delle lettere di raccomandazione per alcuni negozianti danesi che han
relazione colla società, e ho trovato finalmente la mia sorella, la quale vi
ama, benchè indegno voi siate della sua amicizia; e giacchè avete avuta
l'imprudenza di vivere con lei, consento alla confermazione del matrimonio, o
piuttosto a una nuova celebrazione di nozze, ben intesi che mia sorella non vi
darà che la mano sinistra; il che è ben giusto, poichè ella ha settant'un
quarto di nobiltà, e voi non ne avete neppur uno.- Ah! dice Candido, tutt'i
quarti del mondo senza la bellezza... La signora Cunegonda era molto brutta,
quando io ebbi l'imprudenza di sposarla; ella è tornata bella, ed un altro vide
i suoi vezzi; ella è tornata brutta, e volete che io le ridia la mano? No per
certo, mio reverendo padre: rimandatela nel suo serraglio di Costantinopoli.
Ella mi ha fatto troppo danno in questo paese. - Lasciati compungere, ingrato,
disse Cunegonda, facendo contorsioni spaventevoli; non obbligare il signor
barone, ch'è prete, ad ammazzarci tutti e due per lavare nel nostro sangue la
sua vergogna. Mi credi tu capace d'aver mancato di buona voglia alla fedeltà che
io ti doveva? Che volevi tu ch'io facessi in faccia a un padrone che mi trovava
bella? Ecco il mio delitto, e questo non merita la tua collera. Un delitto più
grave agli occhi tuoi è quello di averti rapito la tua amante, ma questo
delitto deve darti prova del mio amore. Senti, mio caro Candido, se mai ritorno
bella, se... ciò non sarà che per te, mio caro Candido: noi non siamo più in
Turchia.
Questo
discorso non fece molta impressione in Candido; ei chiese alcune ore per
determinarsi sul partito che aveva a prendere. Il signor barone gli accordò due
ore, durante le quali ei consultò il suo amico Cacambo. Dopo pesate le ragioni
del pro e del contra, essi si determinarono a seguire il gesuita, e la sorella
in Alemagna. Ecco che abbandonano l'ospedale, ed in compagnia si mettono in
cammino, non già a piede, ma su buoni cavalli, che aveva condotti il baron
gesuita, e arrivano sulle frontiere del regno. Un grand'uomo d'assai cattiva
cera considera attentamente i nostri eroi. - È lui, diss'egli, porgendo gli occhi
sopra un pezzetto di carta: signore, s'è lecito, non vi chiamate voi Candido? -
Si signore, così mi han sempre chiamato.- Me lo figuravo signore; in fatti voi
avete le ciglia nere, gli occhi al pari della fronte, le orecchie d'una
mediocre grandezza, il viso tondo e colorito, e per quanto pare, dovete essere
di cinque piedi e cinque pollici d'altezza. - Sì, signore, questa è la mia
statura; ma che volete voi dalla mia statura e dalle mie orecchie? - Signore,
non si può usare tanta circospezione quanta basti nel nostro ministero;
permettetemi di farvi ancora un'altra breve dimanda: non avete voi servito il
signor Volhall? - Signore, in verità, rispose Candido tutto sconcertato, io non
comprendo... - Lo comprendo ben io a maraviglia, che voi siete quello di cui
m'è stato mandato il contrassegno. Datevi la pena d'entrare nel corpo di
guardia. Soldati, conducete il signore, preparate la camera bassa, e fate
chiamare il fabbro per fare al signore una piccola catena di trenta o quaranta
libbre di peso. Signor Candido, voi avete là un buon cavallo; avevo giusto
bisogno d'un cavallo del medesimo pelame. Ci aggiusteremo.
Il barone non
ardì di reclamare il cavallo. Si strascinò Candido, e Cunegonda pianse per
quattr'ore. Il gesuita non mostrò alcun dispiacere di quella catastrofe. - Io
sarei stato obbligato ad ammazzarlo, e a rimaritarvi, diss'egli alla sorella,
ma considerato ogni cosa, quel che accade è molto meglio per l'onore della
nostra casa.
Cunegonda
partì col fratello, e non vi fu che il fedele Cacambo, che non volesse
abbandonare il suo amico.
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