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Francesco Stabili alias Cecco d'Ascoli
L'Acerba

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  • LIBRO IV
    • CAPITOLO VII
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CAPITOLO VII

 

Della Luce e dell'Ombra.

 

Io ho avuto paura di tre cose:

D'esser d'animo povero e mendico

(Io so che tu m'intendi senza chiose),

Di servir per altrui e dispiacere,

E per difetto mio perdere amico;                                               5

Ond'io son ricco, quanto al mio vedere,

 

Ché speso ho il tempo di mia poca vita

In acquistarmi scienzïa ed onore

Ed in seguire altrui con l'alma unita.

Non per ricchezza fra li buoni ho loco:                                       10

Non val ricchezza a povertà di cuore

E poco vale a chi conosce poco.

 

S'io avessi conoscenza, quale io bramo,

Delle bestie sì come degli umani,

Molti non amerei di quelli che amo.                                           15

Amore accende, ma l'odio disface

La conoscenza con li pensier vani,

Fin che vien giorno che speranza tace.

 

Potresti dubitar perché ciò dico? Ed io a te:

Perché son nati molti                                                                 20

Che parlano secondo il tempo antico; «

Che val saper cose meravigliose

Ove frutto non è?» dicon gli stolti

Snizzando le lor bocche disdegnose.

 

Grande è la pena qui, e più il tacere.                                          25

Convienci di partir da questa gente

Che d'uomini non nacque, ma di fiere.

Ringrazio il mio

Signor che non mi fece

Del numero di questi da nïente,

E d'intelletto il ben non mi disfece.                                             30

 

Un uom val cento, e cento non fan uno;

Tanto è il valor dell'uom quanto ha intelletto

E quanto al mondo egli ha di grazia duno.

Assai è ricco l'uom poi ch'è contento,

E meglio è conoscenza con difetto                                             35

Che non ricchezza con vivere in stento.

 

Io non ebbi, non ho né avrò mai spene

In uom che viva, sì che m'è d'avanzo

Se conseguisco il non pensato bene.

Per te sii buono, non sperando in uomo,                                    40

Ché troppo ha sale la cena col pranzo

Dell'altrui pane; tu vedi ben como!

 

E tu a me: «Omai è tempo ed ora,

Con questa gente, di parlar tacendo,

Ove cotanta ignoranza dimora.                                                  45

Or dimmi di queste ombre che vedemo,

E prima fa' ch'io sappia, definendo,

Che il tempo non ti lasci. Oh quanto io temo

 

Ombra è non altro che celata luce

Da corpo tenebroso che riceve                                                 50

Lo raggio che diretro non traluce.

Secondo che la luce è alta o bassa,

L'ombra così diversa qui diviene:

Per più vedere in ciò, la mente spassa.

 

E tu a me: «Ormai vorria sentire                                                55

Qual'è quell'ombra che chiami riversa,

Ché la diritta so ben che vuol dire».

Ogni corpo, che sia diritto in piano,

Facendo contro il Sole ombra diversa,

Questa è diritta da presso e lontano.                                          60

 

Se corpo astile cade sopra torre,

Quell'ombra si è riversa che tu vidi,

Che varïa secondo che il Sol corre.

Questa crescendo, la diritta scema,

E ciò converso; e voglio che ti fidi,                                            65

Ché ver ti dice qui ogni mio tema.

 

«Perché, quanto la luce è più da presso

Del corpo, tanto fa l'ombra minore,

Ed è maggiore quanto è più da cesso

Lo raggio, che da presso è in sé unito,                                       70

Disperge, se è lontano, lo splendore:

Guarda lo lume e leva su il tuo dito.

 

«Perché tremano l'ombre nell'estremo

Guarda lo Sole che vien per finestre.

Del gran Maestro due ragioni avemo:                                        75

Trema la sfera dello Sol movendo,

O l'aria muove il Sol con sue balestre?

La prima e la seconda qui commendo.

 

E tu a me: «Perché l'ombra più dura,

Io dico, nelle notti dell'inverno,                                                  80

E varïa d'estate sua figura?» Ed io a te:

In ciò pon cura e guarda:

Sei segni son d'inverno, i quai discerno

La notte in che ciscun suo moto tarda;

 

Nell'orïente nascono diretti                                                        85

Da Cancro a quella stella che saetta.

Guarda la sfera se in ciò ti diletti.

Gli altri sei segni poi nascono torti:

Ciascun nascendo lo suo moto affretta.

Io so che questi detti a te son forti.                                            90

 

Da Capricorno fino al doppio segno

Nascono torti di verno nel giurno:

La notte gli altri son sul nostro regno.

Li segni dritti nascono d'estate.

Non varïa già mai il moto diurno                                                95

Le note che dal primo gli fur date.

 

Tien ciascun segno a nascere due ore;

Sei nascono di giorno e sei di notte,

Secondo ch'è il voler del lor motore.

Ventiquattr'ore è il giorno naturale;                                            100

L'ore non sono uguali, ma ridotte,

Quelle, dico, del giorno artificiale.

 

Il quale è tanto, fin che il Sole alluma

Una fïata tutto l'orizzonte:

Così la gente lui chiamar costuma.                                             100

Artificiale è detto, perché l'arti,

Infin che il Sol non posa, tegnon fronte;

Or ti sia a mente se di qui ti parti.

 

E tu a me: «Or dimmi se quest'ombra

È luce o corpo ovver natural atto,                                              110

Ché gran pensier di ciò la mente ingombra».

Ascolta: tutto ciò che è qualitate,

Io dico ed in concreto ed in astratto,

Natura, che sia corpo, ciò non pate.

 

Sopra le cose corporate e miste                                                115

La luce è forma ch'io dico eccellente:

Tolta dagli occhi, par che ognun s'attriste.

E tu a me: «Or questo onde procede,

Che senza luce l'uom divien dolente

Ed io a te: Natura ciò concede.                                                 120

 

Gli spiriti son lustri per natura,

E simile con simil si conforma;

Così gli spirti con la luce pura.

Ciascun s'attrista quand'ombra lo prende,

Siccome pel contrario si disforia                                                125

Dall'allegrezza che prima comprende.

 

Com'io distinguo qui, fa' che sii attento,

E della luce ti fia noto tutto

Il termine del ver, com'io lo sento.

Dico: la luce in due modi s'intende.                                            130

Oh quanto distinguendo nasce frutto

Quando per la fallacia alcun contende!

 

La luce ch'esce dallo primo agente

Ha luminoso corpo ed esso è attivo,

Ed essa è forma sostanzïalmente,                                               135

E il fulgore di lei che cerca il misto,

Il quale è oggetto del senso motivo,

È accidente. Qui più non resisto.

 

Più ch'io non voglio dire, intendi ed odi,

La luce distinguendo in questi modi.                                           140

 

 




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