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Ludovico Ariosto
Rime

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  • MADRIGALI
    • XXI
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XXI

 

Poich'io non posso con mia man toccarte,

dirti a bocca il duol che ognor mi accora,

tel voglio noto far con penna e carte.

Doglioso e mesto, pien d'affanni ognora,

meno mia vita afflitta e sconsolata

dal che mal per me tu andasti fuora;

chiamo la Morte, e lei non vien, ingrata,

a finire il dolor ch'io porto e sento

per non poter saper la tua tornata.

Tu festeggi in piacere, ed io tormento,

privo di te, che notte e ti chiamo:

però di ritornar non esser lento.

Tu m'hai pur preso come pesce all'amo,

misero me! ch'io son condotto a tanto

ch'altro che te non voglio, apprezzo e bramo.

Tu vivi lieto ed in me abbonda il pianto;

tu altri godi ed io te sol aspetto;

di bianco vesti, ed io di negro ho il manto.

Leva tal passion del miser petto;

non aspettar sentir mia crudel morta;

ché crudeltà il Ciel tien in dispetto.

Qualunque batte alla mia casa o porta,

subito corro e dico: - Fors'è il messo

che del mio fino amor nova mi porta.

La notte in sogno teco parlo spesso;

questo è ben quel che mi consuma il cuore:

quando mi sveglio non ti trovo appresso.

Piango li giorni, i mesi, i punti e l'ore

che ti partisti, e non dicesti: - Vale;

misero, oimè! per te vivo in dolore.

Amor crudel con suo pongente strale

m'ha fatto sì che sole, ombra non veggio,

rimedio alcun non trovo al mio gran male;

e tu, crudel, serai cagion di peggio.

 




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