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Ludovico Ariosto
Rime

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  • MADRIGALI
    • I
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I

 

Epicedio de morte Lionorae Estensis de Aragonia ducissae Ferrariae.

 

Rime disposte a lamentarvi sempre,

accompagnate il miserabil cuore

in altro stil che in amorose tempre:

ch'or iustamente da mostrar dolore

abiamo causa; ed è sì grave il danno,

che a pena so s'esser potria maggiore.

Vedo i miei versi che smariti stanno

odendo intorno il lamentar comune,

ch'ove lor debbian cominciar non sanno.

Vedo l'insegne scolorite e brune,

suspiri e pianti mescolati insieme

da mover l'alme di pietà digiune.

Vedo Ferrara che privata geme

di sua adorneza, e per grande ira intorno

il fiume Po che murmurando freme;

il qual, presago, il sventurato giorno

in cui la summa Volontà dispose

che un'alma santa fesse al ciel ritorno,

per non vedere, ogni suo studio pose

d'allontanarsi all'infelice terra,

sì che in più parte le sue sponde róse.

L'argine e ripe ed ogni opposto atterra;

pur con ingegno dal fuggir si tenne

ne l'alveo antico, dove ancor si serra:

che ricordar mi fa di quel che avenne

doppo la morte del famoso cive,

che armato in Roma ad occuparla venne.

Allora il Tebre supera le rive,

come ha quest'altro al tramontar di questa

stella, che in ciel santificata vive.

Fulgure e venti allor, pioggia e tempesta

ondarno i campi; ed altri segni ancora

feron la gente timorosa e mesta,

com'or è apparso a dimostrar quest'ora

venuta a tramutar la città lieta,

le feste e canti, a lacrimar Lionora.

Più segno di dolor che una cometa

precorse il tristo : ché 'l chiaro lume

perse in gran parte il lucido pianeta.

Il Sol, per cui convien che 'l ciel ne allume,

vidde Ferrara sconsolata e trista,

e ricognobbe il doloroso fiume,

ch'ancor quest'onde a riguardar s'atrista

sì, ch'ei turbò la luminosa fronte,

mostrando obscura e impalidita vista;

le gente meste al lacrimarpronte,

le Eliade proprio gli parea vedere

in ripa al fiume richiamar Fetonte.

Né gli occhi asciutti puoté il ciel tenere

per gran pietade, e dimostrò ben quanto

qua giù si debba ogni mortal dolere.

Or si risforzi ogni angoscioso pianto,

che, assai si chiami a paragon del male,

mai non potremo condolerci tanto;

creschino i fiumi al lacrimar mortale,

crollino i boschi al suspirar frequente,

e sia il dolor per tutto il mondo eguale.

Ma piangi e grida più ch'ogn'altra gente

tu che abitasti sotto il iusto regno,

rimasta al suo partir trista e dolente.

Ché Morte orrenda col suo ferro indegno

s'occise quella, a te fece una piaga

di che molt'anni restaratti il segno.

Non eri forsi del tuo mal presaga;

ma se ben pensi, pur perduta hai quella,

che sì fu in terra di ben farti vaga.

Abitatrice in ciel fatta novella,

lassando in terra la sua fragil spoglia,

di sue virtude è più onorata e bella,

sì che di noi, non del suo ben ci doglia:

ché il spirto in ciel da le sue membra sciolto

di ritornar qua giù non ha più voglia.

Ver è che pur di nui l'incresce molto,

ch'ancor l'usata sua pietà riserba,

Morte il popul suo dal cuor gli ha tolto.

Ma nostra doglia mal si disacerba

pensando che sua vita è giunta al fine,

non già matura ancor, ma quasi in erba.

Qual man crudel che fra pongenti spine

schianta la rosa ancor non ben fiorita,

Morte spiccò da quella testa un crine.

Quest'ora da Dio in ciel fu stabilita,

ché degno di costei non era il mondo,

anzi su d'averla seco unita.

O di virtude albergo alto e giocondo,

debb'io forsi narrar la tua eccellenzia,

a cui me stesso col pensar confondo?

Ché l'infinita e summa Providenzia

degna ti reputò de la sua corte,

più per iusticia assai che per clemenzia;

e per tirarti alle sideree porte

(mandati prima a te gli anonci suoi)

calò dal ciel la tremebonda Morte.

Non come è usata di venir tra noi,

con quella falce sanguinosa e obscura,

apparse Libitina agli occhi tuoi.

Descriver non saprei la sua figura,

ma venne onesta e in sì liggiadro viso,

che nulla avesti al suo venir paura;

e con dolci atti e con piacevol riso

disse: - Madonna, vien', ch'io son mandata

per tòrti al mondo e darti al paradiso. -

O gloriosa in cielo alma beata,

allor uscendo del corporeo velo,

al summo Redemptor ne sei tornata;

volasti, accesa d'amoroso zelo,

lassando i tuoi devoti infermi ed egri,

santa, ioconda e risplendente, al cielo.

Beata al novo albergo or ti ralegri;

nui, che dolenti al tuo partir lassasti,

piangendo andiam, vestiti a panni negri.

Fra quei spirti del ciel vergini e casti,

non disdegnar, o ben venuta donna,

guardar le genti tue che al mondo amasti.

E come in terra a nui fusti madonna,

servando ancor su l'usanza antica

riman' del popul tuo ferma colonna,

o in cielo e in terra di virtude amica.

 




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