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Francesco Stabili alias Cecco d'Ascoli
L'Acerba

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  • LIBRO II
    • CAPITOLO VI
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CAPITOLO VI

 

DellaFortezza.

 

O Colonnesi, o figliuoli di Marte,

Toccaste il cielo con l'armata mano

Che sempre suonerà per ogni parte.

Subita spada con grigliato grido

Faravvi ognora nel terren romano                                              5

Gli inimici tener col becco al nido.

 

Di gente in gente pur la terza foglia

Della colonna sarà posta in croce

Tornando il cielo nella prima doglia.

Non perderà la gloria del suo nome                                           10

Pur resurgendo di tenebre a luce:

Qui non è luogo più di dirvi come.

 

O figurati dalla forte donna,

Fermi e costanti nelli tempi pravi,

Senza temere sta vostra colonna,                                               15

La quale pur verrà nel degno merto

Aprendo il cielo con le giuste chiavi.

Di dirvi il che ed il quando non son certo.

 

Da Marte viene la fortezza umana

Quando si mostra sua benigna luce                                            20

Che di sotto l'Arïete s'intana.

Uomo disposto dal superno lume

Leggeramente allo ben si conduce

Se non l'offende il paternal costume,

 

Ché la villana natura paterna                                                      25

Che passa nel figliuol naturalmente

Ripugna all'influenzïa superna.

Poni che insieme siano due creati:

L'uno è gentile, l'altro è di vil gente,

Sotto una sfera ed in un grado nati.                                            30

 

Mostra il cielo che debba conseguire

Ciascun di dignitate la corona.

Ciò sarà ben, secondo il mio sentire,

Se è nato dell'eccelso Re Roberto,

Ché in gentilezza molto l'un sperona                                           35

A conseguir, lo ciel che l'ha coverto;

 

Sarà quest'altro sopra il suo lignaggio

Sì come re fra li vili parenti,

Ché il ciel non puo' levar più suo coraggio.

Cosa disposta fa nel cielo aiuto.                                                40

Se di diversi effetti ti rammenti,

L'acqua lercia dissecca e si fa luto.

 

Fortezza non è altro definita

Che alma costante nuda di paura

In ogni avversa cosa della vita.                                                  45

Non è virtute prodezza sforzata

Quando di morte vedem la figura,

Se l'alma è in sua difesa abbandonata.

 

Maggior prodezza tegno lo fuggire

Quando bisogna, che non sia lo stare,                                        50

Sol per vitare l'acerbo morire.

Sempre è fortezza col giusto temere,

Ma chiunque vuol la vita abbandonare

Già non è forte: dico, a mio vedere.

 

Ma la fortezza tegno virtuosa                                                     55

Cui per tre modi l'uomo s'abbandona,

Che fan nel mondo la vita famosa:

Prima, per non ricever disonore

Nelle sue cose, poi nella persona,

E per sua terra conservando onore.                                           60

 

Ma gli occhi miei si sono bene accorti

Che pochi son nel mondo questi forti.

 

 




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