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Ludovico Ariosto Rime IntraText CT - Lettura del testo |
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XII
O lieta piaggia, o solitaria valle, o culto monticel che mi difendi l'ardente sol con le tue ombrose spalle; o fresco e chiaro rivo che discendi nel bel pratel fra le fiorite sponde, e dolce ad ascoltar mormorio rendi; o se driade alcuna si nasconde tra queste piante, o s'invisibil nuota leggiadra ninfa ne le gelide onde; o s'alcun fauno qui s'aventa o arruota, o contemplando stassi alta beltade d'alcuna diva a' mortali occhi ignota; o nudi sassi, o malagevol strade, o tenere erbe, o ben nodriti fiori da tepide aure e liquide rugiade; faggi, pini, ginevri, olive, allori, virgulti, sterpi o s'altro qui si truova ch'abbia notizia de' mie' antiqui amori, parlar, anzi doler con voi mi giova: che, come al vecchio gaudio, testimoni mi siate ancora alla mestizia nuova. Ma pria che del mio mal oltra ragioni, dirò ch'io sia, quantunque de' mie' accenti vi devrei esser noto ai primi suoni: ch'io solea i miei pensier lieti e contenti narrarvi, e mi risposero più volte li cavi sassi alle parole attenti. Ma stommi dubbio che l'acerbe e molte pene amorose sì m'abbiano afflitto, che le prime sembianze mi sien tolte. Io son quel che solea, dovunque o dritto arbor vedea, o tufo alcun men duro, de la mia dea lasciarvi il nome scritto; io son quel che solea tanto sicuro già vantarmi con voi che felice era, ignaro, oimè! del mio destìn futuro. S'io porto chiusa la nuca doglia fiera, morir mi sento, e, s'io ne parlo, acquisto nome di donna ingrata a quell'altiera. Per non morir, rivelo il mio cor tristo, ma solo a voi, ch'in gli altri casi miei sempre mai fidi secretari ho visto. Quel ch'a voi dico, ad altri non direi; io credo ben che resteran con vui, come già i boni, or li accidenti rei. Quella, oimè! quella, quella, oimè! da cui con tant'alto principio di mercede tra i più beati al ciel levato fui, che di fervent'amor, di pura fede, di strettissimo nodo da non sciorse se non per morte mai speme mi diede; or non m'ama né apprezza, ed odia forse, e sdegno e duol credo che 'l cor le punga che ad essermi cortese unqua si torse. d'una notte intermessa, ed or, ahi lasso! il mio contento a mesi si prolunga. Né si scusa ella che non m'apra il passo perché non possa, ma perché non vuole; e qui si ferma, ed io supplico a un sasso, anzi a una crudel aspide, che suole atturarsi l'orecchie, acciò placarse non possa per dolcezza di parole. Non pur al suavissimo abbracciarse de l'amorose lotte, e ai dolci furti le dolci notti a ritornar son scarse; ma quelli baci ancora, a' quai risurti miei vital spirti son spesso da morte, mi niega o mi dà a forza secchi e curti. Le belle luci, oimè! questo è il più forte, si studian che di lor men fruir possa, poi che si son di più piacermi accorte. Così quando una e quando un'altra scossa dà per sveller la speme di cui vivo, per cui morrò, se fia da me rimossa. O di voi ricco, donna, o di voi privo, esser non può che più di me non v'ami, e me, per voi prezzar, non abbia a schivo; sì che pel danno mio ch'io mi richiami di voi non vi crediate; più mi spiace che questo troppo il vostro nome infami. Ogni lingua di voi serà mordace, se s'ode mai ch'un sì benigno giogo rotto abbia o sciolto il vostro amor fugace. O non legarlo, o non scior sin al rogo devea; ch'in ogni caso, ma più in questo, mal dopo il fatto il consigliarsi ha luogo. Il pentir vostro esser devea più presto; e se ben d'ogni tempo non potea se non molto parermi acre e molesto, e voi non potevate se non rea esser d'ingratitudine, se tanta servitù senza premio si perdea, pur io non sentirei la doglia quanta la sento per memoria di quei frutti ch'or mi niega d'accor l'altiera pianta. L'esserne privo causa maggior lutti, poi ch'io n'ho fatto il saggio, che non fòra s'avuto ognor n'avessi i denti asciutti. D'ingrata e di crudel dar nota allora io vi potea; d'ingrata e di crudele, ma di più, dar di perfida posso ora. Or queste sieno l'ultime querele ch'io ne faccia ad altrui: non men secreto vi serò ch'io vi sia stato fedele. Voi, colli e rivi e ninfe, e ciò ch'a drieto ho nominato, per Dio, quant'io dico qui con voi resti; così sempre lieto stato vi serbi ogni elemento amico.
XII bis
O lieta piaggia, o solitaria valle, o culto monticel che mi difendi l'ardente sol con le tue ombrose spalle; o fresco e chiaro rivo che discendi nel bel pratello fra fioretti e fronde, e dolce ad ascoltar mormorio rendi; o se driada alcuna si nasconde fra queste piante, o se invisibil nòta leggiadra ninfa tra le gelid'onde; o s'alcun fauno qui sovente rota, contemplando si sta l'alta beltade d'alcuna diva a mortal occhi ignota; o nudi sassi, o malagevol strade, o tenere erbe, o ben nutriti fiori d'aure suavi e liquide rogiade; faggi, pini, genebri, olivi, allori, sterpi o virgulti o s'altro vi si trova ch'abbi notizia di mie' antichi amori, parlar, anzi con voi doler mi giova: che, come al vecchio gaudio, testimoni mi siate ancora alla mestizia nuova. Ma pria che di mia doglia oltra ragioni dirò ch'io sia, quantunque de' miei accenti sempre noti vi furo i primi suoni: ch'io solea i pensier miei lieti e contenti narrarvi, come risposer più volte li concavi antri alle parole attenti. Ma in dubio stommi che l'acerbe e molte pene amorose sì m'abbino afflitto che le prime sembianze mi sian tolte. Son io quel che solea, dovunque dritto arbor vedeva o tufo alcun men duro, lasciarvi di Madonna il nome scritto. Son quel che solea dir tanto sicuro ch'alcun di me felice più non era, ignaro, aimè! del rio destin futuro. Se porto occulta la mia doglia fèra, sento morirmi; e, s'io ne parlo, acquisto non poco biasmo alla mia donna altèra. Per non morir rivelo il mio cor tristo, ma solo a voi ch'in gli altri casi miei mai sempre fidi secretari ho visto. Quel che qui dico altrove non direi; certo so ben che resteran tra nui, come già mie allegrezze, ancor li omei. Quella che sì lodar m'odiste, a cui tanto creder solea, m'ha rotto fede; per lei sola arsi ed alsi, ma non fui solo, come al servire, alla mercede.
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