Giovanni Boccaccio
Il Corbaccio

V

PrecedenteSuccessivo
Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

V

Che più ? Sopra tutte l'altre cose, a cui caluto non ne fosse, era da ridere l'averla veduta, quando s'acconciava la testa, con quanta arte, con quanta diligenza, con quanta cautela ciò si facesse: in quello per certo pendevano le leggi e' profeti. Essa primieramente negli anni più giovani (quantunque più vicini a quaranta che a trentasei fossono, posto che ella, forse non così buona abbachiera, li dicesse ventotto), fatti, lasciamo stare l'aprile e 'l maggio, ma il dicembre e il gennaio, di sei maniere d'erbette verdi o d'altrettante di fiori, donde ch'ella se li avesse, apparecchiare e di quelle certe sue ghirlanduzze composte, levata per tempissimo e fatta venire la fante, poi che molto s'era il viso e la gola e 'l collo con diverse lavature strebbiata e quelli vestimenti messisi che più all'animo l'erano, a sedere postasi in alcuna parte della nostra camera, primieramente si mettea davanti un grande specchio e talor due, acciò che bene in quelli potesse di sé ogni parte vedere e conoscere qual di loro men che vera la sua forma mostrasse; e quivi dall'una delle parti si faceva la fante stare e dall'altra avea forse sei ampolluzze e vetro sottile e orochico e così fatte bazzicature. E, poi che diligentemente s'avea fatta pettinare, ravvoltisi i capelli al capo, sopr'essi non so che viluppo di seta, il quale essa chiamava «trecce» si poneva; e, quelle con una reticella di seta sottilissima fermate, fattosi l'acconce ghirlande e i fiori porgere, quelle primieramente in capo postesi, andando per tutto fioretti compartendo, così il capo se ne dipignea, come talvolta d'occhi la coda del paone avea veduta dipinta; né niuno ne fermava che prima allo specchio non ne chiedesse consiglio.

 

Ma, poi che l'età venne troppo parendosi e i capelli, che bianchi cominciarono a divenire, quantunque molti tutto 'l se ne facesse cavare, richiedeano i veli, come l'erba e' fiori solea prendere, così di quelli il grembo e il petto di spilletti s'empieva e collo aiuto della fante si cominciava a velare; alla quale, credo, con mille rimbrotti ogni volta dicea: «Questo velo fu poco ingiallato; e questo altro troppo da questa parte; manda questo altro più giù; fa' stare più tirato quello, ché mi cuopre la fronte; lieva quello spilletto che m'hai sopra l'orecchie posto, e ponlo più in un poco; e fa' più stretta piega a quello che andar mi dee sotto 'l mento; togli quel vetro e levami quel peluzzo che m'è nella gota di sotto all'occhio manco». Delle quali cose e di molte altre, che essa le comandava, se una sola meno che a suo modo n'avesse fatta, cento volte, cacciandola, la bestemmiava, dicendo:

 

«Va' via; tu non se' da altro che da lavare scodelle; va': chiamami donna cotale». La quale venuta, tutta in ordine si rimetteva; e dopo tutto questo, le dita colla lingua bagnatesi, a guisa che fa la gatta or qua or si lisciava, or questo capello or quello nel suo luogo tornando; e di quinci forse cinquanta volte or dinanzi, or da lato nello specchio si riguardava e, quasi molto a se stessa piacesse, appena da quello si sapea spiccare; e nondimeno più volte si faceva alla sua buona donna riguardare; e con cautela la esaminava se bene stesse, se niuna cosa mancasse, non altrimenti che se la sua fama o la sua vita da quel dipendesse. E, poi che molte volte avea udito ogni cosa star bene, alle compagne, che l'aspettavano, andava davanti, anche di ciò con loro riprendendo consiglio. Ben so che alcuno dire potrebbe questa non essere nuova cosa, non che in lei, ma nell'altre donne; e certo io non la dico per nuova, ma per viziosa e spiacevole e cattiva, e per mostrare ch'ella non è separata da' costumi dell'altre, e perché più pronta fede sia da te prestata a quello che resultava di questi modi, quando tel dirò; che sarà tosto.

 

Chi della cagione di questo suo abbellirsi con tanta sollecitudine domandata l'avesse, prestamente, sì come colei che più ch'altra femina di malizia è piena, rispondea che per più piacermi il facea; aggiugnendo che, con tutto questo, non poteva ella tanto fare ch'ella mi piacesse sì ch'io lei non lasciassi per andare dietro alle fanti e alle zambracche e alle vili e cattive femine. Ma di ciò mentia ella ben per la gola: ché, né io andava dietro alle zambracche, e a lei era assai poca cura di dovermi piacere. Anzi, sì com'io molte volte m'accorsi, a qualunque giovane e a qualunque altro, che punto d'aspetto piacevole avesse, che dinanzi alla casa passasse o dov'ella fosse, non altrimenti il falcone, tratto di cappello, si rifà tutto e sopra sé torna guardandosi, che si faceva ella, sommamente disiderosa d'essere guatata; e così si turbava in se medesima, se alcuno trapassato fosse che guatata non l'avesse, come se una grave ingiuria avesse ricevuta. E, se alcuno per avventura, avendola riguardata, la sua bellezza commendata avesse e da lei fosse stato udito, questa eragran festa e sì grande allegrezza che niun'altra mai a questa ne fu simigliante; né l'arebbe quel cotale alcuna cosa addomandata, ch'essa non l'avesse, potendo ella, fatta più che volentieri e tosto; e così, per contrario, colui che biasimata l'avesse, l'arebbe volentieri colle proprie mani ucciso. Canzoni, suoni e mattinate e simili cose, più che altra volentieri ascoltava; e sommamente avea astio di qualunque fosse colei alla quale, o per amore della quale, fossero state cantate e fatte, sì come quella che di tutte arebbe voluto il titolo, parendole di quello e d'ogni altra cosa molto più che alcuna altra esser degna.

 

E, acciò che io ora di questa materia più non dica, dico che questi sono gli ornati e laudevoli costumi e il gran senno e la maravigliosa eloquenzia che di costei il tuo amico, male consapevole del fatto, ti ragionava; questa era la gran costanzia, la somma fortezza dell'animo di costei; questo era il grande studio e la sollecitudine continua la quale ella avea alle cose oneste, come aver debbono quelle donne le quali gentili sono, come ella vuole essere tenuta, e per la qual meritamente tra le valorose antiche, di loro parlando, dee esser ricordata. Della sua magnificenzia, nella quale ad Alessandro ti fu assomigliata, non dopo molte parole udirai alquanto. Essa, con questa sua vanità e con questa così esquisita leggiadria (se leggiadria chiamar si dee il vestirsi a guisa di giocolari e ornarsi come quelle che ad infiniti hanno per alcuno spazio a piacere, sé concedendo per ogni prezzo), e con l'essere degli occhi cortese e più parlante che alla gravità donnesca non si richiede, molti amanti s'avea acquistati; de' quali non avvenne come di chi corre il palio, il quale ha l'uno de' molti; anzi, de' molti, molti pervennono al termine disiato, sì come essa procacciava. Alla cui focosa lussuria, non che io solo bastassi, o uno amante o due, oltre a me, ma molti ad attutarne una sola favilluzza non erano sufficienti; della qual parlato non t'ho, né intendo distesamente parlare, per ciò che contraria medicina sarebbe alla infermità la quale io son venuto a curare, conoscendo io che tanto, quanto coloro che l'amistà delle femine disiderano più focose le sentono, più di speranza prendono e per consequente più di nutrimento aggiugnono al loro amore.

 

Sommariamente adunque, di questa parte toccandoti, ti dico che, come ch'io già ne sospicciassi, ora certissimo ne sono che tal cavaliere è per lo mondo, per lo passato più animoso che avventurato, del quale essa, innamoratasi, assai volte già seppe come pesava; e, senza al suo o al mio onore avendo riguardo niuno, così la sua dimestichezza usava come il mio marital debito; né solamente il se medesima concedergli le bastava, ma essa, come l'amico tuo ti disse ch'era magnifica, per magnifica dimostrarsi, non del suo, ma del mio, una volta e altra e poscia più, quando per uno cavallo e quando per una roba (e talvolta fu, in grandissima necessità di lui, di buona quantità di danari) il sovvenne, sì che, dove io tesoriera avere mi credea, donatrice, scialacquatrice e guastatrice avea. Né ancora bastandole il mio dovuto amore, né quello ch'essa a suo piacere scelto s'avea, ancora aggiunse a soddisfare i suoi focosi appetiti tal vicino ebb'io, al quale io più d'amore portava che egli a me d'onore. E, come che io e ciascuno di questi, otta per vicenda, acqua rifrigeratoria sopra le sue fiamme versassono, nondimeno con alcuno suo congiunto con più stretto parentado si ricongiunse; e di più altri, li quali io ora conosco, ella provare volle come arme portassono o sapessono nella chintana ferire. Parendomene avere detto assai, giudico che sia omai da tacere: in queste così fatte cose porgendo a ciascuno mano, donando a ruffiane, e spendendo in cose ghiotte e in lisci, usava la tua nuova donna la magnificenzia egregia dal tuo amico datati a divedere. Delle cui altre virtù splendide e singulari volendo, secondo il cominciato stile, avanti procedere, una via e due servigi farò: per ciò che, mentre quelle ti racconterò, ti mosterrò come intender si dee, e come ella intende, ciò che, nella lettera a te mandata da lei, scrive che le piace; forse da te non tanto bene inteso. L'ordine richiedea a dovere della sua cortesia dire: la quale ella dalla magnificenzia distingue, per ciò che la magnificenzia intende che s'usi nelle cose donandole o gittandole via; la cortesia intende di se medesima usarsi, quando liberamente di sì dice a chi d'amore la richiede: della qual cosa per certo ella è stata non cortese, ma cortesissima, pure che sia stato chi ardire abbia avuto di domandare; de' quali assai sono suti che, quantunque ella nello aspetto molto imperiosa sia paruta, non si sono però peritati; e bene n'è loro avvenuto: ben dico avendo rispetto al loro appetito, al quale, per merito della richesta, prestamente è seguito l'effetto. E perciò meritamente dice piacerle la cortesia: sì come a colei che, mentre da dovere essere richiesta è stata, mai disdir nol seppe, così, omai che in tempo viene che a lei converrà richiedere, niuno vorrebbe che 'l disdicesse. E veramente di te io mi maraviglio come ti sia stato disdetto quello che più a niuno fu già mai; né altro ne so vedere, se non ch'io estimo che Dio t'ami, quello negare faccendoti che tu, essendone stato pregato, dovevi come lo 'nferno fuggire. E perciò, se altra cortesia avessi, la sua lettera leggendo, intesa, abbi testé compreso di qual si parla. Savissima donna per certo è questa tua; e per ciò che ogni simile suo simile appetisce, dèi tu avere assai per costante le savie persone, come ella ti scrive, gradirle. Ma, come tu sai, diverse sono le cose per le quali gli uomini e ogn'altra persona generalmente sono «savi» chiamati. Alcuni sono chiamati «savi», per ciò che ottimamente la scrittura di Dio intendono e sanno altrui mostrare; altri, per ciò che intorno alle questioni civili ed ecclesiastiche, sì come molto in legge e in decretali ammaestrati, sanno ottimamente consigli donare; altri, per ciò che nel governo della repubblica sono pratichi e le cose nocive sanno schifare e seguire l'utili, quando il bisogno richiede; e alcuni sono savi tenuti, perciò che sanno bene guidare i lor fondachi le loro mercatanzie le loro arti i loro fatti di casa, e secondo i mutamenti de' tempi sanno temporeggiare. De' quali modi e d'altri assai, che laudevoli raccontar si potrebbono, non vorrei che in alcuno tu intendessi lei esser savia; per ciò ch'ella non cura di divina scrittura né di filosofia né di legge né di statuto o di reggimento pubblico o privato né di così fatte cose; per ciò che, se così intendessi, non intenderesti bene il senno di che ti scrive che si diletta. Egli c'è un'altra maniera di savia gente, la quale forse tu non udisti mai in scuola tra le sette filosofiche ricordare, la quale si chiama «la cianghellina». Sì come da Socrate coloro che la sua dottrina seguirono furono chiamati «socratici», e quelli che quella di Platone «platonici», ha questo nome preso la nuova setta da una gran valente donna, la quale tu molte volte puoi avere udita ricordare, che fu chiamata madonna Cianghella; cui sentenzia, dopo lunga e seriosa disputazione, fu nel concilio delle donne discrete e per conclusione posta che tutte quelle donne, le quali hanno ardire e cuore e sanno modo trovare d'essere tante volte e con tanti uomini quante il loro appetito concupiscibile richiedea, erano da essere chiamate «savie»; e tutte l'altre «decime o moccicose». Questo è adunque quel senno il quale le piace e aggrada; questo è quel senno nel quale ella con lunghe vigilie molti anni ha studiato ed ènne, oltre ad ogni Sibilla, savia e maestra divenuta: intanto che tra lei e alcune sue consorti s'è assai volte disputato chi più degnamente, poi che monna Cianghella più non vive, né monna Diana ch'a lei succedette, debbia la cattedra tenere nella loro scuola. Questo è quel senno nel quale ella vorrebbe ciascuna donna e uomo essere savio o appararlo; e perciò sgànnati, se male avessi inteso; e ch'ella sia savissima credi sicuramente all'amico tuo.

 

Parmi essere certo che, come nelle due già dette cose perversamente intendevi, così similemente della terza sii caduto in errore: di ch'ella sempre s'è dilettata oltremodo, cioè di vedere gli uomini pieni di prodezza e di gagliardia; e credo che tu credevi ch'ella volesse o disiderasse o le piacesse di vedere gli uomini pro' e gagliardi, colle lance ferrate giostrando, o nelle sanguinose battaglie tra mille mortali pericoli o combattendo le città e le castella o colle spade in mano insieme uccidersi. Non è così: non è costei così crudele né così perfida, come mostra che tu creda, ch'ella voglia bene agli uomini perché s'uccidano. E che farebb'ella del sangue che, morendo l'uomo, vermiglio si versa? La sua sete è del digesto ch' e' vivi e sani corpi possono, senza riaverlo, prestare. Quella prodezza adunque, che le piace, niuno la sa meglio di me. Ella non s'usa nelle piazze né ne' campi né su per le mura né con corazza indosso né con bacinetto in testa né con alcuno offendevole ferro: ella s'usa nelle camere, ne' nascosi luoghi, ne' letti e negli altri simili luoghi acconci a ciò, dove, senza corso di cavallo o suon di tromba di rame, alle giostre si va a pian passo; e colui tiene ella che sia o vuoi Lancelotto, o vuogli Tristano, o Orlando o Ulivieri, di prodezza, la cui lancia per sei o per otto aringhi o per dieci in una notte non si piega in guisa che poi non si dirizzi. Questi così fatti, se eglino avessono già il viso fatto come il saracino della piazza, ama ella sopra ogni altra cosa; e questi cotali sommamente commenda e oltremodo le piacciono. Per che, se gli anni non t'hanno tolta l'usata virtù, non ti dovevi per prodezza disperare di piacerle, come facesti credendo tu ch'ella volesse forse che tu fossi l'Amoroldo d'Irlanda. Della sua gentilezza già in parte è parlato, la quale ella dice che antica le piace: in che io t'accerto che, come che nelle precedenti cose assai bene e vero, secondo le dimostrazioni fatte, ella abbia il suo piacere dimostrato, in quello ella non sa che si dire, sì come colei che niuno sentimento ha, di gentilezza, che cosa sia né donde proceda né chi dir si debba gentile né chi no; se non ch'ella ha in ciò voluto mostrare che la sia gentile ella; e però, come gentile, disidera e ama le cose gentili; ed è tanta la sua vanagloria e la pompa che ella fa di questa sua gentilezza, che in verità a quelli di Baviera o a' reali di Francia o a qualunque altri, se altri più se ne sanno antichi e le cui opere sieno state gloriose, sarebbe soperchio. Ma ben doveva, s'ella vuole, mostrando che l'antica gentilezza le piaccia, sé antica gentildonna mostrare (de' quali l'uno senza parole ella potrà oggimai tosto col viso mostrare, cioè che antica sia; o donna o gentil non cred'io ch'ella potesse mostrare mai), scriverti che le piacessero i grandi favellatori, con ciò sia cosa ch'ella di favellare ogn'altra persona trapassi; e dicoti che 'l suo cinguettare è tanto che, solo, troppo più aiuterebbe alla luna sostenere le sue fatiche che non facevano tutti insieme i bacini degli antichi; e lasciamo stare l'alte e grandi e lunghe millanterie ch'ella fa, quando berlinga coll'altre femmine, dicendo «Quelli di casa mia e gli antichi miei e' miei consorti», che le pare troppo bella cosa a dire; e tutta gongola, quando si vede bene ascoltare e odesi dire «Monna cotale de' cotali» e vedesi cerchio fare. Ma ella in brevissimo spazio di tempo ti dirà ciò che si fa in Francia; che ordina il re d'Inghilterra; se i Ciciliani avranno buona ricolta o no; se i Genovesi o' Viniziani recheranno spezieria di Levante e quanta; se la reina Giovanna giacque la notte passata col re; e quello che i Fiorentini dispongano dello stato della città (benché questo le potrebbe essere assai agevole a sapere, se con alcuno de' reggenti si stropicciasse, li quali, non altrimenti che 'l paniere o il vaglio l'acqua, tengono i segreti i petti loro); e tante altre cose, oltre a queste, dirà che miracolosa cosa è a pensare donde tanta lena le venga. E per certo, se quello è vero che questi fisici dicono, che quello membro, il quale l'animale bruto e l'uccello e 'l pesce più esercita, sia più piacevole al gusto e più sano allo stomaco, niuno boccone deve mai essere più saporitomigliore che la lingua di lei, la quale di ciarlare mai non ristà, mai non molla, mai non fina: dàlle dàlle dàlle, dalla mattina insino alla sera; e la notte ancora, io dico, dormendo, non sa ristare. E chi non la conoscesse, udendola della sua onestà, della sua divozione, della sua santità e di quelli di casa sua favellare, crederebbe per certo lei essere una santa, e di legnaggio reale; e così in contrario, a chi la conoscesse, l'udirla la seconda volta, e talora la prima, è un fargli venir voglia di recer l'anima. E 'l non consentirle le favole e le bugie sue, delle quali ella è più ch'altra femina piena, niuna cosa sarebbe se non un volersi con lei azzuffare; la qual cosa ella di leggieri farebbe, sì come colei alla qual pare di gagliardezza avanzare Galeotto di lontane isole o Febus. E già assai volte, millantandosi, ha detto che se uomo stata fosse, l'arebbe dato il cuore d'avanzare di fortezza, non che Marco Bello, ma il Bel Gherardino che combattea con l'orso.

 

Perché mi vo io in più parole stendendo? Se io volessi ogni cosa contare, oppure le più notabili de' suoi fatti, e' non ci basterebbe il tempo. E, se tu così hai lo 'ngegno acuto come io credo, assai, pur per le udite, puoi comprendere quanti e quali sieno i suoi costumi; e in che le sue gran virtù e la magnificenzia e 'l senno e l'altre cose consistano; e che cose sieno quelle virtuose che le dilettino. Per che, senza più dire di quelle, tornando a ragionare di quello che tu non puoi aver saputo e di che per avventura teco stesso fai una grande stima, cioè dell'occulte parti coperte da' vestimenti, le quali per tua buona ventura mai non ti si palesarono (così non si fossero elle mai a me palesate!), voglio che l'ascoltarmi non ti rincresca. Ma io, prima che più avanti dica, ti voglio trarre d'un pensiero, il quale forse avuto hai o avere potresti nell'avvenire, solvendoti una obiezione che fare potresti. Tu forse hai teco medesimo detto o potresti dire: «Che cose sono quelle di che costui parla? chente è il modo, chenti sono i vocaboli? o convengons'elle a niuno, non che a uomo onesto e il quale ha li passi diritti verso l'etterna gloria?». Alla quale opposizione, non volendo andare sofisticando, non è che una risposta; la qual son certo che leggiermente in te medesimo consentirai che sia non solamente buona, ma ottima. Dèi dunque sapere né ogni infermità né ogni infermo potere essere sempre dal discreto medico con odoriferi unguenti medicato, perciò che assai sono, e di quelli e di quelle, che nol patiscono e che richeggiono cose fetide, se a salute si vorranno conducere; e se alcuna n'è che con vocaboli con argomenti con dimostrazioni puzzolenti purgare e guarire si voglia, il mal concetto amore dell'uomo è una di quelle, per ciò che più una fetida parola nello intelletto sdegnoso adopera più in una piccola ora, che mille piacevoli e oneste persuasioni, per gli orecchi versate nel sordo cuore, non faranno in uno gran tempo. E, se niuno mai marcio fu di questa nocenzia putrida e villana, tu se' senza niuno dubbio desso. Per che io, il quale, come Altri ha voluto, qui venuto sono per la tua salute, non avendo il tempo molto lungo, a più pronti rimedi sono ricorso e ricorro; e perciò ad addolcire il tuo disordinato appetito, alcuna cosa, come udito hai, parlar mi conviene; e ancor più largo. Perciò che queste parole così dette sono le tenaglie con le quali si convengono rompere e tagliare le dure catene che qui t'hanno tirato; e queste parole così dette sono i ronconi e le securi colle quali si tagliano i velenosi sterpi, gli spinosi pruni e gli sconvolti bronchi che, a non lasciarti la via da uscirci vedere, davanti ti si sono assiepati; queste parole così dette sono i martelli, i picconi, i bolcioni i quali gli alti monti, le dure rocche, e gli strabocchevoli balzi convien che rompano e la via ti facciano, per la quale da tanto male, da tanta ingiuria, da tanto pericolo e di luogo così mortale, come è questa valle, senza impedimento ti possi partire. Sostieni adunque pazientemente d'udirle; né paia alla tua onestà grave, né estimare quello esser colpa o difetto o disonestà del medico, di che la tua pestilenziosa infermità è cagione. Imagina queste mie parole, così sucide e così stomacose a udire, essere quello beveraggio amaro il quale, per l'avere tu troppo assentito alle cose dilettevoli e piacevoli al tuo gusto, il discreto medico già nelle tue corporali infermità t'ha donato; e pensa, se, per sanare il corruttibile corpo, quelle amare cose non solamente si sostengono, ma vi si fa di volontà incontro lo 'nfermo, quanta e quale amaritudine si dee per guarir l'anima, che è cosa etterna, sostenere.

 

Io mi credo assai bene doverti avere soddisfatto a ciò che ti potesse aver messo in dubbio, o per lo futuro potrebbe, del modo e de' vocaboli del mio parlare. E perciò, tornando al proposito e volendo delle cose di questa donna, nuova posseditrice divenuta dell'anima tua, partitamente alquanto narrare (di quelle, dico, che a te non poterono essere note per veduta né ancora per imaginazione, per ciò che fuggito l'hai), primieramente mi piace da quella bellezza incominciare, la qual, tanto le sue arti valsono che te non solamente, ma molti altri, che meno di te erano presi, abbagliò e di sé mise in falsa oppinione: cioè della freschezza della carne del viso suo. La quale, essendo artificiata e simile alle mattutine rose parendo, con teco molti altri naturale estimarono: la quale se a te e agli altri stolti, come a me, possibile fosse stato d'avere, quando la mattina del letto usciva, veduta, prima che posto s'avesse il fattibello, leggiermente il vostro errore avreste riconosciuto. Era costei, e oggi più che mai credo che sia, quando la mattina usciva dal letto, col viso verde, giallo, maltinto d'un colore di fummo di pantano, e broccuta quali sono gli uccelli che mudano, grinza e crostuta e tutta cascante; in tanto contraria a quello che parea poi che avuto avea spazio di leccarsi, che appena che niuno il potesse credere, che veduta non l'avesse, come vid'io già mille volte. E chi non sa che le mura affumicate, non che i visi delle femine, ponendovi su la biacca, diventano bianche e, oltre a ciò, colorite secondo che al dipintore di quelle piacerà di porre sopra il bianco? E chi non sa che, per lo rimenare, la pasta, che è cosa insensibile, non che le carni vive, gonfia; e, dove mucida parea, diviene rilevata? Ella si stropicciava tanto e tanto si dipigneva e si faceva la buccia, per la quiete della notte in giù caduta, rilevarsi che a me, che veduta l'avea in prima, una strana maraviglia venire facea. E se tu, come io le più delle mattine la vedea, veduta l'avessi colla cappellina fondata in capo e col veluzzo dintorno alla gola, così pantanosa nel viso come ora dissi, e col mantello foderato covare il fuoco, in su le calcagna sedendosi, colle occhiaia livide, e tossire e sputare farfalloni, io non temo punto che tutte le sue virtù, dal tuo amico udite, avessero tanto potuto farti di lei innamorare che, quello vedendo cento mila cotanti disamorare non t'avesse fatto. Quale ella dovesse essere quando i Pisani col vermiglio all'asta cavalcano, colla testa lenzata e stretta, la doglia al capo apponendo, dove alla parte opposita era il male, pènsalti tu. Sono io molto certo che, se veduta così fatta l'avessi, o la vedessi, che, dove di' che, vedendola, al cuore dal suo viso le fiamme ti corsero, come fanno alle cose unte, che ti sarebbe paruto che ti si fosse fatto incontro una soma di feccia o un monte di letame; per lo quale saresti, come per le spiacevoli cose si fa, fuggito; e ancor fuggiresti e fuggirai, la mia verità imaginando.

 


PrecedenteSuccessivo
Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (VA1) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2008. Content in this page is licensed under a Creative Commons License