20
dicembre.
"Rendo
grazie alla tua amicizia, Guglielmo, che ti ha fatto interpretare così la mia
parola. Hai ragione, per me la miglior cosa sarebbe di partire. La proposta che
mi fai di ritornare fra voi non mi piace completamente; vorrei almeno fare
ancora una deviazione, tanto più che possiamo sperare di avere un ghiaccio
solido e buone strade. Mi fa anche molto piacere che tu pensi di venirmi a
prendere: lascia però passare una quindicina di giorni e aspetta da me un'altra
lettera con ulteriori avvisi. E' necessario non raccogliere alcun frutto prima
che sia maturo. E quindici giorni di più o di meno contano molto. Dirai a mia
madre di pregare per suo figlio, e le dirai che le domando perdono di tutti i
dispiaceri che le ho dato. Era mio destino di turbare coloro che avrei dovuto
rendere felici. Addio, mio carissimo! Che il cielo ti benedica. Addio!"
Che
cosa passava in quel periodo nell'animo di Carlotta, quali erano i suoi
sentimenti verso il marito, verso l'amico infelice, possiamo appena tentare di
esprimerlo, sebbene, conoscendo il suo carattere, possiamo farcene un'idea, e
ogni bell'anima femminile possa penetrare in quella di Carlotta e SENTIRE con lei.
Senza
alcun dubbio lei era decisa a tentare ogni mezzo per allontanare Werther, ed
esitava a causa di un tenero amichevole sentimento, sapendo quanto una cosa che
gli pareva quasi impossibile lo avrebbe fatto soffrire. Pure in quel momento si
sentiva più che mai spinta ad agire seriamente; suo marito serbava su
quest'amicizia l'assoluto silenzio che lei stessa aveva sempre serbato, e Carlotta
voleva mostrargli con i fatti che aveva sentimenti degni dei suoi.
Lo
stesso giorno in cui Werther aveva scritto al suo amico l'ultima lettera qui
riferita, era la domenica prima di Natale; andò la sera da Carlotta, e la trovò
sola. Era occupata a mettere in ordine dei giocattoli che aveva destinato ai
fratellini come doni di Natale. Egli parlò del piacere che avrebbero goduto i
bambini, e del momento in cui all'inaspettata apertura di una porta sarebbe
apparso l'alloro illuminato, ornato di dolci e di mele, facendo provare ai
fanciulli gioie paradisìache.
"Anche
voi, disse Carlotta, cercando di nascondere la sua confusione con un dolce
sorriso, anche voi avrete il vostro regaluccio se sarete buono, una candela di
cera, e qualche altra cosa ancora!" - "E che cosa significa per voi
esser buono, egli esclamò, come devo essere, che cosa posso fare, cara Carlotta?"
- "Giovedì sera, disse lei, è la vigilia di Natale; i bambini verranno,
mio padre verrà, ognuno avrà il suo regalo; venite anche voi... ma non
prima". -
Werther
tacque stupefatto. "Vi prego, continuò Carlotta, deve essere così; ve ne
prego per la mia pace; non è possibile continuare in questo modo". E non
lo guardava, e andava su e giù per la stanza dicendo piano: così non si può
continuare! Comprendendo poi in quale orribile stato queste parole mettevano il
giovane, lei cercava di deviare con altri argomenti i suoi pensieri, ma invano.
"No, Carlotta, esclamava lui, non vi vedrò più!". - "Ma,
perché‚? replicava lei, Werther, voi potete, voi dovete rivedermi, soltanto,
moderatevi. Ah perché‚ siete nato con questa violenza, questa passione
irresistibile, ostinata che vi prende per tutto ciò a cui vi avvicinate? Vi
prego, disse ancora stringendogli la mano; vi prego, moderatevi. Pensate a
tutti i godimenti che possono procurarvi il vostro spirito, la vostra
istruzione, i vostri talenti: siate un uomo! rinunciate a questo infelice amore
per una creatura che può soltanto compiangervi!".
Egli
stringeva i denti, e la guardava cupo. Ma la donna gli teneva sempre la mano, dicendo:
"Per un momento, ascoltatemi a mente calma, Werther, non sentite che vi
sbagliate, e che andate volontariamente verso l'abisso? perché‚, Werther, amare
proprio me che appartengo a un altro? proprio me? Io temo, io temo che
l'impossibilità di possedermi sia quella che eccita il vostro desiderio".
Egli
svincolò la sua mano da quella di lei e l'avvolse in uno sguardo stupito e
corrucciato. "Bene, disse, molto bene! è forse di Alberto questa
osservazione? In verità è abile, veramente abile!" - "Ognuno potrebbe
fare una simile riflessione, replicò lei. Non si può trovare nel mondo una fanciulla
che possa soddisfare i desideri del vostro cuore? Pensate a questo, cercate, e,
ve lo prometto, troverete. Un viaggio senza dubbio potrà distrarvi. Cercate, e
troverete una creatura degna del vostro amore; poi ritornate e godremo insieme
la dolcezza di una sincera amicizia".
Con
un freddo sorriso egli disse: "Il vostro discorso si potrebbe stampare e
raccomandare a coloro che governano i popoli! Mia cara Carlotta, lasciatemi
riposare un poco, poi tutto si accomoderà!" - "Soltanto, Werther, non
venite prima della vigilia di natale!".
Egli
voleva rispondere, quando Alberto entrò nella stanza. Si diedero freddamente la
buonasera e passeggiarono su e giù nella camera imbarazzati. Werther cominciò
un discorso insignificante, che ben presto cadde. Alberto fece lo stesso, poi
domandò a sua moglie di alcune commissioni e, sentendo che non erano state
eseguite, pronunciò parole che a Werther parvero fredde e anche aspre. Voleva
andarsene, e non poteva, e aspettò fino alle otto, mentre il suo dispetto e il
suo malumore aumentavano, aspettò fino a che la tavola fu apparecchiata, e
prese infine il cappello e il bastone. Alberto lo invitò a restare, ma a lui
parve vedere in quelle parole un complimento convenzionale, per cui ringraziò
freddamente e se ne andò.
Giunse
a casa, prese il lume dalle mani del domestico che voleva fargli luce, andò
solo nella sua stanza. Pianse forte, parlò da s‚ con violenza, passeggiò
agitato su e giù per la camera, infine si gettò vestito sul letto. Lì lo trovò
il domestico quando verso le undici osò entrare e domandare se il signore
voleva farsi togliere gli stivali. Egli lasciò fare, e poi ordinò al servo di
non entrare la mattina seguente senza esser chiamato.
Il
lunedì mattina, ventuno dicembre, scrisse la seguente lettera che, dopo la sua
morte, fu trovata suggellata sulla sua scrivania e che fu consegnata a
Carlotta. La riporto qui in frammenti come probabilmente fu scritta, date le
circostanze.
"E'
deciso, Carlotta, voglio morire, e te lo scrivo senza esaltazione romantica,
rassegnato, il mattino dell'ultimo giorno in cui ti vedrò. Quando tu, cara,
leggerai questa lettera, la fredda tomba chiuderà i resti mortali dell'uomo
irrequieto, infelice, che negli ultimi momenti della sua vita non conosce
dolcezza più grande di quella di intrattenersi con te. Ho trascorso
un'orribile, ma pur benefica notte: essa ha fortificato, determinato la mia
risoluzione: voglio morire! Quando ieri mi sono strappato da te in una
spaventosa esaltazione dei miei sensi il cui tumulto mi opprimeva il cuore, e
triste, disperato vicino a te, mi sentivo avvolgere da un brivido orribile e
freddo, potei appena raggiungere la mia stanza, caddi in ginocchio e Tu, o Dio,
mi concedesti il sollievo di versare le più amare lacrime! Mille idee, mille
diversi pensieri tumultuarono nel mio animo, e uno infine, ultimo, unico,
rimase fermo e incrollabile: morire! Mi sono coricato, e stamattina nella calma
del risveglio quel pensiero è ancora calmo nel mio cuore: voglio morire! Non è
disperazione; è la certezza di aver terminato il mio compito, e di sacrificarmi
per te. Sì, Carlotta, perché‚ dovrei tacerlo? Uno di noi tre deve sparire, e io
sarò quello! Amica mia, nel mio cuore lacerato spesso si è insinuata l'insana
idea... di uccidere... tuo marito! te! me! Così sia. Quando in una bella sera d'estate
tu salirai sulla collina, ricordati di me: ricorda quante volte ho attraversato
la valle, poi volgi il tuo sguardo verso il cimitero, verso la mia tomba;
guarda il vento che fa ondeggiare l'erba alta nello splendore del sole che
tramonta... Ero tranquillo quando ho cominciato a scrivere, e ora... ora piango
come un bambino pensando a tutto questo rigoglio di vita intorno a me".
Verso
le dieci Werther chiamò il suo domestico, e mentre si faceva aiutare a vestirsi
gli disse che avrebbe fatto un viaggio di alcuni giorni; che bisognava mettere
in ordine gli abiti, e preparare ogni cosa per i bagagli; gli diede anche
l'ordine di richiedere tutti i conti da saldare, di farsi rendere alcuni libri
prestati, e di dare due mesi anticipati ad alcuni poveri cui egli soleva fare
settimanalmente un'elemosina.
Si
fece portare il pranzo in camera e poi andò a cavallo dal borgomastro, che non
trovò a casa. Passeggiò pensieroso per il giardino, come se avesse voluto
ancora una volta raccogliere e assaporare tutta la malinconìa dei ricordi.
I
bambini non lo lasciarono a lungo tranquillo; lo rincorsero, gli saltarono
addosso e gli dissero che trascorso il domani, e il giorno seguente e un altro
ancora, sarebbero andati da Carlotta a ricevere i doni di Natale e gli narrarono
le meraviglie che sognavano con la loro immaginazione infantile. Domani, egli
esclamò, dopodomàni e un altro giorno ancora... Li baciò tutti con affetto e
voleva lasciarli quando il più piccolo volle dirgli una cosa all'orecchio. E
gli raccontò che i fratelli grandi avevano scritto belle lettere di augurio,
tanto lunghe, e che ce n'era una per il babbo, una per Alberto e Carlotta, e
anche una per il signor Werther: le avrebbero mostrate il giorno di capodanno!
Werther fu sopraffatto dalla commozione, regalò qualcosa a ciascuno dei bimbi,
montò a cavallo, lasciò i saluti per il padre, e partì con le lacrime agli
occhi.
Ritornò
a casa verso le cinque e ordinò alla donna di sorvegliare il fuoco e di
mantenerlo acceso fino alla notte. Al servo disse di mettere in fondo al baule
i libri e la biancheria, e di preparare gli abiti. Probabilmente allora scrisse
il seguente periodo della sua ultima lettera a Carlotta.
"Tu
non mi attendi! tu pensi che io ti ubbidirò e ti rivedrò soltanto la sera della
vigilia di Natale. Oh Carlotta, oggi o mai più! La vigilia di Natale tu terrai
questa carta fra le mani, tremerai e la bagnerai con le tue lacrime. Io voglio!
Io devo! Come mi sento soddisfatto di essermi deciso!"
Carlotta
intanto si trovava in una strana situazione. Dopo la sua ultima conversazione
con Werther aveva compreso quanto le sarebbe stato doloroso separarsi da lui,
quanto egli avrebbe sofferto se si fosse dovuto allontanare da lei.
In
presenza di Alberto era stato detto, come incidentalmente, che Werther non sarebbe
ritornato prima della vigilia di Natale, e Alberto si era recato a cavallo da
un funzionario col quale aveva degli affari da definire e in casa di cui
avrebbe trascorso la notte.
Carlotta
era dunque sola; nessuno dei fratelli le era vicino, e lei si abbandonava ai
suoi pensieri, esaminando con calma il suo stato d'animo. Si vedeva unita per
la vita a un uomo di cui conosceva l'amore e la fedeltà, al quale si era data
con tutto il cuore, e che sembrava essere stato
creato apposta dal cielo, così tranquillo e sicuro, per formare la felicità di
una donna onesta; sentiva che cosa sarebbe sempre stato per lei o per
i suoi figli. D'altra parte Werther le era divenuto molto caro: dal primo
momento in cui si erano conosciuti, l'affinità dei loro caratteri si era
rivelata: la loro lunga relazione, e alcuni speciali momenti che avevano
vissuto insieme le avevano lasciato in cuore un'impressione indelebile. Era
abituata a farlo partecipare a tutto quanto interessava il suo pensiero e il
suo cuore; la partenza di lui minacciava la sua esistenza di un vuoto che non
avrebbe potuto esser colmato. Oh se avesse potuto in quel momento cambiarlo in
un fratello, come sarebbe stata felice! Se avesse osato fargli sposare una
delle sue amiche avrebbe potuto sperare di rimetterlo in buoni rapporti con
Alberto!
Aveva
passato in rivista tutte le sue amiche; a ognuna trovava qualche difetto, e a
nessuna avrebbe volentieri dato Werther. E così pensando finì col sentire
profondamente pur senza formulare chiaramente il suo pensiero, che il suo
segreto desiderio era quello di tenerselo per s‚, mentre invece non poteva e
non doveva tenerselo. La sua anima bella e pura, che era stata fino allora
libera e coraggiosa, sentì in quel momento il peso di una malinconìa che le
precludeva ogni speranza di gioia. Il suo cuore era oppresso, i suoi occhi
offuscati da una nube oscura.
Erano
le sei e mezzo quando sentì Werther che saliva la scala, e ben presto riconobbe
il suo passo, la sua voce che chiedeva di lei. Per la prima volta, possiamo
quasi dire, il cuore le batt‚ forte all'arrivo di lui. Avrebbe voluto non
riceverlo, e quando entrò gli disse con un appassionato turbamento: "Non
avete tenuto la vostra parola!" - "Non ho promesso nulla", fu la
risposta. - "Avreste almeno dovuto aver riguardo alla mia preghiera,
replicò lei: ve lo domandavo per la pace mia e vostra".
Lei
non sapeva bene quel che diceva, e neppure quel che faceva quando mandò a
chiamare qualche amica per non rimanere sola con Werther. Egli posò sulla
tavola dei libri che aveva portato, ne chiese altri, mentre Carlotta ora
desiderava ora temeva che le amiche venissero. La cameriera tornò e disse che
le due amiche chiedevano scusa di non poter venire.
Lei
pensò allora di far rimanere la donna con il suo lavoro nella stanza vicina, ma
poi cambiò idea. Werther andava su e giù per la stanza, lei si avvicinò al
piano, e cominciò un minuetto, che però non gli riusciva. Si calmò intanto, e
pot‚ tranquillamente sedere vicino a Werther nel solito posto sul divano.
"Non
avete niente da leggere?" chiese. Werther non aveva nulla. "Là, nel
mio cassetto, riprese Carlotta, c'è la vostra traduzione di alcuni canti di
Ossian: non li ho ancora letti, perché‚ speravo sempre di udirli da voi, ma
da allora non è mai stato possibile".
Egli
sorrise, prese il poema, e un brivido lo scosse quando lo ebbe fra le mani, e
gli occhi gli si riempirono di lacrime quando li posò sullo scritto. Sedette, e
cominciò a leggere:
"Stella
della notte crepuscolare, tu risplendi fulgida all'occidente, tu alzi dal seno
della tua nuvola la testa raggiante, e maestosamente avanzi sulla tua collina.
Che cosa guardi nella brughiera? I venti tempestosi si sono calmati, da lontano
giunge il mormorìo del torrente; onde sussurranti si frangono contro la roccia
lontana; nei campi si diffonde il ronzìo degli insetti della sera. Che cosa
guardi, bella luce? Ma tu sorridi, e passi, e ti circondano i flutti che
bagnano la tua chioma graziosa. Addio, raggio tranquillo. Risplendi tu,
splendida luce dell'anima ossianica!
"Ed
essa appare in tutto il suo splendore. Vedo i miei amici che non sono più, essi
si raccolgono su Lora, come nei giorni passati. Fingal avanza come un'umida
colonna di nebbia, intorno gli stanno i suoi eroi, ed ecco i bardi del canto!
Ullino, dalle grige chiome, Ryno maestoso, e Alpin, il dolce cantore, e tu,
Minona, che con dolcezza ti lamenti! Come siete cambiati, amici miei, dai
giorni festosi di Selma in cui noi ci disputavamo il premio del canto, come i
venti primaverili che sfiorando alterni la collina fanno piegare la flessibile
erba mormorante!
"Allora
Minona avanzò bella, con lo sguardo abbassato e gli occhi pieni di lacrime: i
suoi folti capelli erano agitati dal vento che soffiava dalla collina... Una
cupa tristezza oscurò l'anima degli eroi quando la dolce voce si levò; perché‚
spesso essi avevano visto la tomba di Salgar, spesso la tenebrosa dimora della
bianca Colma. Colma, abbandonata sulla collina, con la sua voce armoniosa.
Salgar aveva promesso di venire, ma scendeva intorno la notte. Ascoltate la
voce di Colma quando era sola, seduta sulla collina".
COLMA:
"E' notte! Io sono sola, perduta sulla collina tempestosa. Il vento soffia
nelle montagne; il fiume precipita giù dalla roccia. Nessuna capanna mi ripara
dalla pioggia; sono abbandonata sulla collina tempestosa.
"Esci
dalle nubi, o Luna! Risplendete, stelle della notte! Un raggio mi guidi al
luogo dove il mio cuore riposa dopo le fatiche della caccia, avendo vicino
l'arco disteso e i cani ansanti.
"perché‚
indugia il mio Salgar? Ha forse dimenticato la sua promessa? Qui è la roccia, e
l'albero e il torrente mormorante, ed egli aveva promesso di trovarsi qui al
cader della notte; oh dove si sarà smarrito il mio Salgar? Io volevo fuggire
con te, abbandonare il padre e i fratelli orgogliosi! Da lungo tempo sono
nemiche le nostre stirpi, ma noi non siamo nemici, o Salgar!
"Taci
un istante, o vento! Calmati un breve attimo, o torrente, affinch‚ la mia voce
possa risonare attraverso la valle, e il mio viandante mi oda. Salgar, sono io
che ti chiamo. Qui c'è l'albero e la roccia! Salgar, mio amato, sono qui;
perché‚ tardi a venire?
"Vedi,
la luna risplende, il fiume riluce nella valle, le rocce grige si ergono sulla
collina: ma io non vedo lui sulle alture; i suoi cani dinanzi a lui non
annunciano la sua venuta. Devo sedere qui sola.
"Ma
chi sono coloro che io vedo sdraiati laggiù sulla brughiera? Il mio amato? mio
fratello? Parlate, miei cari. Essi non rispondono. Quanta angoscia nell'animo
mio! Ah, essi sono morti. Le loro spade sono tinte di sangue! Fratello, fratello,
perché‚ hai ucciso il mio Salgar? O mio Salgar, perché‚ hai ucciso mio
fratello? Mi eravate tutti e due tanto cari! Tu eri bello tra mille, sulla
collina. Egli era terribile nel combattimento. Rispondetemi! Udite la mia voce,
miei cari! Ahim‚ sono muti, muti per sempre! Il loro petto è
freddo come la terra!
"Dalle
rocce del colle, dalla cima dei monti tempestosi, parlate, spiriti dei morti!
parlate! Io non avrò paura! Dove siete andati a cercare riposo? in quale
caverna delle montagne vi ritroverò? Non colgo neppure una debole voce nel
vento, nessuna risposta spirante nella tempesta della collina.
"Rimango
qui nella mia desolazione, aspetto piangendo il mattino. Scavate la tomba,
amici dei morti, ma non chiudetela finch‚ io non venga. La mia vita svanisce
come un sogno; come potrei restare ancora? Voglio abitare con i miei amici
presso il torrente della roccia fragorosa... Quando farà notte sui monti e
soffierà il vento nella landa, la mia ombra si fermerà nel vento e piangerà la
morte dei miei amici. Il cacciatore mi sentirà dal suo pergolato, temerà la mia
voce, e poi l'amerà: perché sarà dolce la mia voce nel piangere i miei amici:
mi erano entrambi assai cari!
"Questo
era il tuo canto, o Minona, figlia di Torman, dalle rosee guance. Piangemmo
amare lacrime per Colma, e la nostra anima era cupa.
"Ullino
partì con la sua arpa e accompagnò il canto di Alpin... La voce di Alpin era
dolce, l'anima di Ryno era un raggio ardente. Ma già essi riposavano nella
stretta casa, e la loro voce non si udiva più a Selma. Un giorno Ullino al
ritorno dalla caccia, prima che gli eroi fossero caduti, sentì la loro gara di
canti sulla collina. Il loro canto era dolce, ma triste; essi piangevano la
morte di Morar, il primo degli eroi. La sua anima era come l'anima di Fingal;
la sua spada come la spada di Oscar. Ma egli cadde, e il padre pianse, e gli
occhi della sorella furono pieni di lacrime, si riempirono di lacrime gli occhi
di Minona, sorella dello splendido Morar. Ella indietreggiò dinanzi al canto di
Ullino, come la luna al tramonto quando prevede la tempesta, e nasconde in una
nuvola la sua bella testa. Io accompagno sull'arpa con Ullino il canto del
dolore".
RYNO:
"Il vento e la pioggia sono cessati, il mezzogiorno è sereno, le nuvole si
aprono. Il sole incostante illumina fuggevolmente la collina. Il torrente della
montagna precipita raggiando nella valle. Dolce è il tuo mormorìo, o torrente,
ma più dolce è la voce che io odo. E' la voce di Alpin che piange il morto. La
sua testa è curva per la vecchiaia, i suoi occhi sono arrossiti dal pianto.
Alpin! nobile cantore, perché‚ sei solo sulla collina silente? perché‚ gemi
come un turbine nella foresta, come un'onda sulla riva lontana?".
ALPIN:
"Le mie lacrime, Ryno, sono per i morti, la mia voce per gli abitatori
della tomba. Tu sei alto sulla collina, e bello tra i tigli della pianura. Ma
tu cadrai come Morar, e sulla tomba verrà un afflitto a piangere. I colli ti
dimenticheranno; il tuo arco disteso poserà in un'alta sala.
"Tu
eri rapido, Morar, come un capriolo sulla roccia, terribile come una fiamma
notturna nel cielo. La tua collera era una tempesta, la tua spada nella
battaglia, un lampo sulla landa. La tua voce sembrava il torrente dopo
la pioggia, il tuono grondante tra le montagne. Molti caddero sotto il tuo braccio,
la fiamma della sua ira li consumò. Ma quando tu ritornavi dal combattimento,
com'era calma la tua fronte! Il tuo viso era come il sole dopo la tempesta,
come la luna nella notte silenziosa; il tuo seno era tranquillo come il lago
quando è cessato il rumore del vento.
"Ormai
è angusta e oscura la tua dimora! Con tre passi misura la tua tomba... e prima
tu eri così grande! Quattro pietre coperte di muschio sono il tuo solo
monumento; un albero spoglio, lunghe erbe mormoranti al vento indicano al cacciatore
la tomba del possente Morar. Non hai la madre che ti pianga, non una fanciulla
che ti dia le lacrime dell'amore. Morta è colei che ti ha generato, caduta è la
figlia di Morglan.
"Chi
è quell'uomo che avanza appoggiato al bastone? e il suo capo è bianco per la
vecchiaia, i suoi occhi arrossiti dal pianto? E' tuo padre, Morar, tuo padre
che non ebbe altri figli che te. Egli udì la tua voce nella battaglia, sentì
che i nemici erano stati distrutti: seppe la gloria di Morar! Ah! e non seppe
nulla, forse, della sua ferita? Piangi, padre di Morar, piangi! Ma non ti ode
tuo figlio! Profondo è il sonno dei morti, profondo il loro cuscino di polvere.
Mai egli sentirà la tua voce, mai sarà risvegliato al tuo appello. Ah quando si
farà luce nella tomba, e sarà detto a colui che dorme: risvegliati!
"Addio,
nobilissimo fra gli uomini, invincibile sul campo di battaglia! Ma il campo non
ti vedrà più, la cupa foresta non risplenderà più al bagliore del tuo brando.
Tu non lasci alcun figlio, ma il canto del bardo farà risonare il tuo nome, e i
tempi futuri sentiranno parlare di te, sapranno del caduto Morar.
"Alti
si leveranno i pianti degli eroi, più alti di tutti i sospiri di Armin,
oppresso dal dolore. Questo canto gli rammentava la morte del figlio caduto nel
fiore della giovinezza. Carmor era seduto presso l'eroe, Carmor il principe di
Galmal dall'eco sonora. perché‚, diss'egli, risuona il gemito di Armin? perché‚
piangere qui? Il canto e la musica non echeggiano forse per mitigare e
alleviare il dolore dell'animo? Essi sono come una nebbia leggera che salendo
dal lago si diffonde sulla valle e bagna di rugiada i fiori sboccianti; ma il
sole ritorna con tutta la sua forza, e la nebbia è dispersa. perché‚ sei così
pieno di dolore, Armin, signore di Gorma circondata dai flutti?
"Addolorato!
A ragione io lo sono e non è lieve la causa del mio dolore. Carmor, tu non hai
perduto nessun figlio, non hai perduto nessuna figlia fiorente; vive il
valoroso Colgar, vive Annira la più bella tra le fanciulle. I rami del tuo tronco
fioriscono, Carmor, ma Armin è l'ultimo della sua razza. Buio è il tuo letto,
Daura; profondo è il tuo sonno nella tomba. Quando ti risveglierai con i tuoi
canti, con la tua voce melodiosa? Levatevi, venti d'autunno, turbinate
sull'oscura brughiera! Rumoreggiate, torrenti nella foresta! muggite, tempeste
sulle cime delle querce! Passa, o Luna, attraverso le nuvole infrante, e mostra
a tratti il tuo pallido viso. Ricordami la notte orribile in cui perirono i
miei figli, in cui cadde il potente Arindal e sparì la bella Daura.
"Daura,
figlia mia, eri bella! bella come la luna sulle colline di Fura, bianca come la
neve appena caduta, dolce come il soffio dell'aria. Arindal, il tuo arco era
forte, la tua lancia rapida sul campo, il tuo sguardo come nebbia sull'onda, il
tuo scudo una nuvola di fuoco nella tempesta!
"Armar,
famoso guerriero, venne, e desiderò l'amore di Daura; ella non gli resist‚ a
lungo; belle erano le speranze degi amici di lei.
"Ma
Erath, figlio di Odgal, fremeva di rabbia perché‚ suo fratello era stato ucciso
da Armar. Egli venne, travestito da marinaio. Bella era la sua barca sull'onda;
i suoi capelli erano bianchi per la vecchiaia, calmo il suo viso austero. Egli
disse: bella fanciulla, amata figlia di Armin, là sulla roccia, non lontano,
nel lago, dove i rossi frutti occhieggiano dall'albero, là Armar attende Daura;
io vengo per portare a lui la sua amata sui mobili flutti.
"Ella
lo seguì, e chiamò Armar; le rispose soltanto la voce della roccia. Armar! mio
amato! perché‚ mi tormenti così? Ascolta, figlio di Arnath! ascolta, è Daura
che ti chiama!
"Erath,
il traditore, fuggì ridendo verso la terra. Lei alzò la voce e chiamò il padre
e il fratello: Arindal! Armin! Nessuno viene a salvare Daura?
"La
sua voce giunse di là dal mare. Arindal, il figlio mio, scendeva dalla collina,
carico del bottino di caccia; le frecce gli tintinnavano al fianco, aveva
l'arco in mano, cinque cani neri gli erano intorno. Egli vide l'ardito Erath
sulla riva, lo prese, lo legò a una quercia, gli cinse i fianchi di solidi
lacci, e il prigioniero riempiva l'aria dei suoi lamenti.
"Arindal
affronta le onde sul suo battello per andare a liberare Daura. Giunse Armac in
furore, fece partire la freccia dalle piume grigie, e ti colpì al cuore,
Arindal, figlio mio; tu fosti colpito invece di Erath il traditore; la barca
raggiunse la roccia; Arindal cadde e morì. Ai suoi piedi scorse il sangue di
tuo fratello; quale dolore, o Daura!
"Le
onde distrussero la barca. Armar si precipitò nel lago, per salvare la sua
Daura o morire. Improvvisamente un colpo di vento piombò dalla collina sul
lago: Armar andò a fondo e non ritornò a galla, mai più.
"Io
sentivo il lamento di mia figlia, sola sulla roccia battuta dalle onde.
Ripetute e forti erano le sue grida, e io, suo padre, non potevo salvarla.
Tutta la notte restai sulla riva; la vedevo ai deboli raggi lunari; tutta la
notte sentii i suoi lamenti; forte era il vento, e la pioggia batteva impetuosa
i fianchi della montagna. La sua voce diventava più debole, e prima che
spuntasse il giorno ella esalò il suo ultimo respiro, come il vento della sera
fra l'erba della roccia. Morì oppressa dal dolore, e lasciò solo Armin. Non c'è
più colui che era la mia forza in guerra, non c'è più quella che era il mio
orgoglio fra le fanciulle.
"Quando
vengono le tempeste dai monti, quando la tramontana gonfia le onde, io siedo
sulla riva sonora e guardo la terribile roccia. E spesso nella cadente luce
lunare, io vedo gli spiriti dei miei figli, che illuminati da una luce
crepuscolare, passano insieme, tristemente riuniti".
Un
torrente di lacrime, che cadde dagli occhi di Carlotta alleviando il suo cuore
oppresso, interruppe la lettura di Werther. Egli gettò via le carte, prese la
mano di lei, e versò lacrime amare. Carlotta posava la testa sull'altra mano e
si copriva gli occhi con il fazzoletto. La commozione di entrambi era
spaventosa. Essi sentivano la loreo triste sorte nel destino di quegli eroi; la
sentivano insieme, e le loro lacrime si confondevano. Le labbra e gli occhi di
Werther bruciavano il braccio di Carlotta; un brivido la prese; si volle
allontanare, ma il dolore e la pietà la tenevano come incatenata. Sospirò,
cercò di riprendersi e, singhiozzando, pregò Werther di continuare la lettura;
lo pregò con voce divina. Werther tremò, e gli parve che il suo cuore si
spezzasse; riprese i fogli e lesse con voce interrotta:
"perché‚
mi svegli, soffio di primavera? Tu mi carezzi, e dici: io bagno la terra con la
rugiada del cielo! Ma il tempo del mio declino è prossimo, prossima è la
tempesta che strapperà le mie foglie. Domani verrà il viandante, verrà colui
che vide la mia bellezza, e volgerà gli occhi intorno nei campi cercandomi, e
non mi troverà...".
La
potenza di queste parole colpì l'infelice. Egli si gettò ai piedi di Carlotta,
al colmo della disperazione, le prese le mani, se le premette sugli occhi,
sulla fronte; e come un presentimento del suo orrendo proposito passò
attraverso l'anima di lei. I suoi sensi si smarrirono, prese le mani di
Werther, se le strinse al seno, s'inchinò verso di lui in preda a una dolorosa
commozione, e le loro guance ardenti si toccarono. Il mondo era sparito per
loro. Egli la circondò con le sue braccia, la strinse al seno e coprì di caldi
baci le sue pallide, tremanti labbra.
-
Werther! esclamò lei svincolandosi, con voce soffocata, Werther! - E debolmente
con una mano lo allontanò dal suo seno. - Werther - disse ancora con voce
esprimente il più nobile sentimento. Egli non resistette, se la lasciò sfuggire
dalle braccia, e cadde davanti a lei, smarrito. Lei si alzò violentemente e in
un doloroso turbamento, tremando d'amore e di collera, disse: - E' l'ultima
volta, Werther! Non mi vedrete mai più. - E guardando ancora amorosamente
l'infelice corse nella stanza vicina e chiuse la porta. Werther tese le braccia
verso di lei, ma non osò trattenerla. Rimase sdraiato a terra con la testa sul
divano e stette in questa posizione più di mezz'ora, finch‚ un rumore lo fece
rientrare in s‚. Era la donna di servizio che voleva apparecchiare la tavola.
Egli andò su e giù per la stanza, e quando si vide di nuovo solo, andò alla
porta del gabinetto, e disse a bassa voce: Carlotta, Carlotta! una sola parola
ancora, soltanto un addio! Lei non rispose. Egli attese, pregò e attese, poi si
strappò di là gridando: addio, Carlotta, per sempre addio!
Arrivò
alla porta della città. Le guardie, che lo conoscevano, lo lasciarono passare
senza dir nulla. La neve cadeva, mista a pioggia, ed egli bussò alla porta di
casa sua soltanto verso le undici. Il domestico osservò, quando egli ritornò,
che al signore mancava il cappello. Non osò dire nulla, lo spogliò, e tutti i
suoi vestiti erano inzuppati di pioggia.
Si
trovò poi il cappello su una roccia che dalla collina sporge sulla valle, ed è
cosa inconcepibile che in quella notte piovosa e oscura egli sia salito su
quella roccia senza precipitare.
Si
mise a letto, e dormì a lungo. Il servo lo trovò che scriveva quando il mattino
seguente gli portò il caffè. Egli aggiunse quanto segue alla lettera per
Carlotta.
"Per
l'ultima volta, per l'ultima volta dunque io apro gli occhi. Ed essi non devono
più vedere il sole perché‚ una giornata triste e nebbiosa lo tiene coperto.
Prendi dunque il lutto, o natura! Tuo figlio, il tuo amico, il tuo amante si
approssima alla sua fine. Carlotta, è un sentimento ineffabile, che somiglia a
un confuso, torbido sogno, dire a se stessi: questo è l'ultimo giorno!
L'ultimo! Carlotta, non ha senso per me la parola ultimo. Io mi sento oggi nel
pieno delle mie forze, e domani sarò giacente senza forze a terra. Morire! Che
cosa significa? Vedi, noi sognamo quando parliamo di morte. Io ho visto più
volte morire, ma i limiti dell'umanità sono così angusti che per essa non hanno
senso il principio e la fine dell'esistenza. Oggi sono ancora in possesso di me
stesso... sono ancora tuo, tuo o mia amata. E fra un istante separato, passato,
per sempre forse? No, Carlotta,
no. Come posso io morire? come puoi tu morire? Noi esistiamo! Morire! che cosa
significa? Questa è una parola, un suono vano, che non ha senso per il mio
cuore. Morto, Carlotta, sepolto nella terra fredda, in un luogo stretto,
oscuro!... Io avevo un'amica che era stata tutto per me nella mia solitaria
giovinezza; morì, e io seguii i suoi funerali, e stetti vicino alla fossa nel
momento in cui vi calavano la bara e le corde stridendo discesero e risalirono;
poi la prima palata di terra cadde nella fossa e la bara diede un suono sordo,
cupo, sempre più cupo e infine fu
coperta. Io caddi presso la fossa, colpito, scosso, angosciato, lacerato nel
mio intimo, ma senza sapere che cosa mi era accaduto, che cosa mi sarebbe
accaduto. Morire! Tomba! io non capisco questa parola!
Perdonami,
perdonami! Ieri... avrebbe dovuto essere l'ultimo istante della mia vita. Mio
angelo! per la prima volta. Per la prima volta questo sentimento pieno di
voluttà mi ha penetrato: lei mi ama! mi ama! Brucia ancora sulle mie labbra il
sacro fuoco che colava a torrenti dalle tue: un nuovo ardore è nel mio cuore.
Perdonami!
Ah,
io sapevo bene che tu mi amavi, lo sapevo dai primi sguardi dai quali traspariva
la tua anima, dalla tua prima stretta di mano, eppure, quando ti lasciavo,
quando vedevo Alberto vicino a te, ricadevo nei miei dubbi febbrili.
Ricordi
tu i fiori che mi mandasti in quella fatale riunione nella quale non potesti dirmi
una parola n‚ porgermi la mano? Ho passato metà della notte inginocchiato
dinanzi ad essi, ed essi per me suggellavano il tuo amore. Ma ahim‚, queste
impressioni passavano come nell'anima del credente passa il sentimento della
grazia divina che pure egli ha ricevuto da Dio con segni sacri e visibili.
Tutto
questo è passeggero, ma l'eternità stessa non potrebbe spegnere la fiamma di
vita che ho raccolto ieri dalle tue labbra e che sento in me! Lei mi ama!
Questo braccio l'ha circondata, queste labbra hanno tremato sulle sue labbra,
questa bocca ha balbettato sulla sua. E' mia, tu sei mia, Carlotta, per sempre!
Che
importa se Alberto è tuo marito? Marito? Questo serve per il mondo, e per il
mondo è un peccato il mio di amarti, e di volerti strappare alle sue braccia.
Un peccato? bene, io me ne punisco, ma l'ho assaporato in tutta la sua celeste
voluttà, il mio cuore ha attinto in esso balsamo e forza di vita. Tu sei mia da
questo momento, mia, o Carlotta. Io ti precedo, vado da mio padre, da tuo
padre. Con lui mi lamenterò ed egli mi consolerà finch‚ tu verrai; io ti verrò
incontro a volo, ti prenderò, e resterò vicino a te, al cospetto dell'infinito
in un eterno abbraccio.
Non
sogno, non deliro. Vicino alla tomba, vedo più chiaro. Noi esisteremo, ci rivedremo,
vedremo tua madre! Io la vedrò, la troverò, aprirò il mio cuore davanti a lei.
Tua madre, la tua perfetta immagine!".
Verso
le undici Werther domandò al suo domestico se Alberto era ritornato. Il servo
disse: sì, ho sentito condurre nella stalla il suo cavallo. Allora Werther gli
diede un biglietto aperto, su cui aveva scritto:
"Volete
essere così gentile da prestarmi le vostre pistole per un viaggio che penso di
fare? Addio, state bene".
La
buona Carlotta aveva dormito poco la notte precedente: ciò che aveva temuto si
era avverato, e avverato in un modo che lei non aveva potuto n‚ temere n‚
presentire. Il suo sangue fino allora puro e tranquillo era in una febbrile
agitazione; mille diversi sentimenti agitavano il suo nobile cuore. Era forse
il fuoco degli abbracci di Werther che lei sentiva nel petto? Era indignazione
per il suo ardire temerario? era un doloroso paragone fra il suo stato presente
e i giorni d'ingenua e libera innocenza e di tranquilla fiducia in se stessa?
Come avrebbe potuto andare incontro a suo marito? Come informarlo di una scena
che avrebbe potuto benissimo confessare, ma che non osava confessare neppure a
se stessa? Per tanto tempo avevano taciuto uno verso l'altro; doveva essere lei
per prima a rompere il silenzio e in un momento così inopportuno fare al marito
l'inattesa rivelazione? Già temeva che la sola notizia della visita di Werther
facesse al marito una spiacevole impressione: che sarebbe avvenuto alla notizia
di una simile improvvisa catastrofe? Poteva lei sperare che il marito vedesse
la cosa nella sua giusta luce e non giudicasse senza prevenzione? e poteva
desiderare che egli le leggesse nell'anima? E d'altronde poteva lei dissimulare
verso l'uomo agli occhi del quale era stata sempre aperta e trasparente
come un cristallo e al quale non aveva mai nascosto n‚ mai potrebbe nascondere
nessuno dei suoi sentimenti?
Tutte
queste cose la riempivano di preoccupazione e di perplessità; e sempre il suo pensiero
tornava a Werther che era perduto per lei, che lei non poteva lasciare, che
doveva, ahim‚, lasciare a se stesso e al quale non sarebbe rimasto più nulla
dopo averla perduta.
Quanto
gli era stata dolorosa, bench‚ allora non fosse riuscita a spiegarsela, la
freddezza sopravvenuta tra Werther e Alberto! Due uomini intelligenti e buoni,
per alcuni segreti dissensi avevano cominciato col serbare il silenzio l'uno
verso l'altro; ognuno pensava alle sue ragioni e ai torti dell'altro, i loro
rapporti si erano turbati e inaspriti, ed era diventato impossibile sciogliere
il nodo nel momento critico da cui tutto dipendeva. Se una dolce intimità li
avesse presto avvicinati, se il loro affetto e la loro indulgenza reciproca si
fossero ravvivati ed avessero aperto i loro cuori, forse il nostro amico
avrebbe potuto ancora essere salvato.
Aggiungiamo
a tutto questo un'altra circostanza singolare. Werther, come noi sappiamo dalle
sue lettere, non aveva fatto un mistero del desiderio che egli aveva di
lasciare questa vita. Alberto l'aveva sempre combattuto, e
qualche volta Carlotta e il marito avevano parlato di questo. Alberto, che
sentiva per il suicidio una forte avversione, aveva spesso, con vivacità assai
strana per il suo carattere, espresso i suoi dubbi sulla sincerità di un simile
proposito, e aveva comunicato a Carlotta la sua incredulità. Lei si
tranquillizzava dunque quando al suo pensiero si presentava questa triste
preoccupazione, ma d'altra parte le pareva che ciò le impedisse di comunicare
al marito le ansie che la tormentavano in quel momento.
Alberto
ritornò, e Carlotta gli andò incontro con una vivacità un poco imbarazzata;
egli non era allegro, non aveva potuto concludere il suo affare, trovando nel
vicino borgomastro un uomo inflessibile e minuzioso. Le cattive strade avevano
aumentato il suo malumore.
Chiese
se era successo nulla di nuovo, e lei gli rispose precipitosamente che Werther
era venuto la sera prima. Alberto domandò poi se erano giunte lettere, e seppe
che una lettera e dei pacchi si trovavano nella sua stanza; vi andò e Carlotta
rimase sola. La presenza del marito che amava e stimava le aveva prodotto in
cuore una nuova impressione; il ricordo della sua nobiltà d'animo, del suo
amore e della sua bontà l'avevano calmata, e sentiva un segreto desiderio di
seguirlo; prese il suo lavoro e andò nella stanza di lui come soleva fare. Lo
trovò occupato ad aprire i pacchi e a leggere: alcuni sembravano avergli portato
notizie poco piacevoli. Lei gli fece qualche domanda alla quale Alberto rispose
brevemente, mettendosi a scrivere al suo tavolino.
Passarono
così un'ora l'uno vicino all'altra, e l'animo di Carlotta diventava sempre più cupo. Lei
sentiva come le sarebbe stato difficile dire al marito ciò che le pesava sul
cuore anche se egli si fosse trovato nelle migliori disposizioni, e cadde in
una malinconìa tanto più dolorosa in quanto si sforzava di nasconderla e di
inghiottire le lacrime.
L'apparizione
del domestico di Werther la gettò in una grande ansia; questi porse il
biglietto ad Alberto che si volse tranquillamente alla moglie, e le disse:
"Dagli le pistole", e al ragazzo disse: "Augurategli buon
viaggio da parte mia".
Carlotta
fu colpita come dal fulmine, si alzò vacillando, senza sapere che cosa le
accadesse. Lentamente si avvicinò alla parete, prese l'arma, ne tolse la
polvere, esitò e avrebbe indugiato ancora a lungo se Alberto non l'avesse
scossa con uno sguardo interrogativo. Diede al domestico il funesto ordigno
senza poter articolare parola, e appena egli fu uscito, piegò il lavoro e andò
nella sua stanza in preda a un'incertezza senza fine. Il suo cuore le faceva
presagire tutti gli orrori. Talvolta era sul punto di gettarsi ai piedi del
marito e di rivelargli tutto: la storia della sera precedente, la sua colpa e i
suoi presentimenti. Ma poi pensava che un simile passo non avrebbe avuto alcun
risultato, e che mai lei poteva sperare di indurre il marito a recarsi da
Werther. La tavola era già preparata e una buona amica che era venuta soltanto
per chiedere qualcosa, che voleva andar via subito... e che restò, rese
sopportabile la conversazione durante il pranzo: i commensali si fecero forza,
parlarono, raccontarono e si distrassero.
Il
servitore tornò con le pistole da Werther che gliele prese di mano con
entusiasmo quando sentì che Carlotta stessa gliele aveva date. Si fece portare
pane e vino, disse al domestico di andare a tavola, e si sedette per scrivere.
"Esse
sono passate per le tue mani, tu le hai pulite dalla polvere, io le bacio mille
volte: tu le hai toccate; e tu, spirito del cielo, favorisci la mia
risoluzione! Tu, Carlotta, mi porgi l'arma, tu, dalle cui mani io desideravo
ricevere la morte, e oggi ahim‚ la ricevo. Ho interrogato il mio servitore. Tu
hai tremato quando gli hai dato le armi, tu non hai pronunciato alcun addio!
Ahim‚, ahim‚! nessun addio! Doveva il tuo cuore chiudersi per me a causa di
quel momento che mi ha legato a te per l'eternità? Carlotta, nessun volger di
secoli potrebbe cancellare quell'impressione! E io sento che tu non puoi odiare
colui che arde per te".
Dopo
il pasto, egli ordinò al domestico di finire i bagagli, strappò molte carte,
uscì e saldò qualche piccolo debito. Ritornò a casa, poi andò di nuovo fuori
città e, nonostante la pioggia, si recò nel giardino del conte, passeggiò per
la campagna, ritornò al cader della notte e scrisse.
"Guglielmo,
per l'ultima volta ho visto i campi e la foresta e il cielo. A te pure il mio
addio! Mia cara mamma, perdonatemi! Consolala, Guglielmo! Dio vi benedica!
Tutte le mie cose sono in ordine. Addio! ci rivedremo, e saremo più
felici".
"Perdonami,
Alberto, io ti ho male ricompensato. Ho turbato la pace della tua casa, ho
fatto nascere la diffidenza tra voi. Addio! voglio metter fine a questo stato
di cose. Che la mia morte possa rendervi felici! Alberto, Alberto! rendi felice
quell'angelo, e la benedizione divina ti accompagnerà!".
Passò
ancora gran parte della serata frugando fra le sue carte, ne strappò molte e le
gettò nel fuoco; suggellò alcuni pacchi diretti a Guglielmo. Essi contenevano
piccole composizioni, pensieri staccati, parecchi dei quali ho visto; verso le
dieci, dopo aver ordinato che fosse riattizzato il fuoco e che gli si portasse
una bottiglia di vino, mandò a letto il servitore di cui la stanza, come tutte
quelle degli altri domestici, era molto lontana, sul di dietro della casa. Egli
andò a letto vestito per esser pronto molto presto perché‚ il signore gli aveva
detto che i cavalli sarebbero stati davanti alla porta prima delle sei.
Dopo
le undici.
"Tutto
è silenzio intorno a me, e la mia anima è tranquilla. Ti ringrazio, mio Dio, di
concedere ai miei ultimi istanti questo calore, questa forza.
Vado
alla finestra, mia cara, e vedo, vedo attraverso le nuvole agitate dal vento,
alcune stelle del cielo eterno. No, voi non cadrete! Iddio vi porta nel suo
cuore, come porta pure me. Vedo le prime stelle del Carro, la più cara fra
tutte le costellazioni. Essa stava dinanzi a me, in alto, quando la notte
uscivo dalla tua casa e varcavo la soglia della tua porta. Con quale ebbrezza
la guardavo! Quante volte, alzando la mano l'ho presa come segno, come sacro
simbolo della mia felicità presente... e ora... O, Carlotta, tutto mi ricorda
te: non ti sento, forse, intorno a me? e non ho conservato avidamente, come un
fanciullo, mille piccole cose che tu avevi toccato?
E
la tua cara SILHOUETTE! Te la dò Carlotta, e ti prego di farle onore. Mille,
mille volte l'ho baciata, mille volte l'ho salutata quando uscivo o quando
ritornavo a casa.
Ho
scritto a tuo padre un biglietto pregandolo di proteggere il mio corpo. Vi sono
due tigli nel cimitero, dietro, nell'angolo che dà sulla campagna: là desidero
riposare; tuo padre può, e farà questo per il suo amico: pregalo anche tu. Non
voglio costringere i pii cristiani a posare il loro corpo presso quello di un
povero infelice. Vorrei che mi seppelliste sulla strada, o nella valle
solitaria, che il Prete e il Levita passando si facessero il segno della croce,
e il Samaritano versasse una lacrima.
Mi
fermo qui Carlotta. Non fremo prendendo in mano il freddo, orrendo calice nel
quale berrò l'ebbrezza della morte. Tu me l'hai dato, e io non esito. Così si
compiono tutti i desideri e le speranze della mia vita; così batto, freddo e
rigido, alla bronzea porta della morte.
Avessi
avuto almeno la gioia di morire per te! Di sacrificare la mia vita per te!
Morirei con coraggio, con gioia, se sapessi di procurarti la pace, la felicità
della vita. Ma a pochi eletti è concesso di versare il loro sangue per coloro
che amano e di procurare con la morte una vita nuova e feconda ai loro cari.
Voglio
esser sepolto con questi abiti, Carlotta, tu li hai toccati e consacrati: anche
di questo ho pregato tuo padre. La mia anima si librerà sulla mia tomba. Non mi
si devono frugare le tasche. Il nastro rosa pallido che avevi in petto quando
ti vidi per la prima volta fra i tuoi bambini... o, baciameli tanto, e racconta
loro la storia dell'infelice amico. Cari! essi si affollano intorno a me. Ah,
come mi legai a te, fin da quel primo istante non potevo più lasciarti! Quel
nastro deve essere sepolto con me: tu me lo regalasti il giorno del mio compleanno,
e come mi fu caro! Ah non immaginavo dove mi avrebbe condotto la via che
seguivo! Sii calma, ti prego, sii calma!
Sono
cariche. Battono le dodici! Il mio destino si compia! Carlotta, Carlotta,
addio! addio!".
Un
vicino vide il lampo e sentì il colpo; ma poiché‚ dopo tutto rimase tranquillo,
non ci pensò più.
La
mattina alle sei il domestico entrò col lume. Trovò il suo signore a terra,
vide le pistole e il sangue. Chiamò, lo scosse: nessuna risposta. Corse dal
medico, da Alberto. Carlotta udì suonare il campanello e un tremito la scosse
in tutte le membra. Svegliò il marito, si alzarono e il servo diede loro la
notizia tremando e piangendo: Carlotta cadde svenuta ai piedi di Alberto.
Quando
il medico giunse presso l'infelice, lo trovò in uno stato disperato; il polso
batteva, le membra erano tutte paralizzate. Egli si era colpito alla testa,
sull'occhio destro, il cervello era saltato. Per precauzione gli fu aperta una
vena al braccio: il sangue uscì: respirava ancora.
Dal
sangue che era sulla spalliera della poltrona si pot‚ comprendere che egli si
era colpito stando seduto alla scrivania; poi era caduto e si era rotolato
convulsamente intorno alla poltrona. Giaceva supino presso la finestra,
svenuto; era completamente vestito, in giacca blù e in panciotto giallo.
La
casa, il vicinato, la città si commossero. Giunse Alberto. Werther era stato
adagiato sul letto, con la fronte bendata; il viso era di un mortale pallore e
non faceva alcun movimento. Il rantolo era ancora spaventoso, ora debole, ora
più forte: si attendeva la fine.
Aveva
bevuto soltanto un bicchiere di vino. Il dramma di Emilia Galotti era aperto
sulla sua scrivanìa.
La
commozione di Alberto, il dolore di Carlotta sono inesprimibili.
Il
vecchio borgomastro accorso a cavallo, alla notizia, con calde lacrime baciò il
morente. I figli più grandi giunsero subito dopo di lui a piedi, s'inchinarono
presso il letto esprimendo acerbo dolore, gli baciarono le mani e la bocca, e
il maggiore che egli aveva sempre prediletto, non si
staccò dalle sue labbra fino all'ultimo respiro, e bisognò con la forza
strapparlo di lì.
A
mezzogiorno Werther morì. La presenza del borgomastro e gli ordini che diede
calmarono l'agitazione della folla. La sera, verso le undici, egli fu sepolto
nel luogo da lui designato. Il vecchio e i figli seguirono il feretro; Alberto
non ne ebbe la forza: si temeva per la vita di Carlotta. Alcuni artigiani lo
trasportarono, e nessun sacerdote lo accompagnò.
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