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Francesco Stabili alias Cecco d'Ascoli
L'Acerba

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  • LIBRO I
    • CAPITOLO IX
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CAPITOLO IX

 

Dell'arcobaleno e delle nubi ferme.

 

L'arco che vedi in divisata luce

Sempre si pinge ne l'opposto Sole

Perché il suo raggio in forma lo conduce.

Se in orïente è l'arco, il Sole occide:

Ciò si converte perché ragion vuole                                           5

E al tuo vedere convien che ti fide.

 

L'arco non è che flettersi di raggi

Entro le acquose nubi divisate:

Convien che in intelletto questo caggi.

Lustre ed obscure, sottigliate e grosse,                                      10

Sono le nubi così varïate

Quando dal Sole ricevon percosse;

 

Però dimostran diversi coluri

Com' per esemplo tu potrai vedere

Nel vetro pieno, se di far ten curi:                                              15

Olio con acqua nel vetro ponendo,

Quando lo raggio del Sole vi fere

Sarai contento li colur vedendo.

 

E da la Luna, quando è tutta piena,

Si forma l'arco di notte, ma raro;                                               20

S'oscura poi, se fa l'aria serena.

Spesso da lei si forma l'arco bianco

Che muta il dolce tempo nell'amaro:

A pochi giorni di ciò non è manco.

 

Quando nell'aere tu vedrai molti archi                                        25

E ciò si forma nel mezzo giurno,

Se di pensiero ciò la mente carchi,

Vederai l'aere a pochi turbare

Per la forza di Marte o di Saturno

Se l'altro cielo non fa varïare.                                                    30

 

Anche le ferme nubi che tu vedi

No intendo di lasciar ch'io non ti dica

Acciò che a favolette più non credi.

Come l'entrace l'acqua sempre tira

Per la virtù che dentro lei nutrica,                                               35

Così fa Capricorno che pur spira.

 

Vapor sottili sua potenzia abbranca,

Sempre tirando su ne l'aria chiara,

E par che in ciel si mostri la via bianca.

O quante sono le nature occulte                                                40

A nostra umanità cieca ed ignara;

O quante cose mire son sepulte

 

Al nostro ingegno che il ben abbandona

Seguendo il mondo qual morte sperona!

 

 




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