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Ludovico Ariosto
Rime

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  • MADRIGALI
    • VII
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VII

 

Forza è ch'alfin si scopra e che si veggia

il gaudio mio dianzi a gran pena ascoso,

ancor ch'io sappia che tacer si deggia,

e quanto dirlo altrui sia periglioso:

perché sempre chi ascolta è più proclive

ad invidiar che ad essere gioioso;

ma, come poi ch'alle calde aure estive

si risolveno e giacci e nevi alpine,

crescono i fiumi a par de le sue rive;

ed alcun, disprezzando ogni confine,

rompe superbo li argeni ed inonda

le biade e i paschi e le città vicine;

così, quando soverchia e sovrabonda

a quanto cape e può capir il petto,

convien che l'allegrezza si diffonda,

e faccia rider li occhi, e ne l'aspetto

ir con baldanza, e d'ogni nebbia mostri

l'aer del viso disgravato e netto.

Come si fan con lor mordaci rostri

l'ingrati figli porta per uscire

de li materni viperini chiostri,

se di nascer li affretta il fier desire,

che non attendon che la madre grave

possa l'un dopo l'altro partorire;

così li gaudi miei, ch'in le più cave

parti posi di me, per tener chiusi,

niegan più star sotto custodia e chiave.

Tentano altro camin, poi ch'io li esclusi

da quel che per la bocca, da chi viene

dal petto, par che per più trito s'usi.

Di passar quindi ormai tolta ogni spene,

se ne vengon per li occhi e per la fronte,

dove raro o non mai guardia si tiene.

Guardar si suole o strada o guado o ponte,

loco facile a intrar; non dove sia

fiume profondo o inacessibil monte.

Poi che vietar non posso a lor tal via,

che non faccian peggior effetto almeno

porrò ogni sforzo ed ogni industria mia;

sappil chi 'l vuol saper, ch'io son sì pieno,

sì colmo di letizia e di contento,

che non la cape a una gran parte il seno;

ma la cagion del gran piacer ch'io sento

non vuol che suoni voce o snodi lingua;

e faccia Dio, se mai di ciò mi pento,

che l'una svelta sia, l'altra si estingua.

 




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