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Francesco Stabili alias Cecco d'Ascoli
L'Acerba

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  • LIBRO IV
    • CAPITOLO IX
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CAPITOLO IX

 

Questioni morali. Invettiva contro le donne.

 

E tu a me: «Oimè, perché addiviene

Che raro di buon padre figlio nasce

Che conseguisca lo consimil bene?

È per peccato, o natura lo vuole,

Od è fortuna che nel ciel s'irasce?»                                            5

Questo mi par ben nuovo sotto il Sole ».

 

é natura principio d'ogni sangue

Ed augumento e stato, e poi declina

Di gente in gente, ed in ultimo langue.

Se il padre ha il sommo ben della sua schiera,                            10

Naturalmente in lui virtù s'affina,

E il nato convien sia di vil maniera,

 

E questi tempi più e men son lati

Secondo le figure d'alti lumi

Sotto li quali furon generati.                                                       15

Guarda diretro, e vederai tumulti

Di gran casati e di gentil costumi

Che, terminando, sono in terra occulti.

 

Per quattro tempi passa ogni creato;

Non è fermezza nel terrestre regno;                                           20

Chi va, chi vien, chi piange, chi è beato.

Tutte le cose umane sono in moto,

D'estremo riso vien pianto malegno.

Felice chi da Dio non sta remoto.

 

E tu a me: «Perché questa fortuna,                                             25

Che l'uomo virtuoso poter vive,

E subito si sparge ciò che aduna,

E vedo gente senza umanitate,

Spogliate di virtuti intellettive,

Che tutte le ricchezze a lor son date?».                                      30

 

Ed io a te: Or qui devi sapere

Che gran ricchezza non si puo' acquistare,

Se a Dio non spiace questo mio vedere.

L'uom, ch'ha virtute, di seguire sdegna

Questi guadagni e questo accumulare,                                       35

Avendo l'alma di virtute degna.

 

Ovintelletto, il più degno s'elege,

Cioè virtute e scienzia ed onore:

Dunque ricchezza convien che si sprege.

È con la fama congiunta la spesa,                                              40

E ciò non puo' fuggir chi ha valore,

E contro lei non puo' mai far difesa.

 

E tu a me: «Perché un pover'uomo

Sarà più largo di quel che possede,

Che un altro ricco? Tu vedi ben como».                                    45

Ed io a te: Chi non puo' peggiorare

Né per poco salir, come si vede,

Sempre si sdegna di ciò conservare;

 

Ma quegli che ha, ben sa che sia l'amore

Del posseder, sì che fervendo teme                                           50

Di non venir nello stato peggiore.

Anche, ogni ricco diviene tenace

Per sormontare alle ricchezze estreme,

Sì che non sente mai quietepace.

 

O idolatri, con la gran ricchezza                                                 55

Voi siete posseduti possedendo,

E nudi, e ciechi dell'alta chiarezza.

Volti il suo volto ventura fallace:

Vivete gli occhi in pianto sommergendo,

Poi che di Dio in voi speranza tace.                                           60

 

E tu a me: «Perché si sdegna tanto

La mente umana, se congiunge amore

Sua donna col piacer di nuovo incanto?».

Se due persone fan sola una carne,

Non la morte così gran dolore                                              65

Se alcun tu vedi che tue membra scarne.

 

Anche ti dico che chi amor congiugne

Con altrui donna, prende tanto ardire

Che il suo maggior disprezza e par lo agugne.

Per non esser tenuto vile al mondo,                                           70

L'uomo ch'è offeso mettesi al morire

E non discerne che ne porta il pondo.

 

E tu a me: «Perché non è fermezza

In cuor di donna che, sì come vento,

Si muove or qua or per sua vaghezza?»                                  75

In fin che il viso accende, tanto dura

Fermo volere in donna, e ciò consento;

Stando divisa, più di te non cura.

 

Naturalmente umida è ciascuna,

E l'umido la forma non conserva,                                               80

Né per gran tempo dura nessuna.

È per natura in lei la falsa fede.

Con dolce inganno fa tua vita serva,

Mostrando gli occhi pieni di mercede.

 

Ben si vorria piegar li cinque rami                                              85

Mettendo il primo fra li due più appresso

Dicendo: Or togli, poi che tanto m'ami;

Poi gli altri cinque del sinistro tronco

Voltare verso gli occhi di se stesso.

Chi fida in donna è guercio zoppo e cionco.                               90

 

«Perché fan più rumore dieci donne,

Che altrettanti uomini parlando?

Alla mia mente la ragion s'acconne».

Ogni creata cosa, onde discende,

Di prende natura cominciando,                                               95

Sì come dal filosofo risplende.

Eva fu prima plasmata dell'ossa

E della terra del primo parente:

La terra non voci a chi l'ha scossa;

Movendo l'ossa, fanno le gran vuci.                                           100

Questa ragione qui non ti contente.

E tu a me: «Or l'altra qui m'adduci».

 

Ovintelletto, voglio che tu senta.

Giusto è il tacere, e giusto è lo parlare.

Oh quanto il tuo tacer qui mi contenta.                                       105

In donna non fu mai virtù perfetta,

Salvo in Colei che, innanzi il cominciare,

Creata fu ed in eterno eletta.

 

Rare fïate, come disse Dante,

S'intende sottil cosa sotto benna:                                               110

Dunque, con lor perché tanto millante?

Non da virtù viene il parlare inetto.

Maria si va cercando per Ravenna

Chi in donna crede che sia intelletto.

 

La femmina ha men fede che una fiera,                                      115

Radice, ramo e frutto d'ogni male,

Superba, avara, sciocca, matta e austera,

Veleno che avvelena il cuor del corpo,

Iniqua strada alla porta infernale;

Quando si pinge, pugne più che scorpo.                                    120

 

Tossico dolce, putrida sentina,

Arma di Satanasso e suo flagello,

Pronta nel male, perfida, assassina,

Lussuriosa, maligna, molle e vaga,

Conduce l'uomo a frusto ed a capello;                                       125

Glorïa vana ed insanabil piaga.

 

Volendo investigare ogni lor via,

Temo ch'io non offenda cortesia.

 

 




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