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III
Nella prima cosa mi trovai io in più modi stoltamente avere operato; e massimamente in credere troppo di leggeri così alte cose d'una femina, come colui raccontava, senza altro vederne; e appresso per quelle, senza vedere né dove né come, ne' lacciuoli d'amore incapestrarmi e nelle mani d'una femina dare legata la mia libertà e sottoposta la mia ragione; e l'anima, che, con questa accompagnata, solea essere donna, senza, essere divenuta vilissima serva: delle quali cose né tu né altri dirà che da dolersi non sia infin la morte.
Nella seconda essa ha, secondo che mi pare, in assai cose fallato e assai chiaramente mostrato colui mentir per la gola che sì ampiamente delle sue esimie virtù, meco parlando, si distese. Per ciò che, secondo che a me pare avere compreso, uno, il quale non perch'e' sia, ma perché gli pare essere, i suoi vicini chiamano «il secondo Ansalone», è da lei amato; al quale essa, per più farglisi cara, ha le mie lettere palesate e con lui insieme, me a guisa d'uno beccone, ha schernito; senza che colui, di me faccendo una favola, già con alcuni per lo modo che più gli è piaciuto n'ha ragionato; senza che esso, come io son qui, per più largo spazio avere di favellare, fu colui che la risposta alla mia lettera, della quale davanti ti dissi, mi fece fare; e oltre a questo, secondo che i miei medesimi occhi m'hanno fatto vedere, m'ha ella, sogghignando, a più altre mostrato, come io avviso dicendo:
«Vedi tu quello scioccone? Egli è mio vago: vedi se io mi posso tenere beata!».
E certo quanto quelle donne, alle quali ella m'ha dimostrato, sieno state e sieno oneste, e io e altri il sappiamo: perché ella, sì come comprendere se ne dee, come il suo amante tra gli uomini, così ella tra le femine di me favoleggia. Ahi, disonesta cosa e sconvenevole, che uomo, lasciamo stare gentile, che non mi tengo, ma sempre con valenti uomini usato e cresciuto, e delle cose del mondo, avvegna che non pienamente, ma assai convenevolmente informato, sia da una femina, a guisa d'uno matto, ora col muso, ora col dito all'altre femine dimostrato! Io diro il vero: questo m'indusse a tanta indignazione d'animo che io fui alcuna volta assai vicino ad usare parole che poco onore di lei sarieno state; ma pure alcuna scintilletta di ragione, dimostrandomi che molto maggiore vergogna a me, ciò faccendo, acquisterei che a lei, da tale impresa, non poco ma molto turbato, mi ritenne e a quella ira e disordinato appetito, di che tu mi domandi, m'indusse. –
Lo spirito allora, nella vista mostrando d'avere assai bene le mie parole raccolte e la intenzione di quelle, seco non so che dicendo, alquanto, avanti che alcuna cosa che io intendessi dicesse, soprastette pensoso; poi, a me rivolto, con voce assai mansueta cominciò a parlare, dicendo:
– E come tu t'innamorasti e di cui, e 'l perché e la cagione della tua disperazione assai bene mi credo dalle tue parole aver compreso. Ora voglio io che grave non ti sia se alquanto in servigio della tua medesima salute, e forse dell'altrui, io teco mi distendo a ragionare, primieramente da te incominciando, perché del tuo errore fosti tu stesso principio; e da questo verremo a dire di colei della quale tu, mal conoscendola, follemente t'innamorasti; e ultimamente, se tempo ne fia prestato, alcuna cosa diremo sopra le cagioni che te a tanto cruccio recarono che quasi te a te fecero uscir di mente. E, cominciando da quello che promesso abbiamo, dico che assai cagioni giustamente me e ogni altro possono muovere a doverti riprendere; ma, acciò che tutte non si vadano ricercando, per fare il ragionamento minore, due solamente m'aggrada toccarne: l'una e la tua età, la seconda sono gli tuoi studi; delle quali ciascuna per sé, e amendue insieme, ti dovevano render cauto e guardingo dagli amorosi lacciuoli. E primieramente la tua età, la quale se le tempie già bianche e la canuta barba non mi ingannano, tu dovresti avere li costumi del mondo, fuor delle fasce già sono – degli anni – quaranta, e già sono venticinque cominciatoli a conoscere. E, se la lunga esperienza delle. fatiche d'amore nella tua giovanezza tanto non t'avea gastigato che bastasse, la tiepidezza degli anni, già alla vecchiezza appressatisi, almeno ti dovea aprire gli occhi e farti conoscere là dove questa matta passione, seguitando, ti dovea far cadere; e, oltre a ciò, mostrarti quante e quali fossero le tue forze a rilevarti. La qual cosa se con estimazione ragionevole avessi riguardata, conosciuto avresti che dalle femine nelle amorose battaglie gli uomini giovani, non quelli che verso la vecchiezza calano, sono richiesti; e avresti veduto le vane lusinghe, sommamente dalle femine desiderate, ne' giovani, non che ne' tuoi pari, star male. Come si conviene o si confà a te, oggimai maturo, il carolare, il cantare, il giostrare e l'armeggiare, cose di niuno peso massimamente da loro gradite? Tu medesimo non solamente dirai che a te sconvenevoli sieno, ma con ragioni inespugnabili biasimerai i giovani che le fanno. Come è alla tua età convenevole l'andare di notte, il contraffarti, il nasconderti a ciascheduna ora che ad una femina piacerà; e non solamente in quella parte che forse, meno disdicevole, da te sarebbe eletta, ma in quella che essa medesima, forse per gloriarsi d'avere uno uomo maturo a guisa d'un semplice garzone, disonesta e sconvenevole eleggerà? Come è alla tua età convenevole, se il bisogno il richiedesse, del quale molto sovente son pieni gli accidenti d'amore, di pigliare l'arme e la tua salute, o forse quella della tua donna, difendere? Certo io credo, senza più cose andar ricordando, che a tutte parimente risponderesti che male; e, quando ciò non ti paresse, a me e a ciascun altro, il quale con più discreto occhio guardasse che tu, impedito, per avventura fare non puoi, parrebbe pure che così fosse. Male è adunque omai la tua etade agl'innamoramenti decevole: alla quale non il seguire le passioni, o lasciarsi a loro sopravegnenti vincere, sta bene; ma il vincer quelle; e con opere virtuose, che la tua fama ampliassero, e con aperta fronte e lieta dare di sé ottimo esemplo a' più giovani s'appartiene. Ma alla seconda parte è da venire; la quale ne' giovani non che ne' vecchi fa amore disdicevole, se io non m'inganno: cioè i tuoi studi. Tu, se io già bene intesi, mentre vivea, e ora così essere il vero apertamente conosco, mai alcuna manuale arte non imparasti e sempre l'essere mercatante avesti in odio; di che più volte ti se' e con altrui e teco medesimo gloriato, avendo riguardo al tuo ingegno, poco atto a quelle cose nelle quali assai invecchiano d'anni, e di senno ciascuno giorno diventano più giovani. Della qual cosa il primo argomento è che a loro par più che tutti gli altri sapere, come alquanto sono loro bene disposti i guadagni, secondo gli avvisi fatti, oppure per avventura, come suole le più volte avvenire; là dove essi, del tutto ignoranti, niuna cosa più oltre sanno che quanti passi ha dal fondaco o dalla bottega alla lor casa; e par loro ogni uomo, che di ciò li volesse sgannare, aver vinto e confuso, quando dicono: «Di' che mi venga ad ingannare», o dicono: «All'uscio mi si pare»; quasi in niun'altra cosa stia il sapere, se non o in ingannare o in guadagnare.
Gli studi adunque alla sacra filosofia pertinenti, infino dalla tua puerizia, più assai che il tuo padre non arebbe voluto, ti piacquero; e massimamente in quella parte che a poesia appartiene; la quale per avventura tu hai con più fervore d'animo che con altezza d'ingegno seguita. Questa, non menoma tra l'altre scienzie, ti dovea parimente mostrare che cosa è amore e che cosa le femine sono, e chi tu medesimo sii e quel che a te s'appartiene. Vedere adunque dovevi amore essere una passione accecatrice dell'animo, disviatrice dello 'ngegno, ingrossatrice, anzi privatrice della memoria, dissipatrice delle terrene facultà, guastatrice delle forze del corpo, nemica della giovanezza e della vecchiezza morte, genitrice de' vizi e abitatrice de' vacui petti; cosa senza ragione e senza ordine e senza stabilità alcuna, vizio delle menti non sane e sommergitrice della umana libertà. Oh quante e quali cose sono queste da dovere non che i savi, ma gli stolti spaventare! Vien teco medesimo rivolgendo l'antiche istorie e le cose moderne e guarda di quanti mali, di quanti incendi, di quante morti, di quanti disfacimenti, di quante ruine ed esterminazioni questa dannevole passione è stata cagione. E una gente di voi miseri mortali, tra i quali tu medesimo, avendo il conoscimento gittato via, il chiamate «iddio», e quasi a sommo aiutatore, ne' bisogni sacrificio gli fate delle vostre menti e divotissime orazioni gli porgete! La qual cosa quante volte tu hai già fatto o fai o farai, tante ti ricordo, se tu da te, uscito forse del diritto sentimento, nol vedi, che a Dio tu e a' tuoi studi e a te medesimo fai ingiuria. E, se le dette cose esser vere la tua filosofia non ti mostrasse, né a memoria ti ritornasse la sperienza la quale di gran parte di quelle in te medesimo veduta hai, le dipinture degli antichi tel mostreranno, le quali lui per le mura, giovane, ignudo, con ali e con gli occhi velati e arciere, non sanza grandissima cagione e significazione de' suoi effetti, tutto 'l dì vi dimostrano.
Dovevanti, oltre a questo, li tuoi studi mostrare, e mostrarono, se tu l'avessi voluto vedere, che cosa le femine sono; delle quali grandissima parte si chiamano e fanno chiamare «donne», e pochissime se ne truovano. La femina è animale imperfetto, passionato da mille passioni spiacevoli e abbominevoli pure a ricordarsene, non che a ragionarne: il che se gli uomini riguardassono come dovessono, non altrimenti andrebbono a loro, né con altro diletto o appetito, che all'altre naturali e inevitabili opportunità vadano; i luoghi delle quali, posto giù il superfluo peso, come con istudioso passo fuggono, così il loro fuggirebbono, quello avendo fatto per che la deficiente umana prole si ristora; sì come ancora tutti gli altri animali, in ciò molto più che gli uomini savi, fanno. Niuno altro animale è meno netto di lei: non il porco, qualora è più nel loto convolto, aggiugne alla bruttezza di loro; e, se forse alcuno questo negar volesse, riguardinsi i parti loro, ricerchinsi i luoghi segreti dove esse, vergognandosene, nascondono gli orribili strumenti li quali a tôr via i loro umori superflui adoperano. Ma lasciamo stare quel che a questa parte appartiene; la quale esse ottimamente sappiendo, nel segreto loro hanno per bestia ciascuno uomo che le ama, che le desidera o che le segue; e in sì fatta guisa ancora la sanno nascondere che da assai stolti, che solamente le croste di fuori riguardano, non è conosciuta né creduta; senza che di quelli sono che, bene sappiendola, ardiscono di dire ch'ella a lor piace, e che questo e quello farebbono e fanno; li quali per certo non sono da essere annoverati tra gli uomini.
E vegnamo all'altre loro cose o ad alcuna di quelle: per ciò ch'a volere dire tutto non ne basterebbe l'anno il quale tosto è per entrare nuovo. Esse, di malizia abbondanti, la qual mai non supplì, anzi sempre accrebbe difetto, considerata la loro bassa e infima condizione, con quella ogni sollecitudine pongono a farsi maggiori. E primieramente alla libertà degli uomini tendono lacciuoli, sé, oltre a quello che la natura ha loro di bellezza o d'apparenza prestato, con mille unguenti e colori dipignendo; e or con solfo e quando con acque lavorate e spessissimamente co' raggi del sole i capelli, neri dalla cotenna prodotti, simiglianti a fila d'oro fanno le più divenire; e quelli, ora in treccia di dietro alle reni, ora sparti su per li omeri, e ora alla testa ravvolti, secondo che più vaghe parer credono, compongono; e quinci con balli e talor con canti, non sempre ma talor mostrandosi, i cattivelli che attorno vanno, avendo nell'esca nascosto l'amo, prendono senza lasciare. E da questo, questa e quell'altra e infinite di costui e di colui e di molti divengono mogli; e di troppa maggior quantità amiche. E, parendo loro essere salite un alto grado, quantunque conoscano sé essere nate a esser serve, incontanente prendono speranza e aguzzano il disiderio alla signoria; e, faccendosi umili obbedienti e blande, le corone, le cinture, i drappi d'oro, i vai, i molti vestimenti e gli altri ornamenti vari, de' quali tutto il dì si veggono splendenti, dai miseri mariti impetrano; il quale non s'accorge tutte quelle essere armi a combattere la sua signoria e a vincerla. Le quali, poi che le loro persone e le loro camere, non altramenti che le reine abbino, veggiono ornate e i miseri mariti allacciati, subitamente dall'essere serve divenute compagne, con ogni studio la signoria s'ingegnano d'occupare. E, volendo singulare esperienza prendere se donne sono nelle case, in sul far male arditamente si mettono, argomentando che, se quello è a lei sofferto che non sarebbe sofferto alla serva, chiaramente può conoscere sé donna e signoreggiante. E primieramente alle fogge nuove, alle leggiadrie non usate, anzi lascivie, e alle disdicevoli pompe si danno; e a niuna pare essere né bella né ragguardevole, se non tanto quanto ella ne' modi, nelle smancerie e ne' portamenti somigliano le publiche meretrici; le quali tanti nuovi abiti né sì disonesti possono nelle città arrecare, che loro tolti non sieno da quelle che gli stolti mariti credono esser pudiche; li quali, avendo male i loro danari spesi, acciò che gittati non paiano, queste cose nelle dette maniere lasciano usare, senza guardare in che segno debba ferire quello strale. Come esse da questo fiere nelle case divengano, i miseri il sanno, che 'l pruovano: esse, sì come rapide e fameliche lupe, venute ad occupare i patrimoni, i beni e le ricchezze de' mariti, or qua or là discorrendo, in continui romori co' servi, colle fanti, co' fattori, co' fratelli e figliuoli de' mariti medesimi stanno, sé tenere riguardatrici di quelli, dove esse sole dissipatrici disiderano d'essere; senza che, acciò che tènere paiano di coloro di cui esse hanno poca cura, mai ne' lor letti non si dorme, tutta la notte in letigi trapassa e in questioni, dicendo ciascuna al suo: «Ben veggio come tu m'ami: ben sarei cieca se io non m'accorgessi che altri t'è all'animo più ch'io. Credi tu ch'i' sia abbagliata; e ch'io non sappia a cui tu vai dietro, a cui tu vuogli bene e con cui tu tutto 'l dì favelli? Ben lo so bene: io ho migliori spie che tu non credi. Misera me! ché è cotanto tempo ch'io ci venni, eppure una volta ancora non mi dicesti, quando a letto mi vengo: «Amor mio, ben sia venuta». Ma, alla croce di Dio, io farò di quelle a te, che tu fai a me. Or son io così sparuta? Non son io così bella come la cotale? Ma sai che ti dico? Chi due bocche bacia, l'una convien che gli puta. Fatti in costà: se Dio m'aiuti, tu non mi toccherai; va' dietro a quelle di che tu se' degno, ché certo tu non eri degno d'avere me; e fai ben ritratto di quel che tu se'. Ma a fare, a far sia. Pensa che tu non mi ricogliesti del fango; e Dio il sa chenti e quali erano quelli che se l'arebbono tenuto in grazia d'avermi presa senza dote; e sarei stata donna e madonna d'ogni lor cosa: e a te diedi cotante centinaia di fiorini d'oro, né mai pur d'uno bicchiere d'acqua non ci pote' esser donna, senza mille rimbrotti de' frateti e de' fanti tuoi; basterebbe s'io fossi la fante loro. E' fu ben la mia disavventura ch'io mai ti vidi: che fiaccar possa la coscia chi prima ne fece parola». E con queste e con molte simili, e più altre assai più cocenti, senza niuna legittima o giusta cagione avere, tutta la notte tormentano i cattivelli: de' quali infiniti sono che cacciano chi 'l padre, chi il figliuolo; chi da' fratelli si divide; e quale né la madre né le sorelle a casa si vuol vedere e lascia il campo solo alla vittrice donna.
Le quali, poi che espedita la possessione veggono, tutta la sollecitudine alle ruffiane e agli amanti si volge. E sieti manifesto che colei, la quale in questa maladetta moltitudine più casta e più onesta ti pare, vorrebbe avanti solo uno occhio avere che esser contenta d'uno solo uomo; e, se forse due o tre ne bastassero, saria qualche cosa; e forse saria tollerabile se questi due o tre avanzassero i mariti, o fossero almen loro pari. La loro lussuria è focosa e insaziabile; e per questo non patisce né numero né elezione: il fante, il lavoratore, il mugnaio, e ancora il nero etiopo, ciascuno è buono, sol che possa. E sono certo che sarebbono di quelle che ardirebbono a negare questo, se l'uomo non sapesse già molte, non essendo i mariti presenti o quelli lasciati nel letto dormendo, esserne ne' lupanari publici andate con vestimenti mutati; e di quelli ultime essersi dipartite, stanche ma non sazie. E che cosa è egli ch'elle non ardiscano per potere a questo bestiale loro appetito soddisfare ? Esse si mostrano timide e paurose; e, comandandolo il marito, quantunque la cagione fosse onesta, non sarrebbono in niuno luogo alto, ché dicono che vien meno loro il cerebro; non entrerebbono in mare, ché dicono che lo stomaco nol patisce; non andrebbono di notte, ché dicono che temono gli spiriti, l'anime e le fantasime. Se sentono un topo andare per la casa o che 'l vento muova una finestra o che una piccola pietra caggia da alto, tutte si riscuotono e fugge loro il sangue e la forza, come se a un mortal pericolo soprastessono. Ma esse prestano fortissimi animi a quelle cose le quali esse vogliono disonestamente adoperare. Quante già su per le sommità delle case, de' palagi o delle torri andate sono, e vanno, da' loro amanti chiamate o aspettate? Quante già presummettero, e presummono tutto 'l giorno, o davanti agli occhi de' mariti, sotto le ceste o nelle arche gli amanti nascondere ? Quante nel letto medesimo co' mariti farli tacitamente intrare? Quante, sole e di notte, e per mezzo gli armati e ancora per mare e per li cimiteri delle chiese se ne truovano continuo dietro andare a chi me' lavora? E, che maggior vituperio è, veggenti i mariti, ne sono infinite che presummono fare i lor piaceri? Oh quanti parti, in quelle o che più temono o che più delli loro sconci falli arrossano, innanzi al tempo periscono! Per questo la misera savina, più che gli altri alberi, si truova sempre pelata, quantunque esse a ciò abbiano altri argomenti infiniti. Quanti parti per questo, mal lor grado venuti a bene, nelle braccia della fortuna si gittano! Riguardinsi gli spedali. Quanti ancora, prima che essi il materno latte abbino gustato, se n'uccidono! Quanti a' boschi, quanti alle fiere se ne concedono e agli uccelli! Tanti e in sì fatte maniere ne periscono che, bene ogni cosa considerata, il minore peccato in loro è l'avere l'appetito della lussuria seguìto.
Ed è questo esecrabil sesso femineo, oltre ad ogni altra comparazione, sospettoso e iracondo. Niuna cosa si potrà con vicino, con parente o con amico trattare, che, se ad esse non è palese, che esse subitamente non suspichino contro a loro adoperarsi e in loro detrimento trattarsi; benché di ciò gli uomini non si debbono molto maravigliare, per ciò che naturale cosa è di quelle cose che altri sempre opera in altrui, di quelle da altrui sempre temere; per questo sogliono i ladroni ben sapere riporre le cose loro. Tutti i pensieri delle femmine, tutto lo studio, tutte l'opere a niuna altra cosa tirano, se non a rubare, a signoreggiare e ad ingannare gli uomini; perché leggiermente credono sopra loro d'ogni cosa, che non sanno, simili trattati tenersi. Da questo gli strolagi, li negromanti, le femmine maliose, le 'ndovine sono da loro visitate, chiamate, aute care; e in tutte le loro opportunità, di niente servendo se non di favole, di quello de' mariti cattivelli sono abbondevolmente sovvenute e sustentate, anzi arricchite; e, se da queste pienamente saper non possono la loro intenzione, ferocissime e con parole altiere e velenose, s'ingegnano di certificarsi da' loro mariti; a' quali, quantunque il ver dicano, radissime volte credono. Ma, sì come animale a ciò inchinevole, subitamente in sì fervente ira discorrono che le tigre, i leoni, i serpenti hanno più d'umanità, adirati, che non hanno le femine; le quali, chente che la cagione si sia, per la quale in ira accese si sieno, subitamente a' veleni, al fuoco e al ferro corrono. Quivi non amico, non parente, non fratello, non padre, non marito, non alcuno de' suoi amanti è risparmiato; e più sarebbe allora caro a ciascuna tutto 'l mondo, il cielo, Iddio e ciò ch'è di sopra e di sotto universalmente ad un'ora potere confondere, guastare e tornare a nulla che, ad animo riposato, potere cento bagascioni al suo piacere adoperare. Se 'l tempo nel concedesse l'andar narrando quanti mali e come scellerati le loro ire abbino già faiti, non dubito che tu non dicessi essere il maggiore miracolo, che mai o veduto o udito fosse, che esse sieno sostenute da Dio. E, oltre a ciò, è questa empia generazione avarissima: e, acciò che noi lasciamo stare lo 'mbolare continuo che a' mariti fanno e le ruberie a' lor pupilli figliuoli e le storsioni a quelli amanti che troppo non piacciono, che sono evidentissime e consuete cose, riguardisi a quanta viltà si sottomettono per ampliare un poco le dote loro. Niuno vecchio bavoso, a cui colino gli occhi e triemino le mani e 'l capo, sarà, cui elle per marito rifiutino, solamente che ricco il sentano; certissime infra poco tempo di rimanere vedove e che costui nel nido non dee loro soddisfare. Né si vergognano le membra, i capelli e 'l viso, con cotanto studio fatti belli, le corone, le ghirlande leggiadre, i velluti, i drappi ad oro, e tanti ornamenti, tanti vezzi, tante ciance, tanta morbidezza sottomettere, porgere e lasciare trattare alle mani paraletiche, alla bocca sdentata e bavosa e fetida, ch'è molto peggio, di colui cui elle credono potere rubare. Al quale se la già mancante natura concede figliuoli, si n'ha; se non, non può perciò morire sanza erede: altri vengono, che fanno il ventre gonfiare; e, se pure invetriato l'ha la natura fatto, i parti sottoposti gli danno figliuoli, acciò che vedova alle spese del pupillo possa più lungamente deliziosa lussuriare. Sole le 'ndovine, le lisciatrici, le mediche e i frugatori, che loro piacciono, le fanno non cortesi, ma prodighe: in questi niuno riguardo, niuno risparmio né avarizia alcuna in loro si truova già mai. Mobili tutte e senza alcuna stabilità sono: in una ora vogliono e disvogliono una medesima cosa ben mille volte, salvo se di quelle che a lussuria appartengono non fosse, per ciò che quelle sempre le vogliono. Sono generalmente tutte presuntuose; e a se medesime fanno a credere che ogni cosa loro si convenga, ogni cosa stia loro bene, d'ogni onore, d'ogni grandezza sien degne; e che, senza loro, gli uomini niuna cosa vagliano, né viver possano; e sono ritrose e inobedienti. Niuna cosa è più grave a comportare che una femmina ricca; niuna più spiacevole che a vedere irritrosire una povera. Le cose loro imposte tanto fanno, quanto elle credono per quello o ornamenti o abbracciamenti guadagnare; da questo innanzi, sempre una redazione in servitudine l'essere obedienti si credono; e per questo, se non quanto loro dall'animo viene, niuna cosa imposta farebbono giammai. E oltre a ciò, che così in loro dimora come le macchie nello ermellino, non favellatrici, anzi seccatrici sono. I miseri studianti patiscono i freddi e i digiuni e le vigilie: e, dopo molti anni, si truovano poche cose avere apparate; queste pure una mattina che tanto ch'una messa si dica stieno alla chiesa, sanno come si volge il fermamento, quante stelle sieno in cielo e come grandi, qual sia il corso del sole e de' pianeti, come il tuono, il baleno, l'arco, la grandine e l'altre cose nello aere si creino, come il mare vada e ritorni, e come la terra produca i frutti. Sanno ciò che si fa in India e in Ispagna; come sieno fatte le abitazioni degli Etiopi e dove nasca il Nilo; e se 'l cristallo s'ingenera sotto tramontana di ghiaccio o d'altra cosa; con cui dormì la vicina sua; di cui quell'altra è gravida e di che mese dee partorire; e quanti amadori ha quell'altra e chi le mandò l'anello e chi la cintura; e quante uova faccia l'anno la gallina, della vicina sua; e quante fusa logori a filare una dodicina di lino; e in brieve ciò che fecero mai i Troiani o' Greci o' Romani, di tutto pienamente tornano informate; e quelle colla fante, colla fornaia, colla trecca, o colla lavandaia berlingano senza ristare, se altri non truovano che dia loro orecchie; forte turbandosi, se alcuna loro riprovata ne fosse.