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Ludovico Ariosto Rime IntraText CT - Lettura del testo |
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VI
Era candido il corvo, e fatto nero meritamente fu, perché tropp'ebbe espedita la lingua a dir il vero. Aver taciuto Ascalafo vorrebbe il testimonio che sul stigio fiume alla madre e alla figlia udire increbbe: ché di funeste e d'infelici piume si ricoverse, e restò augello obsceno, dannato sempre ad aborrir il lume. Por si dovrian tutte le lingue freno, e in l'altrui fatti apprender da costoro di spiar poco e di parlarne meno. Questi per troppo dir puniti fòro; né riguardò chi lor punì che fosse d'ogni menzogna netto il detto loro. Se de li offesi dèi sì l'ira mosse l'esser del vero garuli e loquaci, che con eterna infamia ambo percosse, qual pena, qual obrobrio a quelli audaci si converria, ch'altri biasmando vanno di colpe in che si sanno esser mendaci? O di noi più non curano o non hanno qua giù più forza, o che li nostri casi quei che reggono il Ciel più poco sanno. Che non vi sieno ancor crederei quasi, se non che veggio pur per camin certo l'estati e i verni andar li orti e li occasi. Ma se vi son, com'è da lor sofferto che lode e oltraggi, e che premii e suplìci non sian secondo il bono e tristo merto? le malediche lingue sveller tosto che de falsi rumor sono inventrici. Qual altro più a martìr debbe esser posto, di quel ch'a donna abbia con falsi gridi biasmo, di ch'essa sia innocente, imposto? Peggio è che furti, e peggio è che omicidi, macchiar l'onor, che di ricchezza e vita sempre stimar più tra li saggi vidi. Se per sentirsi monda essere ardita femina deve a far prova ch'in libro, meglio, ch'in marmo abbia a restar sculpita; né a Tuccia che portò l'acqua nel cribro, né cedo a quella Claudia che 'l naviglio de la madre di dèi trasse pel Tibro. Al ferro, al foco, al tòsco, a ogni periglio chieggio d'espormi, per mostrar ch'a torto ho da portar per questo basso il ciglio. Se non indegnamente in viso porto così importuna macchia, che potermi con poca acqua lavar pur mi conforto, cresca sì che mi copra e poi si fermi, né mai più mi si lievi, e tutto il mondo in ignominia sempre abbia a vedermi, e séguiti il martìr, non pur secondo che farà degno il fallo, ma il più grave ch'abbia l'inferno al tenebroso fondo; ma se sì mente chi incolpata m'ave, come è sincero il cor, così di fuore ogni bruttezza presto mi si lave; e tutto quel martìr ch'a tanto errore si converria, veggia cader su l'empio che de la falsa accusa è stato autore; sì che ne pigli ogni bugiardo essempio.
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