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Francesco Stabili alias Cecco d'Ascoli
L'Acerba

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  • LIBRO III
    • CAPITOLO XIII
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CAPITOLO XIII

 

Simboli d'anfibi e rettili: cocodrillo dell'Impostura, rospo della deformità del Peccato, scorpione della Gola, ragno dell'Inganno.

 

Di notte in acqua e di giorno in terra

Quïesce il cocodrillo e sempre cresce:

Crestato pesce sempre a lui fa guerra.

La mandibola sopra sempre muove,

L'altra di sotto a lui sempre quïesce,                                          5

E l'ova in terra con diletto fove.

 

Di tutto inverno non appar di fuore;

Risorge nella dolce primavera,

Ché l'erba verde serba il suo valore.

Prendendo l'uomo, subito l'uccide:                                             10

Poi che l'ha morto, piange questa fiera:

Con pïetosa voce par che gride.

 

Poi ch'egli ha pianto, divora e manduca

La carne umana, e poi nel dormire

Per la sua aperta bocca il serpe intruca,                                     15

Discerparli lo core e mai non fina

Facendo a grande stento lui morire

E quasi per vendetta l'assassina.

 

Così fa l'uomo ipocrito ed occulto

Che del dannoso mal nel cor s'allegra                                        20

E pïetà dimostra nel suo vulto.

Chi subito per ogni cosa piagne

Alma incostante è di malizia negra:

Or guarda che non caggi alle sue ragne.

Che Dio punisca duramente aspetto                                          25

 

Queste alme doppie con lo falso aspetto.

Aspro veleno dico ch'è nel botto

Che per freddezza fa le membra morte,

Ha gli occhi ardenti e il corpo come un otto.

Se tu mai cerchi nel suo lato destro                                            30

L'osso di cui non son le genti accorte,

Ha gran virtute, e di ciò t'ammaestro.

 

La fervente acqua subito egli affreda,

Vale ad amore ed a molte altre cose,

Ed anche la quartana febbre seda.                                             35

Fugge la ruta e mangia le dolci erbe

E le radici lor fa velenose;

La salvïa gli par che lo conserbe.

 

Fugge l'aspetto, quanto puo', del Sole;

Nel bruno tempo lascia le caverne;                                            40

Per più salute sempre l'ombre cole.

Così disdegna, fuggendo, la luce,

La mente che il peccato non discerne

E sempre nella pena si conduce:

Più che il Fattore, teme creatura                                                45

A cui celar non puo'la sua figura.

 

Quando la Luna illuma lo Scorpione,

La prima faccia che figura scolpe

Non puo' dal scorpo aver mai lesïone.

Sono molti scorpioni ch'hanno l'ale                                            50

E sono grandi assai di maggior polpe

E lor veleno fa assai maggior male.

 

Pur muore quando sente la saliva

Dell'uom digiuno; l'altra non l'offende

Poi il desinare, e sua vita non priva.                                           55

Così fa l'astinenzïa fuggire

Ogni maligno vizio che dipende

Da gola che conducene a morire

E toglie di virtute ogni valore,

Ché l'uomo più non cura d'altro onore.                                      60

 

L'aranea che ha più sottile il tatto

Tessendo e ritessendo la sua tela

Fuor del suo corpo di fila fa tratto.

Quand'è nel tempo che amore la stringe,

Tirando il filo, lo compagno cela:                                               65

Con lei sta il maschio, fin che la concinge.

 

E subito che ne escono dalle uova

Li suoi figliuoli, pone in la tesura:

Di tessere ciascun subito prova.

Lavora sempre quando nasce il Sole,                                        70

E quando è in occidente sua figura:

Fin che non spunta mai cacciar non suole.

 

Tesse sottile sì, che non conosca

Ciascun animal piccolo che vola,

Ma sua nemica proprïa è la mosca:                                            75

Poi che s'imbatte nella cieca rete,

Battendo l'ale, canta nuova fola:

Prima lo capo prende, com' vedete.

 

Così il peccato cieca il nostro aspetto,

Che non vedemo l'inganno del mondo                                       80

Come noi prende e volve a gran diletto.

Altro che vento non è nostra vista.

O morte, quant'è grave quel tuo pondo

Che al solo immaginar pena ci acquista!

 

Quant'è più grave dunque il tuo sentire!                                     85

Prego che chi ha intelletto qui sospire.

 

 




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