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Ludovico Ariosto Rime IntraText CT - Lettura del testo |
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XX
Quel fervente desio, quel vero ardore che diè principio e mezo a' desir mei, darà ancor fine a' miei stenti e sudore. Né curo i sospir più, né tanti omei, né le minacce, ire, téme e paura, l'abisso, il mondo, il ciel, uomini e dèi: ché una fondata rocca, alta e sicura, mi guarda il regno mio, detta costanzia, che ferro in fuoco a martellar non cura. Li fondamenti, ove si posa e stanzia, son di stabilità viva fermezza; la calce e pietre è sol perseveranzia; l'inespugnabil mur viva fortezza; le sue difese, scudi e bastione, son fé che ogni timore fugge e sprezza. Regge speranza il mastro torrione sotto due guardie; una, fedel, chiamata prudenzia, e l'altra, svegliata, ragione. Castellano è un amor fermo e provato, che scorge il tutto; li sergenti èn poi solliciti pensier, ciascun fidato. L'artelaria, i sassi e i dardi soi, è audacia, i parlar pronti e acuti sguardi, come dicesse: - Accóstati, se pòi. - Son cocenti desìr quel fuoco che ardi; polvere ardente il ton che romba in lutto, resoluti sospir saette e dardi. Provisto antiveder, sagace, instrutto, son poi le monizion che d'ora in ora dà agli inimici alle occorrenzie in tutto. Li inimici, lo assedio ch'è di fuora, son gelosia, timor, odio, disdegno, disprezzo, crudeltà, lunga dimora. Ma tutte le lor forze e 'l lor disegno è 'n tagliar d'acqua e in batter d'adamante, ch'è troppo il castellan provido e degno. Dunque, con quel pensier fermo e costante che incominciai la mia amorosa guerra, con quel seguitarò la impresa inante: ché una rocca di fé mai non si atterra.
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