CAPITOLO
XXIX
Conclusione
della prima parte.
Candido nel
fondo del buon cuore non aveva alcuno stimolo di sposare Cunegonda; ma
l'estrema impertinenza del barone lo determinava a concludere il maritaggio, o
Cunegonda lo pressava sì vivamente ch'ei non poteva ritirarsene. Consultò egli
Pangloss, Martino e il fedele Cacambo. Pangloss fece un bel discorso, col quale
ei provava che il barone non aveva alcun diritto sulla sorella, e che ella
poteva, secondo tutte le leggi dell'impero, sposar Candido colla mano sinistra.
Martino
concluse di gettare il barone nel mare; Cacambo decise che doveasi renderlo al
padrone levantino e rimetterlo in galera per poi rimandarlo a Roma al padre
generale col primo bastimento. Il progetto fu trovato assai buono; la vecchia l'approvò;
non se ne disse niente alla sorella, la cosa fu eseguita mediante qualche
danaro, e s'ebbe il piacere d'ingannare un gesuita, e di punir l'orgoglio di un
barone tedesco
Egli era ben
naturale immaginarsi che dopo tanti disastri, Candido maritato, e in compagnia
del filosofo Pangloss, del filosofo Martino, del prudente Cacambo e della
vecchia, avendo di più portato tanti diamanti dalla patria degli antichi Incas,
dovesse condurre la vita più deliziosa del mondo; ma egli fu tanto truffato
dagli ebrei, che non gli restò null'altro che la sua villetta. La sua consorte,
divenendo ogni giorno più brutta, era altresì inquieta e insopportabile la
vecchia era inferma, e di peggiore umore di Cunegonda. Cacambo che lavorava al
giardino e andava a vendere i legumi a Costantinopoli, era oppresso dalle
fatiche e malediceva il suo destino. Pangloss era in disperazione per non poter
fare il bello in qualche università d’Alemagna. Martino poi, era persuaso che
si stava ugualmente male da per tutto, e prendeva ogni cosa con pazienza.
Candido, Martino e Pangloss disputavano qualche volta sulla metafisica, e sulla
morale. Si vedevano spesso passare sotto le finestre della villetta, dei
battelli carichi di effendi, di bascià e di cadì, che si mandavano in esilio a
Lemno, a Metelino e ad Erzerum, e si vedean tornare altri cadì, altri bascià e
altri effendi, che andavano a occupare i posti degli esiliati. Si vedevano
delle teste decentemente impalate, che si andavano a presentare alla Porta.
Questi spettacoli facevano aumentare le dissertazioni; e quando non si
disputava, era così eccessiva la noja che la vecchia osò un giorno dir loro: -
Io vorrei sapere qual è la peggiore cosa, o l’essere offesa cento volte dai
pirati negri, il passare per le bacchette fra' Bulgari, l'esser frustato e
Impiccato in un auto-da-fè, l'essere notomizzato remare in galera,
provare infine tutto le miserie che noi abbiamo passate, oppure il restar qui a
non far niente. - Questa è una gran questione, disse Candido.
Un tal
discorso fece nascere nuove riflessioni e Martino soprattutto concluse che
l'uomo era nato per vivere fra le agitazioni dell'inquietudine e nel letargo
della noja. Candido non ne conveniva, ma non assicurava nulla.
Pangloss
confessava d'aver sempre orribilmente sofferto ma siccome aveva sostenuto una
volta che tutto andava a maraviglia, seguitava a sostenerlo, e non credeva a
niente.
Vi era nel
vicinato un dervis famosissimo che passava per uno de' migliori filosofi della
Turchia; essi andarono a consultarlo; Pangloss si fece avanti e disse: -
Maestro, noi veniamo a pregarvi di dirci perchè un animale sì stravagante come
l'uomo è stato formato.
- Di che ti occupi tu? disse il dervis tocca
egli a te? - Ma reverendo padre, disse Candido, vi sono de' mali orribili sulla
terra. - Che t'importa, soggiunse il dervis, che vi sia del male o del bene?
Quando sua altezza spedisce un vascello in Egitto, s'imbarazza ella se i topi
vi sieno a lor agio o no? - Che bisogna dunque fare? disse Pangloss. - Tacere,
rispose il dervis. - Io mi lusingava, disse Pangloss di ragionare un poco con
voi degli effetti e delle cause dei migliore de' mondi possibili, dell'origine
del male, della natura dell'anima e dell'armonia prestabilita.
Il dervis a
tali parole gli serrò l’uscio in faccia.
- Nel tempo di questa conversazione si sparse
la nuova che erano stati strangolati a Costantinopoli due visiri del soglio ed
il muftì, e che erano stati impalati diversi loro amici. Questa catastrofe fece
per tutto un grande strepito di poche ore. Pangloss, Candido e Martino,
ritornando alla villetta s'incontrarono in un buon vecchio, che prendeva il
fresco sulla sua porta sotto un pergolato d'aranci; Pangloss che era
altrettanto curioso quanto ragionatore, gli dimandò come si chiamava il muftì
che era stato strangolato. - Io non so niente, rispose il buon uomo, e non ho
mai saputo il nome di alcun muftì, nè di alcun visir, anzi ignoro il caso di
cui mi parlate; son di parere bensì che generalmente coloro che si mescolano
negli affari pubblici, qualche volta miseramente periscono, e non senza lor
colpa; ma non m'informo mai ai ciò che si fa a Costantinopoli. Mi contento di
mandare a vendervi le frutta del giardino che io coltivo
Dopo tali
parole egli fece entrare i forestieri nella sua casa. Due sue figlie, e due
suoi figli presentaron loro diverse qualità di sorbetti, che essi facevano, di kaimak
macolato, di scorze di cedrato candito, d’aranci, di cedri di limoni, di
pistacchi e di caffè di Moca, che non era punto mescolato col cattivo caffè di
Batavia e dell'Isole dopo di che le due ragazze di quel buon musulmano
profumarono le barbe a Candido, a Pangloss ed a Martino
- Voi dovete avere, disse Candido al turco,
una vasta e magnifica terra. - Io non ho che venti staja, rispose il turco; le
coltivo co’ miei figli, ed il lavoro allontana da noi tre mali: la noja, il
vizio e il bisogno.
Candido
ritornando alla sua villetta fece delle profonde riflessioni sul discorso del
turco, e disse a Pangloss ed a Martino: - Quel buon vecchio sembra che siasi
fatta una sorte ben preferibile a quella de' sei re, co' quali avemmo l'onore
di cenare. - Le grandezze, disse Pangloss, sono molto pericolose, secondo ciò
che ne dicono tutti i filosofi; perchè finalmente Eglon, re de' Moabiti, fu
assassinato da Aod; Assalonne restò appiccato per i capelli e ferito da tre
lancie; il re Nadab figlio di Geroboamo, fu ucciso da Zambri; Giosia dal Jehu;
Atalia da Jojada; il re Gioachimo, Jeconia, Sedecia andarono schiavi. Voi
sapete come perirono Creso, Dario, Dionigi di Siracusa, Pirro, Perseo,
Annibale, Giugurta, Ariovisto, Cesare, Pompeo, Nerone, Ottone, Vitellio,
Domiziano, Riccardo II d Inghilterra, Odoardo II, Enrico VI, Riccardo III,
Maria Stuarda, Carlo I, i tre Enrichi di Francia. l'imperatore Enrico IV? Voi
sapete... - Io so ancora, disse Candido, che bisogna coltivare il nostro
giardino. - Voi avete ragione, ripetè Pangloss, poichè quando l'uomo fu messo
nel giardino d'Eden vi fu messo ut operaretur eum, perchè lavorasse; ciò
che prova che l'uomo non è nato per il riposo. - Lavoriamo senza ragionare, disse
Martino; questo, è il solo mezzo di render la vita sopportabile.
Tutta la
piccola società prese parte in quel lodabile disegno; ciascuno si mise ad
esercitare i suoi talenti. La piccola terra fruttò molto. Cunegonda era invero
ben deforme, ma ella divenne un'eccellente pasticciera; la vecchia ebbe cura
della biancheria; Pangloss diceva qualche volta a Candido. - Tutti gli
avvenimenti sono concatenati nel miglior de' mondi possibili, perchè finalmente
se voi non foste stato scacciato a pedate da un bel castello per amor di
Cunegonda, se voi non foste stato messo all'Inquisizione, se non aveste scorso
l'America a piedi, se non aveste dato una stoccata al barone, se non aveste
perduto tutti i vostri montoni del buon paese d'Eldorado, voi non mangereste qui
dei cedri canditi e de' pistacchi. - Benissimo detto, rispondea Candido, ma
intanto bisogna coltivare il giardino.
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