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Francesco Stabili alias Cecco d'Ascoli
L'Acerba

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  • FRAMMENTO DEL LIBRO V
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FRAMMENTO DEL LIBRO V

Creazione continua delle anime; mortalità del mondo materiale.

 

Convien ch'io canti della santa fede,

Lasciando le potenze sensitive,

E dica ciò che l'alma mia ne crede.

Sopra l'ottava sfera che vedemo

Osanna, ch'ivi eternalmente vive,                                               5

Formò due cieli, i quali noi chiamemo

 

Empireo l'uno, e l'altro cristallino:

Qui stella non scintilla e non v'è moto:

Sempre stan fermi per voler divino.

Nel cristallino son le gelate acque:                                             10

Lodate Dio, come si mostra noto

Per lo salmista a cui ciò scriver piacque.

 

E Paolo, che vide il gran segreto

Lo qual si tace all'umana gente,

Potè bene saper ciascun decreto.                                              15

Infino al terzo imperïo fu ratto,

Lasciando il corpo la levata mente,

Mirando il santo regno come è fatto.

 

è una natura e tre persone,

dello sommo Bene è la pienezza,                                           20

è con Pïetà somma Ragione;

E gli angeli benigni senza corpi

Cantano sempre il Ciel pien d'allegrezza,

Non come a noi gridando «scorpi, scorpi».

 

Da questo cielo vien tutta la luce                                                25

La qual per l'universo ognora splende;

Dio, creando, l'alme in noi conduce.

Ma ciò negava al mondo Averroisse;

Ma ben è certo poi ch'arde ed incende.

Ascolta come è falso ciò ch'ei disse.                                          30

 

Se tutto fosse un'alma ove è intelletto,

Saria, ti dico, la mia scienzia in tutti

Perché è nell'alma come in suo soggetto.

Il conseguente è falso, dunque il primo

E quelli sillogismi son distrutti.                                                    35

Anche con altra ragion li biastimo.

 

Se fosse un intelletto negli umani,

Uno nel quanto, come mai si forma,

D'atti diversi e varïati e strani,

Dico, in un tempo? Riprovi il minore,                                         40

Ché mille intendi che han diversa l'orma.

Or 'scolta ch'io riprovo l'altro errore.

 

L'anima intellettiva è forma nostra

Sostanzïal che l'essere a noi,

Secondo che la mia ragion dimostra.                                         45

O Averroisse, con la setta sciocca,

Che verso il Ben chiudesti gli occhi tuoi,

Questa ragione li tuoi detti sbrocca.

 

Dalla sostanzïal forma procede

Ogni operazïon che sia perfetta,                                                50

Secondo che il filosofo concede.

L'operar proprio e l'intender dell'uomo

Dell'alma muove la specie intelletta,

Dunque ella è forma: tu vedi ben como.

 

Questa, creando, Dio in noi la spira,                                          55

Ed ogni umano ha per sé l'alma sua;

E tu, se l'ignoranza tua delira

Contro del vero formando argomenti,

Riguarda il fine della vita tua

E con tua pena vederai che menti.                                             60

 

Tu poni il cielo ed anche il moto eterno,

Formando filosofiche ragioni

Le quai dell'alma fanno mal governo.

Senza soggetto, moto e trasmutare

Non credono le cieche opinïoni                                                 65

Che il mondo possa in tempo cominciare.

 

Io ciò confesso in lume di natura

La qual comprende generazïone,

Perché di niente non si fa figura;

Ma speculando la Virtù possente,                                              70

A cui sol si conviene creazione,

Li cieli e il mondo fece di nïente.

 

Ciò che comincia in tempo, in tempo muore;

Passando e rinnovandosi li moti

Del mondo, pur s'appressa all'ultime ore.                                   75

Del quando, sono incerti li mortali,

Ché i segreti divini non son noti,

Ma son celati li più specïali.

 

Ma quando tornerà l'anno maggiore

Ed ogni stella dell'ottava sfera                                                    80

Sarà nel sito del primo splendore,

Considerando le passate etati

E noi che siamo dell'ultima schiera,

Saranno gli atti umani terminati.

 

Congetturo secondo il parer mio,                                              85

E so che nostra conoscenza umana

È cosa stolta verso l'alto Dio;

Ma cominciando dall'età primiera,

D'Adam fino a Noè si mostra piana

Per noi che siamo dell'ultima schiera.                                         90

 

D'Adam fino a Noè tornò lo Sole

Du' mil ducento quaranta due volte

Nelle sue prime stelle, come suole;

E da Noè fino ad Abram per lista

Fu novecento quaranta due volte,                                              95

E dopo Abramo surse il gran Giurista,

 

Che fu Mosè, e con lui l'antica legge.

Da poi fu Cristo con gli ultimi giurni:

Lascio la fine a lui che tutto regge,

Ché terminare il mondo è in suo volere,                                     100

E i moti naturali e li diurni

Di tutti i cieli, quanto al mio vedere.

 

Ma qui risorge il dubitare umano,

Considerando le genti passate.

Se sopra loro il ciel non fu più sano,                                          105

Ché il cielo impressïoni peregrine

Non ha, sì come le cose create,

Dunque, perché è di noi più breve il fine?

 

Perché sì prodi, perché sì giganti

Erano al tempo? Perché s'è smarrita                                          110

Natura umana negli atti cotanti?

Dico che ciò che è creato in tempo,

In lui fu sempre la virtù finita;

Passando stato, declina per tempo.

 

I sette cieli con gli ottavi lumi,                                                    115

Che hanno lor potenze terminate

Sì come è scritto nei sacri volumi,

Quando nel primo tempo fur creati,

Ciascun facea gli effetti in sommitate

Con gli elementi puri immacolati;                                               120

 

Ma per diversi e per antichi corsi

Le quattro qualità sono corrotte,

Però li gran difetti sono incorsi.

Guarda la Terra rotonda creata,

Sì come le sue parti son dirotte                                                  125

E come nel suo corpo è concavata.

 

Per più vedere, prendi questo esemplo,

Avvegna che non sia come si pone;

Ma meglio sentirai ciò ch'io contemplo.

Simile è il cielo d'una nuova sezza                                              130

Che mostra, nuova, più perfezïone,

Ed antiquando, sua virtù si sprezza.

 

Non dico che non sia alto Saturno

Novanta cerchi quant'è nella Terra,

Sì come fu creato il primo giurno;                                              135

Novantacinque dico ch'è più Giove,

Più della Terra Marte poco serra;

Secondo Tolomeo son queste prove.

 

Il Sole è più centosessantasei,

Ed è di ventisette parti l'una                                                       140

Mercurïo, secondo gli occhi miei.

La terza stella è simile nel tanto,

E delle trenta parti una è la Luna:

Di ciò ch'io dico qui non ti millanto.

 

Ma il cielo, in quanto è corpo in sua virtute                                145

Determinato, convien pur che manche,

E le nature siano diminute.

Dunque ti cessa, o tu, loïco tristo,

Con le sofiste tue ragioni bianche,

Ché senza del ben non si fa acquisto.                                     150

 

La fede sola ha merto di salute:

Ove l'umana vista vede il quia,

Tacesi il quare dell'alte vedute.

Fede e carizia con l'accesa spene

Dimostrano di glorïa la via                                                         155

La qual conduce nell'eterno Bene

Sopra li cieli, nel beato regno

Dove l'umano spirito è benegno.

 

Bello è tacere di cotanta cosa

Considerando il mio poco intelletto,                                           160

Ma la gran fede mi muove ed escusa,

Sì ch'io ne prego la Virtù di sopra

Ch'allumi l'alma del beato aspetto

E che l'immaginar consegua l'opra.

 

Era il Figliuolo innanzi il moto e il tempo,                                    165

E il Padre col Figliuolo una natura

Eterna, ché non cade mai suo tempo.

Questa era prima presso il primo agente;

Se l'esser tutto per Lui tien figura,                                              170

Il fatto senza Lui, dico, è nïente.

 

E ciò che è fatto era vita in Lui,

Sì come forma nella mente eterna,

E questa vita è luce di nui

 




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