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Ludovico Ariosto
Rime

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Del bel numero vostro avrete un manco,

signor: ché qui restio dove Apenino

d'alta percossa aperto mostra il fianco,

che per agevolar l'aspro camino

Flavio gli diede, in ripa l'onda ch'ebbe

mal fortunata un capitan Barchino.

Restomi qui, né, quel ch'Amor vorrebbe,

posso a Madonna sodisfar, né a voi

l'obligo scior che la mia vi debbe.

Tiemmi la febre, e più ch'ella m'annoi,

m'arde e strugge il pensar che, l'importuna,

quel che devea far prima ha fatto poi.

Ché, s'ero per restar privo de l'una

mia luce, almen non devea l'altra tòrmi

la sempre aversa a' miei desir Fortuna.

Deh! perché quando onestamente sciormi

dal debito potea, che qui mi trasse,

non venne più per tempo in letto a pormi?

Non fu mai sanità che sì giovasse

a peregrino infermo, che tra via

da la patria lontan compagno lasse,

come giovato a me il contrario avria,

un languir dolce, che con scusa degna

m'avesse avuto di tener balìa.

Io so ben quanto mal mi si convegna

dir, signor mio, che fra sì lieta schiera

io mal contento sol drieto vi vegna.

Ma mi fido ch'a voi, che de la fiera

punta d'Amor chiara noticia avete,

debbia la colpa mia parer ligiera.

Vostre imprese così tutte sian liete,

come è ben ver ch'ella talor v'ha punto,

sano forse ancora oggi ne sète.

Sapete, dunque, s'avria mal assunto

chi negasse seguir quel ch'egli accenna,

quando n'ha sotto il giogo il collo aggiunto;

se per spronar o caricar d'antenna

si può fuggir, o con cavallo o nave,

che non ne giunga in un spiegar di penna.

Tal fallo poi di puniziongrave

punisce, oimè! che ardisco dir che morte

verso quella a patir serìa soave.

Questo tiran non men crudel che forte,

ch'anco mai perdonar non seppe offesa,

lascia entrar pietà ne la sua corte;

perché mille fiate e più contesa

m'avea la lunga via, che si m'absenta

da quella luce in c'ho l'anima accesa,

de l'inobedienza or mi tormenta

con così gravi e sì pensosi affanni,

che questa febre è il minor mal ch'io senta.

Lasso! chi sa ch'io non sia al fin degli anni,

chi sa ch'avida Morte or non mi tenda

le reti qui d'intorno in che m'appanni!

Ah! chi serà nel ciel che mi difenda

da questa insidiosa, a cui per voto

un inno poi di mille versi renda?

e nel suo templo a tutto il mondo noto

in tavola il miracolo rimanga,

come sia per lui salvo il suo divoto?

Ché, se qui moro, non ho chi mi pianga:

qui sorelle non ho, non ho qui matre

che sopra il corpo gridi e 'l capel franga,

né quattro frati miei che con vesti atre

m'accompagnino al lapide che l'ossa

devria chiuder del figlio a lato il patre.

Madonna non è qui ch'intender possa

il miserabil caso, e che l'esangue

cadavero portar vegga alla fossa;

onde forse pietà, ch'ascosa langue

nel freddo petto, si riscaldi e faccia

d'insolito calor arderle il sangue.

Ché, s'ella ancor l'esanimata faccia

mira a quel punto, ho quasi certa fede

ch'esser non possa che più il corpo giaccia.

Se del figliuol di Iapete si crede

ch'a una statua di creta, con un poco

del febeo lume, umana vita diede,

perché non crederò che 'l vital fuoco

susciti ai raggi del mio sol, qui dove

troverà ancor di sé tepido il luoco?

Deh! non si venga a sì dubbiose prove:

più sicuro e più facile è sanarmi

che costringer i fati a leggi nòve.

Se pur è mio destìn che debbia trarmi

in scura tomba questa febre, quando

non possa voto o medicina aitarmi,

signor, per grazia estrema vi dimando

che non vogliate da la patria cara

che sempre stian le mie reliquie in bando:

almen l'inutil spoglie abbia Ferrara,

e su l'avel che le terrà sotterra

la causa del mio fin si legga chiara:

«Né senza morte talpe da la terra,

né mai pesce da l'acqua si disgiunge,

né poté ancor chi questo marmo serra

da la sua bella donna viver lunge

 




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