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Francesco Stabili alias Cecco d'Ascoli L'Acerba IntraText CT - Lettura del testo |
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CAPITOLO X
Egoismo e Altruismo, Peccato e Pentimento, e loro simboli pavone, gru, corvo, tortora.
Ciò che si dice non è tutto vero Che, morto, lo pavon non si corrompa: Quel che già vedi tolga il tuo pensiero. Ben si conserva assai, ma non d'agusto, E quando il Sole in Cancro mostra pompa, 5 Di lui s'accorge il naso ed anche il gusto.
La pavonessa quando puo', nasconde L'uova sì che il pavone non le offenda: Quand'egli grida, tace e non risponde. Assai più la lussuria allor l'affanna 10 Che par che la compagna non l'attenda; Ovunque trovi l'uova, lì le danna.
Gode di sua bellezza nella rota: Guardandosi li pie', prende tristezza, E l'allegrezza sta da lui remota. 15 Voce ha maligna, capo di serpente, La penna par d'angelica bellezza, Li passi, di ladrone frodolente.
È l'uomo pravo simile al pavone, Ché guasta la comune utilitate 20 Per lo voler che acceca la ragione. Se giunge con la man, non vuole uncino; Ma se risorge la comunitate, Tempera mano a follo ed a molino.
O tu, che intorno tua bellezza miri, 25 Che sì la sciocca glorïa t'imbarda, Se hai intelletto, come non sospiri? Guarda li piedi e li veloci passi Che fai verso la morte che ti guarda, E come il tempo che traluce lassi. 30 Or pensa dunque che nel mondo tristo Si lassa con sospir l'umano acquisto.
Hanno le grue ordine e signore, E quella che conduce, spesso grida, Corregge ed ammaestra lor tenore. 35 Se questa manca, l'altra in ciò succede, E quando dormon, questa che è lor guida La guardia pone che alcun non le prede.
Questa che guarda sta con una gamba, Nell'altra tien la pietra, ché, se dorme, 40 Cadendole, dal sonno gli occhi stramba. Così dovria ciascuno cittadino L'uno con l'altro essere conforme, Che non venisse la terra al dechino.
Ma tanta è questa invidïa che regna, 45 Che sempre si disface il ben comuno E l'uno di seguir l'altro si sdegna. Lo senno delli giovani qui veggio: Non è chi faccia ben, non è, se ad uno Per l'util si consiglia pur lo peggio. 50
Veggio cader diviso questo regno, Veggio che è tolto l'ordine e lo bene, Veggio che regna ciascun uom malegno; Veggio li buoni qui non aver loco, Veggio che di tacere a ognun conviene, 55 Veggio com'arde qui l'occulto foco; Veggio venire qui le piaghe nuove, Dico, se pïetà ciò non rimuove.
Nasce ogni corvo, per natura, bianco, E pascesi dal ciel di dolce manna. 60 Per lui lo padre sente doglia al fianco Fin che non vede in lui le penne negre, E trovar cibo per lui non s'affanna, Né mai natura vuole che s'allegre.
Così l'anima nostra è bianca e netta, 65 Tabula rasa ove non è peccato: Diventa negra poi che si diletta. Il vizio la nutrica e la conduce E cieca e negra nell'eterno stato, Spogliandosi da sé la degna luce; 70 E la sua pena non si cessa mai E trae sospir di dolorosi guai.
La tortora per sé sola piangendo, Vedova di compagno in secco legno, In loco pur deserto va querendo; 75 Non s'accompagna mai, poi che lo perde; Di bevere acqua chiara prende sdegno; Giammai non sta né canta in ramo verde.
Lo suo peccato che l'anima fura, 80 E mai con lui non prender compagnia; Lassare il mondo ed ogni suo diletto, Facendo penitenza forte e dura Per contemplare, nel divino aspetto,
Il sommo Bene dell'eterna vita 85 Ov'è la gloria che sempre è infinita.
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