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Ludovico Ariosto
Rime

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  • MADRIGALI
    • XIII
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XIII

 

Qual son, qual sempre fui, tal esser voglio,

alto o basso Fortuna che mi ruote,

o siami Amor benigno o m'usi orgoglio;

io son di vera fede immobil cote,

che 'l vento indarno, indarno il flusso alterno

del pelago d'amor sempre percuote.

Né già mai per bonaccia né per verno,

di dove il destìn mi fermò prima,

luoco mutaimuterò in eterno.

Vedrò prima salir verso la cima

de l'alpe i fiumi, e s'aprirà il diamante

col legno o piombo e non con altra lima,

che possa il mio destìn mover le piante,

se non per gir a voi, che possa ingrato

sdegno d'amor rompermi il cor constante.

A voi di me tutto il dominio ho dato;

so ben che de la mia non fu mai fede

meglior giurata in alcun novo stato.

E forse avete più ch'altri non crede,

quando né al mondo il più sicuro regno

di questo, reimperador possiede.

Quel ch'io v'ho dato anco diffeso tegno;

per questo voi né d'assoldar persona

né di riparo avete a far disegno.

Nessuno o che m'assalti o che mi pona

insidie, mai mi troverà sprovista;

o mai d'avermi vinta avrà corona.

Oro non già, che i vili animi acquista,

mi acquisterà, né scettrograndezza,

ch'al sciocco vulgo abbagliar suol la vista;

né cosa che muova animo a vaghezza

in me potrà mai più far quella prova

che ci fe' il valor vostro e la bellezza.

Sì ogni vostra manera si ritrova

sculpita nel mio cor, ch'indi rimossa

esser non può per altra forma nova.

Di cera egli non è, che se ne possa

formar quand'uno e quand'altro sugello,

cede ad ogni minima percossa.

Amor lo sa, che, all'intagliar di quello

ne l'idol vostro, non ne levò scaglia

se non con cento colpi di martello.

D'avorio e marmo ed altro che s'intaglia

difficilmente, fatto una figura,

arte non è che tramutar più vaglia;

e 'l mio cor, di materia anco più dura,

può temer chi l'uccida o lo disfaccia;

ma non può già temer che sia scultura

d'amor ch'in altra imagine lo faccia.

 




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