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Ludovico Ariosto
Rime

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  • MADRIGALI
    • XXVII
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XXVII

 

Arsi nel mio bel foco un tempo quieto,

ed or mutato veggio, acerba e fella

mia benigna fortuna e 'l viver lieto.

E più e più duol la mia contraria stella

mi suol mostrar: ch'è l'alma ad ora ad ora

più feroce ver' me sempre e più bella.

Se pur biasmar il penso talora

suo finto ardor o sua rara mercede,

tanto cresce 'l disio che m'innamora.

O miser chi troppo ama e troppo crede!

ben ch'in credenza tal sol m'abbi indutto

infinita bellezza e poca fede.

Del mio servir è 'l premio doglia e lutto,

e veggio col servir posto in oblio

mia speme in sul fiorire e sul far frutto.

Taccio o dirò 'l furor de l'ardor mio?

De sì, de no: ahi sconsolata vita!

Intendami chi può, ch'io m'intend'io.

Ahi! senza stato Amor, cosa inaudita;

ahi! destìn fero; ahi! leggi oblique e torte;

védem' arder nel fuoco, e non m'aita.

Ma ben che l'empia e cruda acerba sorte

abbi del mio gioir ogni ben spento,

sappia 'l mondo che dolce è la mia morte.

Nessun mai più di me visse contento,

or vivo fuor di vita e di riposo.

Quante speranze se ne porta 'l vento!

Placar io cerco 'l duol nel petto ascoso

col mesto suon di mie rotte parole:

tanto gli ho a dir che cominciar non oso.

Sovente il giorno 'l cor vole e disvole

spenger l'ardor, e sospirando i' dico

che più nol sento, ed è non men che suole.

E mentre così lasso i' mi affatico,

veggio cieco furor, ahi! voglia insana:

proverbio «Ama chi t'ama» è fatto antico.

Se pur la chiamo, ognor sorda e inumana,

crudel e ingrata apo domini e dèi,

piaga per allentar d'arco non sana.

Or bramo di mirarla, or non vorrei;

né 'l mal ch'io sento in ogni fibra ed osso

potria cangiar un sol dei pensier miei.

Or la vorria seguir senza esser mosso,

or la vorria lasciar senza languire,

e per più non poter, fo quant'io posso.

Se talor penso al mio lungo martìre,

che non mi uccide, io dico: gli è pur vero

che ben può nulla chi non può morire.

Ahi! dolce error vòlto in un van pensiero,

che notte e co' miei desir vaneggi,

che grida meco poi ch'altro non spero:

Ben non ha il mondo che 'l mio mal pareggi.

 

 




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