Giovanni Boccaccio
Il Corbaccio

IV

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IV

È il vero che da questa loro così sùbita sapienza e divinamente in loro spirata ne nasce una ottima dottrina nelle figliuole: a tutte insegnano rubare i mariti; come si debbano ricevere le lettere degli amanti; come ad esse rispondere; in che guisa metterlisi in casa; che maniera debbano tenere ad infignersi d'essere malate, acciò che libero loro dal marito rimanga il letto; e molti altri mali. Folle è chi crede che niuna madre si diletti d'aver miglior figliuola di sé o più pudica. E non nuoce che bisogna che per una bugia, per uno spergiuro, per una retà, per mille sospiri infinti, per cento milia false lagrime elle vadano ai lor vicini, ché, quando mestier lor fanno le prestino, sallo Iddio (ch'io per me non seppi mai tanto pensare ch'io sapessi conoscere o discernere) dove elle le si tengano, che sì pronte e sì preste ad ogni lor volere l'abbino come hanno.

 

Bene è il vero ch'elle sono arrendevoli a lasciarsi un lor difetto provare, e spezialmente quelli che altri cogli occhi suoi medesimi vede; e non hanno presto il: «Non fu così; tu menti per la gola; tu hai le traveggole; tu hai le cervella date a rimpedulare; béi meno; tu non sai ove tu ti se'; se' tu in buon senno? tu farnetichi a santà e anfani a secco», e cotali altre lor parolette puntate. E, se esse diranno d'avere un asino veduto volare, dopo molti argomenti in contrario converrà che si conceda del tutto; se non, le inimicizie mortali, le 'nsidie e gli odi saranno di presente in campo. E sono di tanta audacia che, chi punto il lor senno avvilisce, incontanente dicono: «Le Sibille non furono savie?» quasi ciascuna di loro debba essere l'undecima. Mirabile cosa, in tante migliaia d'anni quante trascorse sono poi che 'l mondo fu fatto, intra tanta moltitudine quanta è stata quella del femineo sesso, essersene diece solennissime e savie trovate; e a ciascuna femina pare essere una di quelle, o degna d'essere tra quelle annoverata. E, tra l'altre loro vanità, quando molto sopra gli uomini si vogliono levare, dicono che tutte le buone cose son femine: le stelle, le pianete, le Muse, le virtù, le ricchezze. Alle quali, se non che disonesto sarebbe, null'altro si vorrebbe rispondere, se non: «Egli è così vero che tutte son femine, ma non pisciano». E, oltre a questo, assai sovente molto meno consideratamente si gloriano, dicendo che Colei, nel cui ventre si racchiuse l'unica e general salute di tutto l'universo, virgine innanzi al parto e che dopo il parto rimase virgine, con alquante altre, (non molte però, della cui virtù spezial menzione e solennità fa la Chiesa di Dio), furono così femine come loro; e per questo imaginano dovere essere riguardate, argomentando niuna cosa contro a loro potersi dire della loro viltà, che contro a quelle, che santissima cosa furono, non si dica; e quasi vogliono che lo scudo della loro difesa nelle braccia di quelle rimanga: che in niuna cosa le somigliarono, se non in una. Ma questo non è da dovere consentire, per ciò che quella unica sposa dello Spirito Santo fu una cosa tanto pura, tanto virtuosa, tanto monda e piena di grazia e del tutto sì da ogni corporale e spiritual bruttura rimota che, a rispetto dell'altre, quasi non dell'elementar composizione, ma d'una essenzia quinta fu formata a dovere essere abitacolo e ostello del figliuolo di Dio; il quale, volendo per la nostra salute incarnare, per non venire ad abitare nel porcile delle femine moderne, ab ecterno se la preparò, sì come degna camera a tanto e cotale re. E, se altro da questa vil turba essere stata separata non la mostrasse, li suoi costumi tutti, dalli loro spartiti, la mosterrebbe; e similmente la sua bellezza la quale non artificiata, non dipintacolorata fu; ed è tanta che fa nel beato regno lieti gli agnoli, riguardandola, e a' beati spiriti (se dir si può) aggiugne gloria e maraviglioso diletto. La quale, mentre qua giù fu nelle membra mortali, mai da alcuno non fu riguardata che il contrario non operasse di quello che le vane femine, dipignendo, s'ingegnano di fare maggiore; per ciò che, dove questa di costoro il concupiscevole appetito e disonesto desiderio commuove e desta, così quella della reina del cielo ogni villano pensiere, ogni disonesta volontà di coloro cacciava che la miravano; e d'uno focoso e caritevole ardore di bene e virtuosamente adoperaremaravigliosamente li accendeva che, laudando divotamente Colui che creata l'avea, a mettere in opera il bene acceso desiderio si disponeano. E di questo in lei non vanagloria, non superbia venìa; ma intanto la sua umiltà ne crescea che, per avventura, ebbe tanta fortezza che la incommutabile disposizione di Dio avacciò a mandare in terra il suo figliuolo, del quale ella fu madre. L'altre poche, che a questa reverendissima e veramente donna s'ingegnarono con tutta lor forza di somigliare, non solamente le mondane pompe non seguitarono, ma le fuggirono con sommo studio; né si dipinsero per più belle apparere nel cospetto degli uomini strani, ma le bellezze loro dalla natura prestate disprezzarono, le celestiali aspettando. In luogo d'ira e di superbia, ebbero mansuetudine e umiltà; e la rabbiosa furia della carnale concupiscenza colla astinenzia mirabile domarono e vinsero, prestando maravigliosa pazienzia alle temporali avversità e a' martìri: delle quali cose servata l'anima loro immaculata, meritarono di divenire compagne a Colei nella etterna gloria, la quale s'erano ingegnate nella mortal vita di somigliare. E, se onestamente si potesse accusare la natura, maestra delle cose, io direi che essa fieramente avesse in così fatte donne peccato, sottoponendo e nascondendo così grandi animi, così virili, così costanti e forti sotto così vili membra e sotto così vile sesso, come è il feminile; per che, bene ragguardando chi queste furono e chi quelle sono, che nel numero di quelle si vogliono mescolare e in quello essere annoverate e reverite, assai bene si vedrà mal confarsi l'una coll'altra, anzi essere del tutto l'una all'altra contrarie. Tacciasi adunque questa generazione prava e adulteravoglia il suo petto degli altrui meriti adornare; ché per certo le simili a quelle, che dette abbiamo, sono più rade che le fenici; delle quali veramente se alcuna esce di schiera, tanto di più onore è degna che alcuno uomo, quanto la sua vittoria e il miracolo è maggiore. Ma io non credo che in fatica d'onorarne alcuna per li suoi meriti, a' nostri bisavoli non che a noi, bisognasse d'entrare: e prima spero si ritroveranno de' cigni neri e de' corbi bianchi che a' nostri successori d'onorarne alcuna altra bisogni d'entrare in fatica; per ciò che l'orme di quelle che la reina degli angeli seguitarono, sono ricoperte; e le nostre femine di grado hanno il cammino smarrito, né vorrebbero già che fosse loro rinsegnato; e, se pure alcuno, predicando, se ne fatica, così alle sue parole gli orecchi chiudono come l'aspido al suono dello incantatore.

 

Ora io non t'ho detto quanto questa perversa moltitudine sia gulosa, ritrosa, ambiziosa, invidiosa, accidiosa, e delira: né quanto ella nel farsi servire sia imperiosa, noiosa, vezzosa, stomacosa e importuna; né altre cose assai le quali, molte più e più dispiacevoli che le narrate, se ne potrebbono contare non intendo al presente di dirleti, ché troppo sarebbe lunga la istoria. Ma per quello ch'è detto, dèi tu assai ben comprendere chenti esse universalmente sieno e in quanto cieca prigione caggia, e dolorosa, chi sotto lo 'mperio loro cade per qual che si sia la cagione. Parmi essere molto certo che, se mai ad alcune perverrà agli orecchi la verità della loro malizia e de' loro difetti da me dimostrati, che esse incontanente non a riconoscersi, né a vergognarsi d'essere da altrui conosciute e ad ogni forza e 'ngegno di divenire migliori, come dovrebbono, rifuggiranno; ma, come usate sono, pure al peggio n'andranno correndo; e diranno me queste cose dire, non come veritiero, ma come uomo al quale, per ciò che altra spezie piacque, esse dispiacquono. Ma volesse Iddio che non altramente che quello abominevol peccato mi piacque, esse mi fossero piaciute già mai; per ciò che io arei assai tempo acquistato di quello che io dietro ad esse perdei; e nel mondo , dov'io sono, assai minore tormento sofferrei che quello ch'io sostengo.

 

Ma vegniamo ad altro. Dovevanti ancora gli studi tuoi dimostrare chi tu medesimo sii, quando il naturale conoscimento mostrato non te l'avesse, e ricordarti e dichiararti che tu se' uomo fatto alla imagine e alla similitudine di Dio, animale perfetto, e nato a signoreggiare, e non ad esser signoreggiato. La qual cosa nel nostro primo padre ottimamente dimostrò Colui, il quale poco davanti l'avea creato, mettendogli tutti gli altri animali dinanzi e faccendoglieli nomare e alla sua signoria sopponendoli; il simigliante appresso faccendo di quella una e sola femina ch'era al mondo, la cui gola e la cui disubbidienza e le cui persuasioni furono di tutte le nostre miserie cagione e origine. Il quale ordine l'antichità ottimamente servò e ancora serva il mondo presente ne' papati, negl'imperi, ne' reami, ne' principati, nelle provincie, ne' popoli e generalmente in tutti i maestrati e sacerdozi e nell'altre maggioranze così divine come umane, gli uomini solamente, e non le femine, preponendo e loro commettendo il governo degli altri e di quelle. La qual cosa quanto valido e come possente argomento sia a dimostrare quanto la nobiltà dell'uomo ecceda quella della femina e d'ogni altro animale assai leggiermente a chi ha sentimento puote apparere. E non solamente da questo si può o dee pigliare che solamente ad alcuni eccellenti uomini questo così ampio privilegio di nobiltà sia conceduto; anzi s'intenderà essere ancora de' più menomi, per rispetto alle femine e agli altri animali; per che ottimamente si comprenderà il più vile e 'l più menomo uomo del mondo, il quale del bene dello 'ntelletto privato non sia, prevalere a quella femina, in quanto femina, che temporalmente è tenuta più che alcuna delle altre eccellente.

 

Nobilissima cosa adunque è l'uomo il quale dal suo fattore fu creato poco minore che gli angeli. E, se il minore uomo è da tanto, da quanto dovrà essere colui la cui virtù ha fatto ch'egli dagli altri ad alcuna eccellenzia sia elevato? Da quanto dovrà essere colui il quale i sacri studi, la filosofia ha dalla meccanica turba separato? Del numero della quale tu per tuo ingegno e per tuo studio, aiutandoti la grazia di Dio, la quale a niuno che se ne faccia degno, domandandola, è negata, se' uscito e tra' maggiori divenuto degno di mescolarti. Come non ti conosci tu? Come così t'avvilisci? Come t'hai tu così poco caro che tu ad una femina iniqua, insensatamente di lei credendo quello che mai non le piacque, ti vada a sottomettere? Io non me ne posso in tuo servigio racconsolare; e, quanto più vi penso, più ne divengo turbato. A te s'appartiene, e so che tu 'l conosci, più d'usare i solitari luoghi che le moltitudini, ne' templi e negli altri publici luoghi raccolte, visitare; e quivi studiando, operando, versificando, esercitare lo 'ngegno e sforzarti di divenire migliore e d'ampliare a tuo podere, più con cose fatte che con parole, la fama tua; che appresso quella, salute ed etterno riposo, il qual ciascuno che dirittamente disidera dee volere, è il fine della tua lunga sollecitudine. Mentre tu sarai ne' boschi e ne' remoti luoghi, le Ninfe castalide, alle quali queste malvage femine si vogliono assomigliare, non t'abbandoneranno già mai; la bellezza delle quali, sì come io ho inteso, è celestiale; dalle quali, così belle, tu non se' né schifatoschernito, ma è loro a grado il potere stare, andare e usare teco. E, come tu medesimo sai, che molto meglio le conosci che io non fo, elle non ti metteranno in disputare o discutere quanta cenere si voglia a cuocere una matassa d'accia; o se il lino viterbese è più sottile che 'l romagnuolo; né che troppo abbia il forno la fornaia scaldato e la fante meno lasciato il pane levitare; o che da provvedere sia donde vegnano delle granate che la casa si spazzi; non ti diranno quel ch'abbia fatto la notte passata monna cotale, e monna altrettale; né quanti paternostri ell'abbian detti al predicare; né s'egli è il meglio alla cotale roba mutare le sale o lasciarle stare; non ti domanderanno danari né per liscio, né per bossoli, né per unguenti. Esse con angelica voce ti narreranno le cose dal principio del mondo state insino a questo giorno; e sopra l'erbe e sopra i fiori alle dilettevoli ombre teco sedendo, a lato a quel fonte le cui ultime onde non si videro già mai, ti mosterranno le cagioni de' variamenti de' tempi e delle fatiche del sole e di quelle della luna; e qual nascosa virtù le piante nutrichi e insieme faccia li bruti animali amichevoli; e d'onde piovano l'anime negli uomini; e l'essere la divina bontà etterna e infinita; e per quali scale ad essa si salga e per quali balzi si trarupi alla parte contraria; e teco, poi che i versi d'Omero, di Virgilio e degli altri antichi valorosi avranno cantati, i tuoi medesimi, se tu vorrai, canteranno. La lor bellezza non ti inciterà al disonesto fuoco, anzi il caccerà via; e i lor costumi ti fieno inreprobabile dottrina alle virtuose opere. Che dunque, potendo così fatta compagnia avere, quando tu la vogli, e quanto tu la vogli, vai cercando sotto i mantelli delle vedove, anzi de' diavoli, dove leggermente potresti trovare cosa che ti putirebbe? Ahi, quanto giustamente farebbono queste elettissime donne, se del loro bellissimo coro te, sì come non degno, cacciassono, quante volte tu dietro alle femine l'appetito dirizzi, quante volte, fetido e maculato da esse partendoti, tra loro, che purissime sono, ti vai a rimescolare, non vergognandoti della tua bestialità! E certo, se tu non te ne rimani, e' mi pare vedere che t'avverrà; e meritamente. Esse hanno bene il loro sdegno, così come queste altre che «donne» si chiamano non essendo: e chente e quale vergogna ti sia, dove questo avvenga, tu medesimo e pensare e conoscere il puoi.

 

Ma, per ciò ch'assai detto aver mi pare intorno a quello che a te apparteneva di considerare, quando follemente il collo sotto lo importabile giogo di colei, alla quale una gran salmista pare essere, sottomettesti, acciò che tu non creda dall'altre lei diviare, oltre a quello ch'io ti promisi, ciò che tu non potevi ben per te medesimo vedere, intendo di dimostrarti particularmente chi sia colei e chenti i suoi costumi (di cui tu, follemente divenuto servidore, ora ti duoli), e vedrai dove e nelle cui mani il tuo peccato e la troppa, sùbita credenza t'aveano condotto. La prima notizia di questa femina di cui noi parliamo, la quale molto più dirittamente «drago» potrei chiamare, mi diedono le nozze sue: per ciò che, essendo io per morte abbandonato da quella che prima a me era venuta, e di cui io molto meno mi potea scontentare che di questa, non so se per lo mio peccato o per celeste forza che 'l si facesse, avvenne che, essendo e volere e piacere de' miei amici e parenti, a costei, mal da me conosciuta, fui ricongiunto. La qual, già d'altro marito essendo stata moglie e assai bene l'arte dello 'ngannare avendo appresa, non partendosi dal loro universal costume, in guisa d'una mansueta e semplice colomba entrò nelle case mie; e, acciò che io ogni particularità raccontando non vada, ella non vide prima tempo alle occulte insidie, e forse lungamente serbate, poter discoprire, ch'ella, di colomba, subitamente divenne serpente: di che io m'avvidi la mia mansuetudine, troppo rimessamente usata, essere d'ogni mio male certissima cagione. Io dirò il vero: io tentai alquanto di volere porre freno a questo indomito animale; ma perduta era ogni fatica, già tanto s'era il male radicato, che più tosto sostenere che medicare si potea. Per che, avveggendomi che ogni cosa, la quale io intorno a ciò facea, non era altro che aggiugnere legne al fuoco o olio gittare sopra le fiamme, piegai le spalle, nella fortuna e in Dio me e le cose mie rimettendo. Costei adunque, con romori e con minacce e con battere alcuna volta la mia famiglia corsa la casa mia per sua e in quella fiera tiranna divenuta, quantunque assai leggier dote recata v'avesse, come io non tutto pienamente a sua guisa alcuna cosa fatta o non fatta avessi, soprabbondante nel parlare e magnifica dimostrantesi, come se io stato fossi da Capalle ed ella della casa di Soave, così la nobilità e le magnificenzie de' suoi m'incominciò a rimproverare, quasi come se a me non fosse noto chi essi furono già o sieno pure ora al presente; bench'io sia certissimo che essa niuna cosa ne sa altro, se non ch'essa, come vana, credo che spesso vada gli scudi, che per le chiese sono appiccati, annoverando, e dalla vecchiezza di quelli e dalla quantità argomentaessere nobilissima, poi tanti cavalieri sono suti tra' suoi passati e ancora più. Ma, se per dieci cattivi della sua schiatta, più avventurata in crescere in numero d'uomini che in valore o in onore alcuno, fosse stato uno solo scudo appiccato e spiccatone uno di quelli per la cui cavalleria appiccati vi furono, a' quali ella così bene e convenientemente stette come al porco la sella, non dubito punto che, dove degli scudi de' cattivi centinaia apparirebbono, niuno se ne vedrebbe de' cavalieri. Estimano i bestiali, tra' quali ella è maggior bestia che el liofante, che ne' vestimenti foderati di vaio e nella spada e negli sproni dorati, le quali cose ogni piccolo artefice, ogni povero lavoratore leggiermente potrebbe avere, e un pezzo di panno e uno scudicciuolo da fare alla sua fine nella chiesa appiccare, consista la cavalleria; la quale veramente consiste in quelli che oggi cavalieri si chiamano; e non in altro. Ma quanto essi sieno dal vero lontani, colui il sa che quelle cose che ad essa appartengono e per le quali ella fu creata, alle quali tutte essi sono più nimici che il diavolo delle croci, conosce.

 

Adunque con questa stolta maggioranza e arroganza incominciando, sperando io sempre, quantunque io avessi per lo meno male, sì come vile, giù l'armi poste, che essa alcuna volta riconoscer si dovesse e della presa tirannia rimanersi, pervenni a tanto che sanza pro conobbi che, dov'io pace e tranquillità mi credea avere in casa recata, conoscendo che guerra, e fuoco e mala ventura recata v'avea, cominciai a disiderare ch'ella ardesse; e ciascuno luogo della nostra città, qual che si fosse più di litigi e di quistioni pieno, m'incominciò a parer più quieto e più riposato che la mia casa; e, così, veggendo venire la notte, che al tornarvi mi costrignea, mi contristava, come se uno noioso prigioniere e possente e a dovere ad una prigione rincrescevole e oscura m'avesse costretto. Costei adunque, donna divenuta del tutto e di me e delle mie cose, non secondo che la ragione arebbe, al mio stato avendo rispetto, voluto, ma come il suo appetito disordinato richiedea, prima nel modo del vivere e nella quantità il suo ordine puose; e il simigliante fece ne' suoi vestimenti, non quelli ch'io le facea, ma quelli che le piacevano faccendosi; ed a qualunque d'alcuna mia possessione avea il governo, essa convenia che la ragione rivedesse e' frutti prendesse e distribuisse secondo il piacer suo; e in somma ingiuria recandosi perché io così tosto, come ella arebbe voluto, d'alcuna quantità di danari, ch'io avea, mia tesoriera e guardiana non la feci, mille volte me essere uomo senza fede, e massimamente verso di lei, mi rimproverò, infino a tanto che a quello pervenne ch'ella volea, sé d'altra parte di lealtà sopra Fabrizio e qualunque altro leale uomo stato commendando. E, a non volere ogni cosa distintamente narrare, in cose infinite mi si puose al contrario né mai in tal battaglia, se non vincitrice, puose giù l'armi. E io, misero e male in ciò avveduto, credendomi, sofferendo, minuire l'angoscia e l'affanno, più tiepido che l'usato divenuto, seguiva il suo volere; la qual tiepidezza il vestimento, che vermiglio mi vedi, come già dissi, ora con mia gravissima pena riscalda.

 

Ma più avanti è da procedere. In cotal maniera adunque essa donna e io servidore divenuto, con più ardita fronte, non veggendosi alcuna resistenza, cominciò a mostrare e a mettere in opera l'alte virtù che il tuo amico di lei con cotanta solennità ti racconto. Ma, non avendole egli bene per le mani come ebbi io, mi piace con più ordine di contàrleti. E, acciò che io dalla sua principale cominci, affermo per lo dolce mondo il quale io aspetto, e se egli tosto mi sia conceduto, che nella nostra città né fu né è né sarà o donna, o femina che vogliamo dire, e diremo meglio, in cui tanto di vanità fosse che quella di colei, di cui parliamo, di grandissima lunga non la passasse. Per la qual cosa costei estimando che l'avere bene le gote gonfiate e vermiglie e grosse, e sospinte in fuori le natiche (avendo forse udito che queste sommamente piacevano in Alessandria e perciò fossono grandissima parte di bellezza in una donna), in niuna cosa studiava tanto quanto in fare che queste due cose in lei fossono vedute pienamente: nel quale studio queste cose intervenieno alle spese di me che talor digiunava per risparmiare. Primieramente, se grosso cappone si trovava, de' quali ella molti con gran diligenzia faceva nutricare, e' conveniva che innanzi cotto le venisse; e le pappardelle col formaggio parmigiano similmente: le quali non in iscodella, ma in un catino, a guisa del porco, così bramosamente mangiava, come se pure allora dopo lungo digiuno fosse della torre della fame fuggitasi. Le vitelle di latte, le starne, i fagiani, i tordi grassi, le tortole, le suppe lombarde, le lasagne maritate, le frittellette sambucate, i migliacci bianchi, i bramangieri, de' quali ella faceva non altre corpacciate che facciano di fichi, di ciriege o di poponi i villani, quando ad essi s'avvengono, non curo di dirti. Le gelatine, la carne salata e ogni altra cosa acetosa o agra, perché si dice che asciugano, erano sue nimiche mortali. Son certo, s'io ti dicessi come ell'era solenne investigatrice e bevitrice del buono vino cotto, della vernaccia da Corniglio, e del greco e di qualunque altro buon vino morbido e accostante, tu nol mi crederesti, perché impossibile a credere ti parrebbe di cinciglione. Ma, se tu avessi un poco le sue gote vedute, quando io vivea, e alquanto berlingare l'avessi udita, forse mi daresti leggiermente fede, tanto, senza le mie parole, pure per quelle di lei, te ne parrebbe avere compreso. E pienamente di divenire paffuta e naticuta le venne fatto. Non so io se ella, per li molti digiuni fatti per la salute mia, se l'ha smenovite dopo la mia morte: così te l'avess'ella in sul viso e io ti dovessi fare carta di ciò che tu vedessi, com'io nol credo. –

 

A questa parola dich'io che, con tutto il dolore e la compunzione ch'io sentia delle mie colpe dinanzi agli occhi postemi dalle vere parole dello spirito, io non pote' le risa tenere. Ma egli, senza aspetto mutare, seguitò:

 

– Né era la mia cara donna, anzi tua, anzi del diavolo, contenta d'aver carne assai solamente, ma le volea lucenti e chiare; come se una giovinetta di pregio fosse, alla quale, essendo per maritarsi, convenisse colla bellezza supplire la poca dota. La qual cosa acciò ch'avvenisse, appresso la cura del ben mangiare e del ben bere e del vestire, sommamente a distillare, a fare unzioni, a trovar sugne di diversi animali ed erbe e simili cose s'intendeva; e, senza che la casa mia era piena di fornelli e di lambecchi e di pentolini e d'ampolle e d'alberelli e di bossoli, io non avea in Firenze speziale alcuno vicino, né in contado alcuno ortolano, che infaccendato non fosse, quale a fare ariento solimato, a purgar verderame, e a far mille lavature, e quali ad andare cavando e cercando radici salvatiche ed erbe mai più non udite nomare, se non a lei; senza che insino a' fornaciai a cuocere guscia d'uova, gromma di vino, marzacotto, e altre mille cose nuove n'erano impacciati. Delle quali confezioni essa ugnendosi e dipignendosi, come se a vendere si dovesse andare, spesse volte avvenne che, non guardandomene io e basciandola, tutte le labbra m'invischiai; e meglio col naso quella biuta che con gli occhi sentendo, non che quello che nello stomaco era di cibo preso, ma appena gli spiriti ritenea nel petto. Oh, s'io ti dicessi di quante maniere ranni il suo auricome capo si lavava e di quante ceneri fatti, e alcuno più fresco e alcuno meno, tu ti maraviglieresti; e vie più, se io ti disegnassi quante e quali solennità si servavano nello andare alle stufe e come spesso: dalle quali io credea lei lavata dovere tornare, ed ella più unta ne venìa che non v'era ita. Erano sommo suo disiderio e recreazione grandissima certe feminette, delle quali per la nostra città sono assai, che vanno faccendo gli scorticatoi alle femine e pelando le ciglia e le fronti e col vetro sottile radendo le gote e del collo assottigliando la buccia e certi peluzzi levandone; né era mai che due o tre con lei non se ne fossero a stretto consiglio trovate, come che altri trattati spesse volte tenessero, sì come quelle che, oltre a quella loro arte, sotto titolo della quale baldanzose l'altrui case visitano e le donne, sono ottime maestre e sensali di fare che messer Mazza rientrar possa in Valleoscura, donde dopo molte lagrime era stato cacciato fuori.

 

Egli non si verrebbe a capo in otto di raccontare tutte le cose ch'essa a così fatto fine operava, tanta gloria di quella sua artificiata bellezza, anzi spiacevolezza, pigliava; a conservazione della quale troppa maggiore industria s'adoperava, per ciò che il sole, l'aere, il , la notte, il sereno e 'l nuvolo, se molto non venieno a suo modo, fieramente l'offendeano, la polvere, il vento, il fummo avea ella in odio a spada tratta. E quando i lavamenti erano finiti, se per sciagura le si ponea una mosca in sul viso, questo eragrande scandalezzo e sì grande turbazione che, a rispetto, fu a' Cristiani il perdere Acri un diletto. E dirottene una pazzia forse mai simile non udita. Egli avvenne, fra l'altre volte, che mosca in sul viso invetriato le si ponessi, che ella avendo una nuova maniera di liscio adoperata che una vi se ne pose, la quale essa, fieramente turbata, più volte s'ingegnò di ferirla con mano; ma quella presta si levava, come tu sai ch'elle fanno, e ritornava; per che, non potendo, tutta accesa d'ira, prese una granata e, per tutta la casa or qua or la discorrendo, per ucciderla l'andò seguitando; e porto ferma opinione che, se alla fine uccisa non avesse o quella o un'altra la quale avesse creduto essere quella, ella sarebbe di stizza e di veleno scoppiata. Che pensi ch'avesse fatto, se alle mani le fosse venuto uno degli scudi di quelli suoi antichi cavalieri e una di quelle spade dorate? Per certo ella si sarebbe messa con lei alla schermaglia. E che più ? Questo avveniva il , che si poteva con meno noia sostenere; ma, se per forte disavventura una zenzara si fosse per la casa sentita, che che ora si fosse stata di notte, convenia che 'l fante e la fante e tutta l'altra famiglia si levasse; e co' lumi in mano si mettessero alla inchiesta della malvagia e perfida zenzara, turbatrice del riposo e del buono e pacefico stato della lisciata donna; e, avanti che a dormir ritornassono, convenia che morta o presa la presentassono davanti a colei che lei diceva in suo dispetto andar sufolando e appostando di guastarle il suo bel viso amoroso.

 


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