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Ludovico Ariosto
Rime

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  • MADRIGALI
    • XV
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XV

 

Ben è dura e crudel, se non si piega

donna a prometter quanto un suo fedele,

che lungamente l'ha servita, priega;

ma se promette largamente e che le

promesse poi si scordi o non attenga,

molto è più dura e molto è più crudele;

né fermo un sì né fermo un no mai tenga,

pur com'ogni parola che l'uom dice

all'orecchie de' dèi sempre non venga.

E non sa ancor di quanto mal radice

questo le sia, se ben non va col fallo

la pena allor allor vendicatrice;

ma lo segue ella con poco intervallo,

ed ogni cor che qui par sì coperto

transparente è la su più che cristallo.

Promesso in dubbio non mi fu, ma certo

dicesti darmi quel ch'oltra l'avermi

promesso voi, mi si devea per merto.

Se promettendo aveste pensier fermi

d'attener, indi li mutaste, io voglio,

ed ho perpetuamente da dolermi.

Del mio giudicio rio prima mi doglio,

che le speranze mie sparse ne l'onde,

credendomi fondarle in stabil scoglio.

Dogliomi ancor che questo error ridonde

in troppa infamia a voi, perché vi mostra

volubil più ch'al vento arida fronde.

Ma se diversa era la mente vostra

da le promesse, ed altro era in la bocca,

altro nel cor, ne le secrete chiostra,

questo fu inganno, e più dirò, che tocca

di tradimento; ma di par la fede

e per questo e per quel morta trabocca.

A queste colpe ogn'altra colpa cede;

più si perdona all'omicidio e al furto

ch'al pergiurarsi e all'ingannar chi crede.

Né mi duol sì che 'l vostro attener curto

m'abbia sumerso al fondo del martìre,

al fondo onde non son mai più risurto,

come che per vergogna né arrossire,

né segno alcuno per la fede rotta

di pentimento in voi veggio apparire.

La fede mai esser non dee corrotta,

o data a un sol o data ch'odan cento,

data in palese o data in una grotta.

Per la vil plebe è fatto il giuramento,

ma tra li spirti più elevati sono

le simplici promesse un sacramento.

Voi, donne incaute, alle quali era bono

esser belle nel cor come nel volto,

l'un di natura, e l'altro proprio dono,

troppa baldanza e troppo arbitrio tolto

v'avete, e di poter tutte le cose

forse vi par, perché potete molto.

Se da le guance poi cadon le rose,

fuggon le grazie, se riman la fronte

crespa e le luci oscure e lacrimose,

se l'auree chiome e con tal studio cónte

mutan color, se si fan brevi e rare,

de' vostri danni è vostra colpa fonte.

De la vostra beltà che così spare

forse Natura prodiga non fòra,

se voi di vostra fé fusse più avare.

Ma donna in nessun loco, a nessun'ora

d'ordire inganni altrui mai s'ebbe loda,

sia a chi si vuol, né alli nemici ancora.

E chi serà che con più biasmo s'oda

notar, di quel ch'alli congiunti suoi

o di sangue o d'amor cerchi usar froda?

Tanto più a chi si fida. Or chi di noi

eran più d'amor giunti? e chi fidarsi

puote mai più ch'io mi facea di voi?

S'al merito e al demerito aspettarsi

l'uom deve il premio ed il supplicio uguale,

né al punir né al premiar son li dèi scarsi.

Come temo io che ve ne venga male,

se 'l pentir prima e 'l satisfar non giugne

a cassar questo error più che mortale!

S'a voi per mia cagione o macchiar l'ugne,

o vedessi un crin mosso, oimè, che doglia!

Solo il pensarvi me da me disgiugne.

Voi di periglio e me di pena toglia

un pentir presto, un satisfarmi intero;

che sia il debito vostro, e quel ch'io voglia,

ch'a saper abbia altri che voi non chero.

 




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