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Francesco Stabili alias Cecco d'Ascoli
L'Acerba

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  • LIBRO IV
    • CAPITOLO XII
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CAPITOLO XII

 

Del bene umano e della felicità. Le favole non ci salvano.

 

Tant'ha di ben ciascun, quanto ha d'amore,

Tant'ha di ben ciascun, quanto ha di fede,

Tant'ha di ben ciascun, quanto ha d'onore,

Tant'ha di ben ciascun, quanto ha di spene,

Tant'ha di ben ciascun, quanto ha mercede,                               5

Quanto ha intelletto l'uom, tant'ha di bene;

 

Però che conoscenza d'intelletto

Conduce l'uomo per li dritti trami

Onde consegue il glorïoso effetto.

Questa sia specchio della tua speranza                                      10

Per qual tu vederai li santi rami

Che sopra tutti i ciel ciascuno avanza.

 

Non sia la spene tua nelli mortali,

Ché vien fallace e nuda di salute

Se nei bisogni tuoi per te non vali.                                              15

Oimè, speranza dello cor nimica,

Che furi il tempo con le tue vedute,

Perché ti mostri così dolce amica?

 

E tu a me: «Or qui voglio esser certo:

L'uom che fa bene nell'avversitate                                              20

Più che il felice non deve aver merto

Io dico che ciascuno che è felice

Seguendo di virtù benignitate

Di maggior lode tien ferma radice.

 

Quanto è più ricco l'uom, tant'è più avaro;                                 25

Quanto è più forte, tant'è più arrogante;

Così dell'altre cose. E questo è chiaro.

Dunque, il felice tien maggior battaglia

Vincendo il male con le virtù sante,

E pover'uom di ciò non ha travaglia;                                          30

 

Ché povertate superbia confonde,

Raffrena la lussuria e la costregne,

Che par che nell'abisso l'uom profonde.

Dunque, il felice senza fallo, dico

Che d'ogni fama e di più lode degne:                                         35

Esempio prendi in Santo Lodovico.

 

E tu a me: «Due occhi ed una bocca

Perché natura fece a ciascun uomo

Io so che questo detto a molti tocca.

Deve ciascun veder più che parlare:                                           40

Tristo è chi parla se non vede como

E chi non sa sua lingua raffrenare.

Natura sempre fa perfezïone:

Tu vedi ben qual n'è la ragione.

 

Qui non si canta al modo delle rane,                                          45

Qui non si canta al modo del poeta

Che finge, immaginando, cose vane;

Ma qui risplende e luce ogni natura

Che a chi intende fa la mente lieta.

Qui non si gira per la selva oscura.                                            50

 

Qui non veggioPaoloFrancesca,

Delli Manfredi non veggio Alberico

Che amari frutti colse di dolce esca.

Del Mastin vecchio e nuovo da Verrucchio

Che fece di Montagna, qui non dico,                                         55

Né dei Franceschi lo sanguigno mucchio.

 

Non veggio il Conte che per ira ed asto

Tien forte l'arcivescovo Ruggero

Prendendo del suo ceffo il fiero pasto.

Non veggio qui squadrare a Dio le fiche.                                   60

Lascio le ciance e torno su nel vero.

Le favole mi fur sempre nemiche.

 

Il nostro fine è di vedere Osanna.

Per nostra santa fede a lui si sale,

E senza fede l'opera si danna.                                                    65

Al santo regno dell'eterna pace

Convienci di salir per le tre scale,

Ove l'umana salute non tace,

 

Acciò ch'io vegga con l'alme divine

Il sommo Bene dell'eterna fine.                                                  70

 

 




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