Giovanni Boccaccio
Il Corbaccio

II

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II

Il che udendo io, e tornandomi nella memoria quello che negli uomini possano gli spiriti, mi renderono la sicurtà dipartita; e, verso lui alzando il viso, il pregai umilemente che di trarmene s'avacciasse, prima che altro pericolo ne sopravenisse; ed egli allora disse:

 

– Io non aspetto, a dover far quello che domandi, che tempo; per ciò che tu dèi sapere che, quantunque l'entrare in questo luogo sia apertissimo a chi vuole ed entricisi con lascivia e con mattezza, egli non è così agevole il riuscirne, ma è faticoso e conviensi fare e con senno e con fortezza. – Le quali avere non si possono senza l'aiuto di colui col volere del quale egli era quivi venuto.

 

Allora mi parve che io dicessi:

 

– Poi che tempo n'è prestato di ragionare né sì sùbita può essere la nostra partita, se grave non ti fosse, volentieri d'alcune cose ti domanderei. –

 

Al quale esso benignamente rispuose:

 

Sicuramente ciò che ti piace domanda, infino a tanto ch'io verrò a te dover domandare d'alcune cose, e alcune dirtene intorno a quelle. –

 

Io allora con voce assai espedita dissi:

 

– Due cose con pari desiderio mi stimolano, ciascuna ch'io prima di lei ti domandi; e perciò insieme domanderò d'amendue: e priegoti che ti piaccia di dirmi che luogo questo sia e se a te per abitazione è stato dato o se, per se stesso, alcuno che c'entri ne può mai uscire, e appresso mi facci chiaro chi colui sia, col piacere del quale qui venisti ad atarmi. –

 

Alle quali parole esso rispuose:

 

– Questo luogo è da vari variamente chiamato; e ciascuno il chiama bene: alcuni il chiamano «il laberinto d'Amore», e altri «la valle incantata», e assai «il porcile di Venere», e molti «la valle de' sospiri e della miseria»; e, oltre a questi, chi in uno modo e chi in uno altro, come meglio a ciascun piace. Né a me per abitazione è dato, per ciò che da potere più in così fatta prigione intrare la morte mi tolse, alla quale tu corri: è il vero che più dura stanza che questa non è ho, ma di meno pericolo. E dèi sapere che chi per lo suo poco ci cade mai, se lume celestiale non nel trae, uscir non ne può; e allora, com'io già ti dissi, con senno e con fortezza. –

 

Al quale io allora dissi:

 

– Deh, se Colui che può i tuoi più caldi disii ponga in vera pace, avanti che ad altro da te si proceda, soddisfammi a una cosa. Tu di' che hai per abitazione luogo più duro che questo, ma meno pericoloso; e io già, per le tue parole medesime e per la mia ricordanza, conosco che tu al nostro mondo non vivi: quale luogo adunque possiedi tu? Se' tu in quella prigione etterna nella quale, senza speranza di redenzione, e s'entra e si dimora? O se' in parte che, quando che sia, speranza vera ti prometta salute? Se tu se' nella prigione etterna, senza dubbio più dura dimora credo che vi sia che qui non è: ma come può ella essere con meno periglio? E, se tu se' in parte che ti prometta ancora riposo, come può ella essere più dura che questa non è?

 

– Io sono – rispuose lo spirito – in parte che mi promette sanza fallo salute. E intanto è di minore periglio che questo, che quivi peccare non si può, per che a peggio temere si possa di pervenire; il che qui continuamente si fa. E tanto molti ciò perseverano, faccendo, che essi caggiono in quello carcere cieco nel quale mai il divino lume con grazia o con misericordia si vede, ma con irrevocabile e severa giustizia continuo, con grave danno di chi, sentendo, il conosce, si vede acceso. Ma sanza dubbio la mia stanza, com'io già dissi, ha troppa più di durezza che questa: intanto che, se lieta speranza, che certa di migliore vi si porta, non aiutasse e me e gli altri che vi sono a sostenere pazientemente la gravezza di quella, quasi si porìa dire che gli spiriti, li quali sono immortali, vi morrebbono. E, acciò che tu parte ne 'ntenda, sappi che questo mio vestimento, il quale t'ha, poscia che 'l vedesti, fatto maravigliare, per ciò che per avventura mai simile, quando io era tra voi, nol mi vedesti, e che solamente vi pare che a coloro che ad alcuno onore sono elevati più che ad altri si convenga d'usare, non è panno manualmente tessuto, anzi è un fuoco dalla divina arte composto, sì fieramente cocente che 'l vostro è come ghiaccio, a rispetto di questo, freddissimo; e mugnemi sì e con tanta forza ogni umore da dosso che a niuno carbone, a niuna pietra divenuta calcina mai nelle vostre fornaci non fu così dal fuoco vostro munto: per che alla mia sete tutti i vostri fiumi insieme adunati e giù per la mia gola volgendosi sarebbono un picciol sorso. E di ciò due cose mi son cagione: l'una è lo 'nsaziabile ardore il quale io ebbi de' danari, mentre che io vissi; e l'altra è la sconvenevole pazienzia colla quale io comportai le scellerate e disoneste maniere di colei la qual tu vorresti d'avere veduta esser digiuno. E questo basti al presente d'avere ragionato della durezza del luogo della mia dimora; alla quale veramente quella noia che qui si sostiene, se non intanto che questa è dannosa e quella è fruttuosa, non è da comparare.

 

Ma da soddisfare è alla tua seconda domanda, acciò che tu a' tuoi impauriti spiriti interamente restituischi le forze loro: e per ciò sappi che colui, colla cui licenzia io qui sono venuto, anzi, a dir meglio, per lo cui comandamento, è quello infinito Bene che di tutte le cose fu creatore e per lo quale e al quale tutte le cose vivono; e al quale è del vostro bene e del vostro riposo e della vostra salute molto maggiore sollecitudine che a voi stessi. –

 

Dico che, com'io dallo spirito queste parole udii, conoscendo il mio pericolo e la benignità del mandatore, io mi sentii nello animo venire una umiltà grandissima la quale e l'altezza e la potenzia del mio Signore, la sua etterna stabilità e i suoi continui benefici in me conoscer mi fece; e appresso la mia viltà, la mia fragilità e la mia ingratitudine; e le infinite offese già fatte verso Colui che ora nel mio bisogno, come sempre avea fatto, senza avere riguardo al mio malvagio operare, mi si mostrava pietoso e liberale. Dalla qual conoscenza una contrizionegrande e pentimento mi venne delle non ben fatte cose, che non solamente mi parve che gli occhi di vere lagrime, e d'assai, si bagnassero, ma che il cuore, non altrimenti che faccia la neve al sole, in acqua si risolvesse; per che, sì per questo e sì ancora perché poverissimo di grazie da rendere a tanti e sì alti effetti mi sentiva, per lungo spazio mi tacqui, parendomi bene che lo spirito la cagione conoscesse; ma, poi che così alquanto stato fui, ricominciai a parlare:

 

– O bene avventurato spirito, assai bene discerno, la mia medesima coscienza ricercando, quello essere vero che tu ragioni: cioè Dio più cura avere di noi mortali che noi medesimi non abbiamo; li quali colle nostre malvage opere continuamente ci andiamo sommergendo, dov'egli colla sua caritativa pietà sempre ne va sollevando, e le sue etterne bellezze mostrandoci, a quelle, come benignissimo padre, ne va chiamando; ma tuttavia, si come colui che ancora la divina bontà, a guisa che le terrene operazioni si fanno, vo misurando, maraviglia mi porge, sentendomi io averlo offeso molto, come esso ad ora aiutarmi si movesse. –

 

A cui lo spirito disse:

 

Veramente tu parli come uomo che ancora non mostra conosca il costume della divina bontà, e che quella, che è perfettissima, estimi così nelle sue opere esercitarsi come voi, che mortali e mobili e imperfetti sète, fate; nelle menti de' quali niuno riposo si truova, insino a tanto che gran vendetta non si vede d'ogni piccola offesa ricevuta. Ma, per ciò che la contrizione delle commesse colpe, la quale mi pare conoscere in te venuta, ti dimostra docile e attento dovere essere a' futuri ammaestramenti, mi piace una sola delle cagioni per la quale la divina bontà si mosse a dovere me mandare ad aiutarti ne' tuoi affanni. Egli è il vero che, per quello ch'io sentissi nell'ora che questa commessione di venire qui a te mi fu fatta non da umana voce, ma da angelica, – la quale non si dee credere che menta già mai – che tu sempre, qual che stata si sia la tua vita, hai in speziale riverenzia e devozione avuta Colei nel cui ventre si racchiuse la nostra salute e che è viva fontana di misericordia e madre di grazia e di pietà; e in lei, sì come in termine fisso, avesti sempre intera speranza. La qual cosa essendo a' suoi divini occhi manifesta e veggendoti in questa valle, oltre al modo usato, smarrito e impedito, intanto che tu eri a te medesimo uscito di mente, sì come essa benignissima fa assai sovente nelle bisogne de' suoi divoti che, senza priego aspettare, da se medesima si muove a sovvenire dell'opportuno aiuto al bisogno, veggendo 'l pericolo al qual tu eri, senza tua domanda aspettare, per te al Figliuolo domandò grazia e impetrò la salute tua; alla quale per suo messo mi fu comandato che io venissi; e io il feci; né prima da te mi partirò che in luogo libero espedito t'arò riposto, dove a te piaccia di seguitarmi. –

 

Al quale io dopo il suo tacere, dissi:

 

– Assai bene m'hai soddisfatto alle mie domande: e nel vero, come che vendetta di Dio è un di nuovo rifarti bello per più piacergli, pur di te compassione mi viene e disidero sommamente d'alleggiare quella, se mai con alcuna mia opera io potessi; e d'altra parte in me medesimo mi rallegro, sentendo che tu, non al ruinare allo 'nferno, ma al salire al glorioso regno sii dopo la tua penitenzia disposto. La benignità e la clemenzia di Colei, la quale per la mia salute t'ha in questa vicenda mandato, non m'è ora nuova: ella in molti altri pericoli già me l'ha fatta conoscere, quantunque io di tanti benefìci ingrato stato sia, poco nelle sue laudi adoperandomi; ma io divotamente Lei priego, che può quello che vuole, che, come dalla perpetua morte più volte m'ha tolto, così e i miei passi dirizzi alla vita perpetua e quelli sostenga e conservi tanto che io, suo fedelissimo servidore essendo, pervenga.

 

Ma per lei ti priego che ancora, a una cosa rispondendomi, mi soddisfacci. In questa valle, la qual tu variamente nomini, senza appropiarlene alcuno, abitac'egli alcuna persona, se quelli non fosser già, li quali per avventura Amor della sua corte avendoli sbanditi, qui li mandasse in esilio, come a me pare essere stato da lui mandato? o posseggonla pur solamente le bestie le quali io ho udite tutta la notte d'attorno mugghiare ? –

 

A cui egli sorridendo rispuose:

 

– Assai bene conosco che ancora il raggio della vera luce non è pervenuto al tuo intelletto e che tu quella cosa, la quale è infima miseria, come molti stolti fanno, estimi somma felicità, credendo che nel vostro concupiscibile e carnale amore sia alcuna parte di bene; e perciò apri gli orecchi a quello che io ora ti dirò. Questa misera valle è quella corte che tu chiami «d'Amore»; e quelle bestie, che tu di' che udite hai e odi mugghiare, sono i miseri, de' quali tu se' uno, dal fallace amore inretiti; le boci de' quali, in quanto di così fatto amore favellino, niuno altro suono hanno negli orecchi de' discreti e ben disposti uomini che quello che mostra che pervenga alle tue; e però dianzi la chiamai «laberinto», perché così in essa gli uomini, come in quello già faceano, senza saperne mai riuscire, s'avviluppano. Maravigliomi io di te che ne domandi; con ciò sia cosa ch'io sappia che tu, non una volta, ma molte già dimorato ci sii; quantunque forse non con quella gravezza che ci dimori al presente. –

 

Io, quasi di mia colpa compunto, riconoscendo la verità tocca da lui, quasi in me ritornato, rispuosi:

 

Veramente ci son io altre volte assai stato; ma con più lieta fortuna, secondo il parere delle corrotte menti; e di quinci, più per l'altrui grazia che per lo mio senno, in diversi modi or mi ricordo d'essere uscito; ma sì m'avea e il dolor sostenuto e la paura di me tratto, che così come mai stato non ci fossi, d'esserci stato mi ricordava. E assai bene ora conosco, senza più aperta dimostrazione, che faccia gli uomini divenire fiere e che voglia dire la salvatichezza del luogo e gli altri nomi da te mostratimi della valle, e il non vedere in essa né viasentiero.

 

– Omai adunque, – disse lo spirito – poi che le tenebre alquanto ti si cominciano a partire dell'intelletto e già cessa la paura nella quale io ti trovai, infino che 'l lume apparisca che la via da uscirci ti manifesti, d'alcuna cosa teco mi piace di ragionare; e, se la natura del luogo il patisse, io direi, in servigio di te, che stanco ti veggio, che noi a seder ci ponessimo; ma, perché qui far non si può, ragioneremo in piede. Io so (e, se io d'altra parte nol sapessi, sì mel fecero poco avanti chiaro le tue parole, e ancora il luogo nel quale io t'ho trovato mel manifesta) che tu se' fieramente nelle branche d'amore inviluppato; né m'è più celato che questo sia, chi di ciò t'è cagione; e tu il dèi nel mio ragionare avere compreso, se di ciò ti ricorda che io dianzi dissi di colei la qual tu vorresti d'aver veduta essere digiuno. Ma, avanti che io più oltre vada, ti dico che io non voglio che tu di me prenda alcuna vergogna, perch'ella già assai più che 'l convenevole mi fosse cara; ma, così sicuramente e con aperto viso di ciò con meco ragiona, come se sempre stato fossi da lei strano; e, per merito della compassione la quale io porto a' tuoi mali, ti priego che come tu ne' suoi lacci incappasti mi manifesti. –

 

Al quale io, cacciato via ogni rossore, rispuosi:

 

– Il priego tuo mi strigne a dirti quello ch'io mai, fuori che a un fidato compagno, non dissi e a lei sola per alcuna mia lettera fe' palese; né di ciò, dove pure la tua liberalità non me ne assicurasse, da te mi dovrei, più che da un altro, vergognare; né tu turbartene; per ciò che, come tu dalla nostra vita ti dipartisti, secondo che l'ecclesiastiche leggi ne mostrano, quella ch'era stata tua donna non fu più tua, ma divenne liberamente sua: per che in niuno atto potresti con ragione dire che io mi fossi ingegnato di dovere alcuna tua cosa occupare. Ma, lasciando ora questa disputazione, ché el luogo non ci ha, stare e venendo a quello aprirti che tu domandi, dico che per la mia disavventura, non sono molti mesi passati, avvenne che io con uno, al quale tu fosti già vicino e parente, di cui esprimere il nome or non bisogna, in ragionare di varie cose entrai. E, mentre noi così ragionando andavamo, accadde, come talvolta avviene che l'uomo d'uno ragionamento salta in un altro, che noi, il primo lasciato, in sul ragionare delle valorose donne venimmo; e, prima avendo molte cose dette delle antiche, quale in magnanimità, quale in castità, quale in corporal fortezza lodando, condiscendemmo alle moderne: fra le quali il numero trovandone piccolissimo da commendare, pure esso, che in questa parte il ragionare prese, alcune ne nominò della nostra città; e, tra l'altre, nominò quella, che già fu tua, la quale nel vero io ancora non conosceva. Così non l'avessi io mai conosciuta poi! E di lei, non so da che affezione mosso, cominciò a dire mirabili cose, affermando che in magnificenzia mai non era alcuna sua pari stata; e, oltre alla natura delle femine, lei s'ingegnava di mostrare essere uno Alessandro; e alcune delle sue liberalità raccontando, le quali, per non consumare il tempo in novelle, non curo di raccontare. Appresso lei di cotanto e così buono senno naturale disse essere dotata quanto altra donna per avventura conosciuta già mai; e, oltre a ciò, eloquentissima, forse non meno che stato fosse qualunque ornato e pratico rettorico, fu ancora; e, oltre a ciò, che sommamente mi piacque, sì come a colui ch'a quelle parole dava intera fede, la disse essere piacevole e graziosa e di tutti quelli costumi piena che in gran gentildonna si possano lodare e commendare. Le quali cose narrando questo cotale, confesso che io meco tacitamente dicea: «O felice colui al quale la Fortuna è tanto benigna ch'ella d'una così fatta donna gli conceda l'amore!».

 

E già quasi meco avendo diliberato di volere tentare se io potessi colui essere, che degno di quello divenissi, del nome di lei colui domandai e della sua gentilezza e del luogo dov'ella a casa dimorasse, il quale quello non è dove tu la lasciasti; ed esso ogni cosa pienamente mi palese. Per che poi, da lui dipartitomi, del tutto dispuosi di volerla vedere; e, se così perseverasse meco ciò che io di lei estimava, mettere ogni mia sollecitudine in fare ch'ella divenisse mia donna, come io suo servidore diverrei. E, sanza dare alla bisogna alcuno indugio, in quella parte prestamente n'andai, dove a quella ora la credetti potere trovare e vedere; e sì mi fu in ciò la Fortuna favorevole, la qual mai, se non in cosa che dannosa mi dovesse riuscire, non mi fu piacevole, che al mio avviso ottimamente rispuose l'effetto. E dirotti maravigliosa cosa: che, non avendo io alcuno altro indizio di lei che solamente il color nero del vestimento, guardando tra molte che quivi n'erano in quello medesimo abito che ella, dove io prima la vidi, come il suo viso corse agli occhi miei, subitamente avvisai lei dovere essere quella che io andava cercando. E per ciò ch'io portai sempre oppinione, e porto, che amore discoperto o sia pieno di mille noie o non possa ad alcuno disiderato effetto pervenire, avendo meco disposto del tutto di non comunicar questo con persona in guisa niuna, se con colui non fosse al quale, poscia ch'io amico divenni, ogni mio secreto fu palese, non ardiva addomandar se ciò fosse, che mi pareva. Ma ancora la Fortuna, che in poche cose intorno a questo mio desiderio mi dovea giovare, come nella prima cosa m'era stata favorevole, così mi fu in questa seconda: perciò che, di dietro a me, senti' alcuna donna che colle sue compagne di lei favellava, dicendo:

 

«Deh, guardate come alla cotal donna stanno bene le bende bianche e' panni neri». La quale alcuna delle compagne, che per avventura non la conoscea, con tanto piacere di me, che alle loro parole tenea gli orecchi, che dir non potrei, la dimandò: «Quale è dessa di quelle molte che colà sono?». A cui la domandata donna rispuose: «La terza, che siede in su quella panca, è colei di cui io vi parlo». Dalla quale risposta io compresi me ottimamente avere avvisato; e da quella ora in avanti l'ho conosciuta. Io non mentirò: come io vidi la sua statura e poco appresso alquanto al suo andare riguardai e un poco gli atti esteriori ebbi considerati, io presumetti, ma falsamente, non solamente che colui, al quale di lei avea udito parlare, dovesse avere detto il vero, ma che troppo più ch'egli detto non avea ne dovesse essere di bene. E così, da falsa oppinione vinto, subito mi senti', come se dall'udite cose e dalla vista di lei si movesse, corrermi al cuore un fuoco, non altrimenti che faccia su per le cose unte la fiamma, e sì fieramente riscaldarmi che, chi allora m'avesse riguardato nel viso, n'arebbe veduto manifesto segnale; e come che i segni, venuti nel viso per lo nuovo fuoco, che, come prima le parti superficiali andò leccando, così poi, nelle intrinsece trapassato, più vivo divenne, se ne partissono, mai ancora se non dentro, crescer il sentii.

 

In questa guisa adunque, che raccontato ho, di colei, che mal per me fu veduta, preso fui, dandomi il suo aspetto pieno di malvagità, non senza artificiale maestria, speranza di futura mercede. –

 

Lo spirito, il quale – secondo il mio parere – queste cose, non senza diletto ascoltate avea, già me sentendo tacere così cominciò a parlare:

 

– Assai bene m'hai dimostrato il come e la cagione del tuo esser di prima allacciato e come tu medesimo ti vestisti la catena alla gola, ch'ancor ti strigne. Ma non ti sia grave ancor manifestarmi se mai questo tuo amore le palesasti e come, ché mi parve dianzi udire di sì; e il dirmi appresso se da lei avesti alcuna speranza che più t'accendesse che il tuo medesimo disiderio primieramente avesse fatto. –

 

Al quale io rispuosi:

 

– Per ciò che io manifestamente conosco, se io celar tel volessi, io non potrei, sì mi pare che tu il vero senta de' fatti miei, donde che tu te l'abbi, niuna cosa te ne nasconderò. Egli è il vero che, avendo io data piena fede, come già dissi, alle parole udite da colui che lei tanto valorosa m'avea mostrata, io presi ardir di scriverle, mosso da cotale intenzione: «Se costei è da quello che costui mi ragiona, aprendole io onestamente per una lettera il mio amore, l'una delle due cose ragionevolmente mi dee seguire: o ella l'arà caro, per usarlo in quello ch'io possa; e a ciò mi risponderà; o ella l'arà caro, ma, non volendolo usare, discretamente me dalla mia speranza rimoverà». Per che l'uno de' due fini aspettando, quantunque l'uno più che l'altro disiderassi, per una mia lettera, piena di quelle parole che più onestamente intorno a così fatta materia dir si possono, il mio ardente disiderio le feci sentire. A questa lettera seguitò per risposta una sua piccola letteretta, nella quale, quantunque ella con aperte parole niuna cosa al mio amore rispondesse, pure, con parole assai zoticamente composte e che rimate pareano, e non erano rimate, sì come quelle che l'un piè avevano lunghissimo e l'altro corto, mostrava di disiderar di sapere chi io fossi. E dirotti più: ch'ella in quella s'ingegnò di mostrare d'avere alcun sentimento d'una oppinione filosofica, quantunque falsa sia, cioè che una anima d'uno uomo in uno altro trapassi: il che alle prediche, non in libro né in scuola, son certo ch'apprese. E in quella, me a uno valente uomo assomigliando, mostrò di volere, lusingando, contentare; affermando appresso sommamente piacerle chi senno e prodezza e cortesia avesse in sé e con queste antica gentilezza congiunta. Per la quale lettera, anzi per lo stile del dettato della lettera, assai leggiermente compresi o colui, che di lei assai cose dette m'avea, esser di gran lunga del natural senno di lei e della ornata eloquenzia ingannato, o averne voluto me ingannare. Ma non pote' perciò, non che spegnere, ma pure un poco il concetto fuoco diminuire; e avvisai che ciò che scritto m'avea niun'altra cosa per ancora volesse, se non darmi ardire a più avanti scrivere e speranza di più particulare risposta che quella; e ammaestramento e regola in quelle cose fare che per quella poteva comprendere che le piacessero. Delle quali, come ch'io fornito non mi sentissi, per ciò che né sennoprodezzagentilezza c'era (alla cortesia, quantunque il buono animo ci fosse, non ci avea di che farla), nondimeno, secondo la mia possibilità, a dovere fare ogni cosa, per la quale io la sua grazia meritassi, mi dispuosi del tutto. E del piacere preso da me della lettera ricevuta, per un'altra lettera, com'io seppi il meglio, la feci certa; né poi senti', né per sua lettera né per ambasciata, quello che io, di ciò che scritto l'avea, le paresse. –

 

Allora lo spirito disse:

 

– Se più avanti in questo amore non è stato, che cagione ti induceva il trapassato, con tante lagrime e con tanto dolore, sì ferventemente per questo a disiderare di morire? –

 

Al quale io rispuosi:

 

– Forse che il tacerlo sarebbe più onesto; ma, non potendolti negare, poi ne domandi, tel pur dirò. Due cose erano quelle che quasi ad estrema disperazione m'aveano condotto: l'una fu il ravvedermi che, dov'io alcun sentimento credeva avere, quasi una bestia senza intelletto m'avvidi ch'io era; e certo questo non è da turbarsene poco, avendo riguardo che io la maggiore parte della mia vita abbi spesa in dovere qualche cosa sapere, e poi, quando il bisogno viene, trovarmi non sapere nulla; l'altra fu il modo tenuto da lei in far palese ad altrui che io di lei fossi innamorato: e in questo più volte crudele e pessima femina la chiamai.

 


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