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Francesco Stabili alias Cecco d'Ascoli
L'Acerba

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  • LIBRO IV
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CAPITOLO III

 

Metodi e valore delle scienze occulte.

 

«Perché ciangotta la fiamma nel stizzo,

E perché l'uomo subito la smorta?

È cosa occulta naturale, o vizzo

Ventosità rinchiusa ch'è nel legno

E l'umido che seco ognora porta                                               5

Muove la fiamma, sì che fa tal segno.

 

Anche ti voglio dir come nel fuoco

Fanno venir figure i piromanti

Chiamando scarbo, marmores, sinoco.

Li geomanti con li sciocchi punti,                                               10

Con l'ossa delli morti i negromanti,

Con l'acqua gli idromanti son congiunti.

 

Ciascun di questi, nella piena Luna,

Gli spiriti chiamando con lor muse,

Sanno il futuro per caso e fortuna:                                             15

Per strepiti delle incantate palme,

Per l'osso biforcato che si chiuse

Sanno il futuro queste dannate alme.

 

E tu a me: «Or qui mi parli oscuro;

Che vuoi tu dir dell'osso biforcato?                                            20

Ché delle palme qui saver non curo».

L'osso davanti al petto ch'è nel gallo,

Posto nel fuoco poi che è incantato,

Si stringe o s'apre senza intervallo.

 

E tu a me: «Or qui voglio esser certo;                                        25

Lasciando il primo onde il sermone nacque,

Prego che il vero qui non sia coperto.

Queste fatture e questi sortileggi,

E carmi che si fanno sopra l'acque

Io non credevo, di ciò mi correggi,                                            30

 

L'immagin dello stagno e della cira,

E vespertilio con scritta di sangue

Che con lo spago legato si tira,

E l'annottare delle prave vecchie

Che par che in cielo la stella s'insangue,                                     35

Spirti veder alcun pur che si specchie».

 

Ed io a te: Ogni creata cosa

Ha sua virtute sopra qualitate

Che occultamente in lei nascendo posa.

Questi maligni spiriti che sanno                                                  40

Degli elementi le virtù celate,

Per cosa natural questi atti fanno,

 

Sì che, chiamati, con li loro tributi

D'umano sangue e con li morti gatti

E con ugne e capelli ed altri vuti                                                 45

E con resine, carne, mirra e incenso,

Con olio d'aloè e con altri patti,

Fanno questi atti veggendo lor censo.

 

Nell'immagin che fanno per amore

Con quella cera ch'è delle prime ape,                                        50

Di ciò non voglio che tu sii in errore,

Lo spirito chiamato in quella faccia

 

Le cose naturai subito rape

Ed ogni cosa che diletto faccia.

La fantasia si muove della donna                                               55

Con queste cose, ardendo nel disio,

Sì che l'amore in lei, nascendo, abbonna.

Topazïo, che fa vista riversa,

A ciò resiste. Quel che ti dico io

Fa' che tu celi alla gente perversa.                                             60

 

 

Questi altri non si possono giacere

Con le loro donne, ché son fascinati

E su nell'atto perdono volere,

La forza della virtù genitale

E gli organi che in lei sono animati                                              65

Stando legati in atto naturale.

 

Ma del cappon la grazïosa pietra,

Congiunta con li rami di coralli,

Questa freddezza dagli uomini arretra.

Con li fanciulli vergini lo furto,                                                    70

Nello specchio, nei vetri e nei cristalli

Alcuno incanta con lo veder curto.

 

Voglio che sappi qui la nuova fraude

Che fanno le maligne creature

Fra li compagni, per aver più laude.                                           75

Stando nell'aria e riflettendo l'ombre,

Non son nel specchio le giuste figure:

Di tal pensiero la tua mente sgombre.

 

Il primo che s'incontra in quel che fura

Appare col furto manifesto                                                     80

Con gli accidenti della sua figura.

E tu a me: «Sì dolce è lo savere,

Che mi dèi perdonar se più ti infesto,

Perch'io mi muovo a ciò per più vedere.

 

Nelle immagin di stagno ovver di piombo                                   85

Fatte sotto gli aspetti delle stelle

Con cifre di triangoli e di rombo,

Come s'acquista in loro forma e virtute

Vorria saver; di ciò dimmi novelle,

E leva gli occhi per la mia salute».                                              90

 

Ed io a te: Dal cielo vien la forma

Che, limitando la proporzïone

Di quattro qualità, queste conforma

Sì, che nel misto natura risulta

Su nel creare, e poi è perfezione,                                               95

Sì come in calamita è forma occulta.

 

Or prendi esempio che qui ti dimostro:

Son due figure d'un beato e santo

D'ugual bellezza presso al nostro viso,

Fatte per Giotto, dico, in diverse ore:                                        100

L'una s'adora e lauda con gran canto,

E l'altra presso a questa non ha onore.

 

Lo spazio che su fra le stelle vedi

Fra il gonfalone e il pozzo e il fuoco sacro

Il gran segreto voglion che tu credi.                                           105

sono li caratteri segnati.

Le lor virtuti qui non ti dissacro

Quai fur dalla Sibilla sigillate.

 

E tu a me: «Or questi chiromanti

Ed aruspici, e quando l'occhio sbatte,                                        110

Voglio saper come di loro canti;

E se starnuto è segno d'accidente,

E incontrare animali e vecchie e matte

E cieco e zoppo e chi di guercio sente».

 

Ed io a te: Li chiromanti segni,                                                   115

In quanto in noi ci sono per natura,

Io dico che di nota sono degni.

Passa lo segno per li sensi umani

Infino all'intelletto in forma pura,

Sì che intendiamo gli effetti lontani.                                            120

 

Non che tal segno sia cagion di questo,

Ma noi fa certi d'onde il segno muove,

Ché tanto il giudicar si fa più presto.

Metter si vuol la man nell'acqua calda,

Ché gli accidenti segni ella rimuove,                                           125

E con li naturai riman poi salda.

 

Dello sbatter degli occhi qui ti dico

Che ben è segno di futuri eventi:

Ascolta la ragion che qui t'applico.

Questi due lumi della nostra vita                                                130

Sono cagione di questi accidenti

Per la natura che da lor s'addita.

 

L'alma gentile, che è rammemorata

Dalli superni lumi e da lor guida,

Mostra per segno sì com'è informata.                                        135

Dinanzi al caso, col temer si stringe;

Dinanzi dello ben, forte si fida,

Secondo che di sopra in lor si pinge.

 

E tu a me: «Se questo atto dipende

Dal cielo, che nell'alma fa cospetto,                                           140

Perché il proprio futuro non intende

Che la grossezza delli umani sensi

Offusca la virtù dell'intelletto,

Qui non ti parlo: so che tu lo pensi.

 

Dormendo questi sensi, ben riceve                                            145

Il proprïo accidente su nel sogno,

Che contemplando la virtù conceve.

Or prendi esempio e guarda gli epilenti,

Né in lor di dubitar ti fa bisogno,

Ché dicono il futuro risorgenti.                                                   150

 

E tu a me: «Perché son questi moti

Negli occhi sempre, ma nelle altre membra

Sono dalli giudizii remoti

Ché l'alma, mossa dalla somma luce,

Della più degna parte si rimembra,                                             155

Sì che negli occhi tal moto conduce.

 

D'aruspici, sternuti ed altri effetti,

Ciascuno ha qualche vero, ma non sempre,

In quanto noi di ciò siamo sospetti.

«Questi che fanno la notoria arte                                               160

È ver che l'ignoranza da lor stempre,

O è ver che son perdute le lor carte

 

Ed io a te: In ciò ti è testo

Dio, Ché in quell'arte son le preci sante

Ed utili, secondo il parer mio.                                                    165

Son molti li chiamati e pochi eletti

A conseguire le virtuti tante

E contemplar li divini cospetti.

 

Ormai risorga in te la mente nuova

Del dubitare, per veder la prova.                                               170

 

 




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