CAPITOLO
XXVII
Ciò che
accade a Candido, a Cunegonda, a Pangloss, a Martino, ecc.
- Perdono, per questa volta, dice Candido al
barone, perdono, mio reverendo padre, di avervi dato una stoccata traverso il
corpo. - Non ne parliamo più, risponde il barone: io fui un po' troppo vivo, lo
confesso ma giacchè, volete sapere per quale avventura mi avete veduto in
galera, vi dirò, che dopo d'essere stato guarito della mia ferita dal padre
speziale del collegio, fui attaccato e preso da un partito spagnuolo, e fui
messo in prigione a Buenos-Aires nel tempo che mia sorella ne partiva. Chiesi
di tornare a Roma presso il padre generale, e fui nominato per servire quale
elemosiniere a Costantinopoli l'ambasciatore di Francia. Non erano otto giorni
ch'io era entrato in funzione, quando trovai sulla sera un giovine turco; facea
molto caldo; il giovine volle bagnarsi, ed io presi quell'occasione per
bagnarmi anch'io. Io non sapea che fosse un delitto capitale per un cristiano
l'esser trovato nudo con un giovine musulmano; un cadì mi fece dare cento
bastonate sotto le piante de' piedi, e mi condannò alla galera. Io credo che
non possa darsi una più orribile ingiustizia. Ma vorrei sapere perchè mia
sorella è nella cucina d'un principe di Transilvania, rifugiato fra' Turchi? -.
- Ma voi, mio caro Pangloss, come può darsi
che io vi riveda? - È vero, dice Pangloss che voi mi avete veduto impiccare; io
dovea naturalmente esser bruciato, ma vi ricorderete che piovve a distesa,
allorchè si volea cuocermi; la tempesta fu sì violenta, che si disperò di
accendere il fuoco; fui impiccato, perchè non si potea fare di meglio; un
chirurgo comprò il mio corpo, e mi condusse a casa sua per notomizzarmi. Mi
fece tosto un’incision crociale dall'ombelico fino alla clavicola. Io non,
potea essere stato impiccato peggio di quel che lo era: l’esecutore dell’alte
opere della santa Inquisizione, il quale era suddiacono, bruciava invero la
gente a maraviglia, ma non era accostumato ad impiccare: la corda era bagnata,
e scorse male: il nodo era altresì mal fatto; insomma io respirava ancora.
L’incisione crociale mi fece alzare un sì gran strido, che il mio chirurgo
cadde indietro, e credendo di notomizzare il diavolo, mezzo morto di paura
fuggì ruzzolando per la scala. A quello strepito corse la moglie da un
gabinetto vicino e vedendomi disteso sulla tavola coll'incision crociale, ebbe
maggior paura di suo marito, fuggì e cadde sopra di lui. Quando furono un poco
rinvenuti, io sentii che la chirurga diceva al chirurgo: - Mio caro, perchè
proporti di notomizzare un eretico? non sai che il diavolo e sempre nei corpi
di simil gente? Io vado ora a cercare un prete per esorcizzarlo.
Raccapricciai
a tal proposizione, e raccolsi le poche forze che mi restavano per gridare:
-Abbiate pietà di me. Allora il barbiere portoghese riprese l'ardire, e ricucì
la mia pelle; la sua moglie medesima prese cura di me, ed io fui libero in
termine di quindici giorni. Il barbiere mi trovò da servire, e mi fece lacchè
d'un cavalier di Malta che andava a Venezia, ma non avendo il mio padrone di
che pagarmi, io mi misi al servizio di un mercante veneziano, e lo seguii a
Costantinopoli.
Un giorno mi
venne la fantasia di entrare in una moschea; non v'era che un vecchio imano, e
una giovine bacchettona molto bella che diceva i suoi paternostri; sul seno
aveva un bel mazzetto di tulipani, di rose, d'anemoni, di ranuncoli, di
giacinti e d'orecchie d’orso. Ella lasciò cadere il suo mazzetto, ed lo con una
fretta rispettosissima glielo raccolsi, ma l'imano entrò in collera, e vedendo
che io era cristiano gridò al sacrilegio. Fui menato dal cadì, egli mi fece
dare cento staffilate sotto le piante de' piedi, e mi condannò alla galera. Fui
incatenato appunto nella galera e al banco medesimo del signor barone. V'erano
in quella galera quattro giovani marsigliesi, cinque preti napolitani, e due
frati di Corfù, i quali ci dissero che simili avventure accadevano tutti i
giorni. Il signor barone pretendeva d'aver sofferto una ingiustizia maggiore
della mia; noi disputavamo senza fine, e ricevevamo venti nerbate il giorno,
quando il concatenamento degli eventi di quest'universo vi ha a noi condotto.
- Ebbene, mio caro Pangloss, gli dice Candido,
quando voi siete stato impiccato, notomizzato, arruotato, ed avete remato nella
galera, avete sempre pensato che tutto andava ottimamente? - Io son sempre del
mio primo sentimento, risponde Pangloss, perchè finalmente essendo io filosofo,
non mi conviene il disdirmi. Leibnitz non può aver torto, e l'armonia
prestabilita è la più bella cosa del mondo, come il pieno e la materia sottile
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