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Francesco Stabili alias Cecco d'Ascoli
L'Acerba

IntraText CT - Lettura del testo

  • LIBRO III
    • CAPITOLO XII
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CAPITOLO XII

 

Simboli d'animali velenosi: basilisco del Fascino maligno, aspide della Disperazione, drago della Crudeltà, vipera della cattiva Confessione.

 

Signore è il basilisco dei serpenti

E ciascun fugge, sol per non morire,

Dal mortal viso con gli occhi lucenti.

Nessun an'male puo' campar da morte

Che subito la vita non espire,                                                     5

Cotanto è il suo veleno atroce e forte.

 

La donnola, trovando della ruta,

Combatte con costui e sì l'uccide,

Ché il tossico con questa da lui sputa.

Così fa l'alma col maggior nimiquo,                                            10

Ché per virtù lo tossico divide

Da sé lassando lo voler iniquo,

E, pur vincendo al mondo, in sé combatte

Sì che il nemico finalmente abbatte.

 

L'aspide, qual'è aspro di veleno,                                                15

Che sempre muove con la bocca aperta,

Porta la spuma in bocca nel sereno.

Per non sentire la magica prece,

Ciascuna orecchia ottura e tien coperta;

Porta nei denti la subita nece.                                                    20

 

Così fa la tua mente senza spene,

Io dico, disperata di salute,

Che non si degna d'ascoltar lo bene.

Troppo è gran segno l'esser disperato

D'uom che, fuggendo, disdegna virtute.                                      25

Prego che intendi lo parlar beato,

Che il cuore umilïato mai non sperne

Chi tutto muove, giudica e decerne.

 

Maggiore è il drago di tutti i serpenti,

Intossica lo mare e l'aria turba,                                                  30

Più con la coda nuoce che coi denti.

Fra gatto e cane, drago ed elefante

Naturalmente la pace si turba,

È mai cavallo e struzzo non fu amante.

Il piè dell'elefante il drago annoda                                              35

Con la sua coda, e combattendo stride

Fin che la vita dallo cuor disnoda.

Ma l'elefante sopra il drago cade,

Sì che morendo il suo nemico uccide:

Così convien che la sua vita sbade.                                            40

 

Così fa l'uomo empïo e crudele:

Rompe sua gamba per piagar l'altrui

E sé medesmo intossica col fiele.

Riguarda il fine innanzi che comenzi,

E quado offendi, perché, come e cui.                                         45

Non pensa a ciò la setta dei melenzi:

Segue il volere pur con l'ira forte,

Onde procede non pensata morte.

 

È velenoso vipera serpente

Che partorisce i figliuoli per forza                                              50

Sì ch'ella muore dolorosamente.

In gravidezza uccide il suo marito

E con li denti lo capo gli scorza

Sentendo il cuore ben d'amor ferito.

 

Ciascun figliuolo squarta lo suo lato                                           55

E viene a luce come vuol natura

Che a tutte creature ordine ha dato.

Non vale il verno, sì che dorme sempre

Nelle caverne fin che il freddo dura:

Di primavera sorge a dolci tempre.                                            60

 

Con li fenocchi cura il cieco aspetto.

Vuota il veleno innanzi che si giunga,

Quand'è in amore, nel carnal diletto,

E poi ch'ella ha compiuto il suo volere,

Riprende quel veleno, e poi s'allunga:                                         65

Non puo' la vita senza quel tenere.

 

Così fa l'uomo quando si confessa,

Che conta i suoi peccati ei par contrito

E di tornare a ciò lo cor non cessa.

Non si confessa, ed anzi, par che ciance,                                   70

Sì che ritorna, poi ch'è dipartito

Da quel peccato, con l'ardite guance.

 

Contrito cuor e bocca e satisfare

Toglie la colpa dell'uman peccare.

 

 




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