Giovanni Boccaccio
Il Corbaccio

VI

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VI

Ma da procedere più avanti ci resta. Tu la vedesti grande e compressa; e parmi essere certo, come io sono della beatitudine che per me s'aspetta, che, riguardando il petto suo, tu estimassi quello dovere esser tale e così tirato qual vedi il viso suo, senza vedere i bargiglioni cascanti che le bianche bende nascondono. Ma di gran lunga è di lungi la tua estimazione dalla verità; e, come che molti potessero al mio dire vera testimonianza rendere, sì come esperti, a me, che forse più lungamente, non potendo altro fare, esperienza n'ebbi, voglio che tu senza altro testimonio il creda. In quello gonfiato, che tu sopra la cintura vedi, abbi per certo ch'egli non v'è stoppa né altro ripieno che la carne sola di due bozzacchioni, che già forse acerbi pomi furono, a toccare dilettevoli e a veder similmente, come che io mi creda che così sconvenevoli li recasse del corpo della madre; ma lasciamo andar questo. Esse, qual che si sia la cagione, o troppo l'essere tirate d'altrui, o il soperchio peso di quelle che distese l'abbia, tanto oltre misura dal loro natural sito spiccate e dilungate sono, se cascare le lasciasse, che forse, anzi sanza forse, infino al bellico l'aggiugnerebbono, non altrimenti vote o vizze che sia una vescica sgonfiata; e certo, se di quelle, come de' cappucci s'usa a Parigi, a Firenze s'usasse, ella per leggiadria sopra le spalle se le potrebbe gittare alla francesca. E che più? Cotanto o meno alle gote, dalle bianche bende tirate e distese, risponde la ventraia, la quale, di larghi e spessi solchi vergata come sono le toreccie, pare un sacco vòto, non d'altra guisa pendente che al bue faccia quella pelle vòta che gli pende dal mento al petto; e per avventura non meno che gli altri panni quella le conviene in alto levare, quando, secondo l'opportunità naturale vuol scaricare la vescica o, secondo la dilettevole, infornare il malaguida. Nuove cose, e assai dalle passate strane, richiede l'ordine del mio ragionamento; le quali quanto meno schiferai, anzi con quanta più diligenza nello intelletto raccoglierai, tanta più di sanità recheranno alla tua infermamente. Come che nel vero io non sappia assai bene da qual parte io mi debbia cominciare a ragionare del golfo di Setalia, nella valle d'Acheronte riposto, sotto gli oscuri boschi di quella, spesse volte rugginosi e d'una gromma spiacevole spumosi, e d'animali di nuova qualità ripieni; ma pure il dirò. La bocca, per la quale nel porto s'entra, è tanta e tale che, quantunque il mio legnetto con assai grande albero navigasse, non fu già mai, qualunque ora l'acque furono minori, che io non avessi, senza sconciarmi di nulla, a un compagno, che con non minore albero di me navigato fosse, far luogo. Deh, che dich'io? L'armata del re Roberto, qualora egli la fece maggiore, tutta insieme concatenata, senza calar vela o tirare in alto temone, a grandissimo agio vi potrebbe essere entrata. Ed è mirabil cosa che mai legno non v'entrò, che non vi perisse e che, vinto e stracco, fuori non ne fosse gittato, sì come in Cicilia la Silla e la Cariddi si dice che fanno: che l'una tranghiottisce le navi e l'altra le gitta fuori. Egli è per certo quel golfo una voragine infernale; la quale allora si riempirebbe, o sazierebbe, che il mare d'acqua o il fuoco di legne. Io mi tacerò de' fiumi sanguinei e crocei che di quella a vicenda discendono, di bianca muffa faldellati, talvolta non meno al naso che agli occhi spiacevoli, per ciò che ad altro mi tira il preso stile. Che ti dirò adunque più avanti del borgo di Malpertugio, posto tra due rilevati monti, del quale alcuna volta, quando con tuoni grandissimi e quando senza, non altrimenti che di Mongibello, spira un fummo sulfureofetido e sì spiacevole che tutta la contrada attorno appuzza? Io non so che dirmitene, se non che, quando io vicino v'abitai, che vi stetti più che voluto non arei, assai volte, da così fatto fiato offeso, vi credetti altra morte fare che di cristiano. Né altrimenti ti posso dire del lezzo caprino il quale tutta la corporea massa, quando da caldo e quando da fatica incitata geme, spira; questo è tanto e tale che, coll'altre cose già dette raccolte, sì fanno: il covacciolo sentire del leone, che nelle Chiane, di mezza state, con molta meno noia dimorerebbe ogni schifo che vicino a quello. Per che, se tu e gli altri, che le gatte in sacco andate comperando, spesse volte rimanete ingannati, niuno maravigliar se ne dee. E per questa cagione sola, avendo tu il viso, sì come gli altri, più diritto alla apparenza che alla esistenza, forse meno se' da riprendere, quantunque a te più si convenga che a molti altri, più la verità che l'oppinion delle cose seguire: la quale poi che veduta avessi, e dall'errore non ti rimovessi, oltre a ogn'altra bestia, che umana forma porti, saresti da ripigliare. E io, secondo che io credo, ancora che brieve abbia parlato, avendo rispetto al molto che si può dire, sì aperta t'ho la verità, che forse t'era nascosa, che, se dal tuo errore non ti rimovessi, oltre ad ogni altro bestiale dovresti bestia essere tenuto.

 

Io lascio cose assai a dire, per volere pervenire a quel dolore al quale ieri t'avea condotto la tua follia; e acciò che io ti possa ben dimostrare come tu eri folle, aggiugnendo le cose vecchie colle nuove, alquanto di lontano mi piace di cominciare. Mostrato t'ho in assai cose quanta e quale sia stata la eccellenza dell'animo di costei e i suoi costumi; e assai cose de' molti suoi anni ancora dette t'arei, s'io non t'avessi per sì smemorato che nel suo viso li avessi compresi; né t'ho nascose quelle parti, che la tua concupiscenzia non meno tirava ad amarla che facesse l'animo la falsa oppinione presa delle sue virtù. Ora della sua buona perseveranza e nella morte e dopo la morte mia, mi piace di ragionarti, acciò che ad un'ora io faccia pro a me e a te: in quanto, io di ciò con alcuno che la conosca ragionando, si sfogherà alquanto la sdegnosa fiamma nella mia mente accesa contra di lei per li modi suoi; e a te, per ciò che, quanto più udirai di lei delle cose meritamente da biasimare, tanto più, lei a vile avendo, t'appresserai alla tua guarigione. Questa perversa femina ogni giorno più multiplicando nel fare delle cose male a lei convenienti d'oprare e a me di sostenere, né in ciò le mie riprensioni alcuna cosa vagliendo, non sappiendo al comportarle più pigliare alcuno utile consiglio, in sì fatto dolore e afflizione nascosa mi misero nel cuore, che il sangue intorno a quello, più che il convenevole da focoso cruccio riscaldato, impostemi; e, come nascoso era il dolore, così essendo nascosa la 'nfermità, non prima si parve che il corrotto sangue, occupato subitamente il cuore, me quasi del mondo in uno stante rapì. Né prima fu l'anima mia dal mortale corpo e dalle terrene tenebre sviluppata e sciolta e ridotta nell'aere puro che io, con più perspicace occhio ch'io non solea, vidi e conobbi qual fosse l'animo di questa iniqua e malvagia femina; la qual sanza dubbio simile allegrezza a quella, che della mia morte prese, mai non sentì, quasi d'una sua lunga battaglia le paresse avere acquistato gloriosa vittoria, poscia che io levato l'era stato dinanzi; la qual cosa essa assai poco appresso, sì come tu udirai, chiaramente dimostrò a chi riguardar vi volle. Ma tuttavia, sì come colei che ha di malizia abbondanzia, prima avendo delle mie cose occultamente assai trasfugate, e di quelli danari, che io alla sua guardia follemente avea commessi, e che a' miei figliuoli rimanere doveano (non avendo io davanti assai pienamente li miei fatti e l'ultima mia intenzione ordinata, né avendo spazio di bene ordinarla, per lo sùbito sopravenuto caso), quella parte presane che le piacque, con altissimo romore fuori mandò le 'nfinte lagrime; il che meglio che altra femmina ella sa fare; e, in molto pianto multiplicando, colla lingua cominciò a maladire lo sventurato caso della mia morte e sé a chiamare misera, abbandonata e sconsolata e dolente; dove, col cuore, maladiceva la vita che tanto m'era durata e sé oltre ad ogn'altra reputava avventurata. E veramente egli non sarebbe statouomodonna alcuna, che veduta l'avesse, che non avesse creduto lei veramente nell'animo avere quel che le sue bugiarde parole sonavano. Ma a me dee bastare assai che Colui quelle conoscesse, insieme cogli altri fatti di lei, che a ciascuno, sì come giusto giudice, secondo i meriti rende guiderdoni.

 

Mandati dunque ad esecuzione tutti gli ufici funerali, poi che 'l mio corpo, terra divenuto, fu alla terra renduto, la valente donna, disiderosa di più scapestratamente la sua vecchiezza menare che non l'era paruto potere la giovanezza, sentendosi calda di quello che suo essere non dovea, per ciò che né di sua dota né di patrimoniale eredità sostenersi non arebbe potuto a quello che di fare s'apparecchiava, né nella mia casa rimaner volle né in quella de' suoi nobili parenti e consorti tornare. Ma con parole piene di compassione dissevolere in alcuna picciola casetta, e vicina ad alcuna chiesa e di sante persone, riducersi, acciò che quivi, vedova e sola, in orazione e in usare la chiesa il rimanente della sua età consumasse. E fu tanta la forza di questo suo infinto parlare e sì maestrevolmente il seppe dire, che assai furono di quelle personesemplici che così ebbero per fermo che addivenire dovesse come dicea, come hanno che morir debbano. Appropinquossi adunque quanto più poté alla chiesa de' frati, nella quale tu prima la conoscesti; non già per dire orazioni, delle quali niuna credo che sappi, né di sapere curassi già mai, ma per potere meglio, senza avere troppi occhi addosso, e massimamente di persone alle quali del suo onore calesse, le sue libidinose volontà compiere; e acciò che, dove ogn'altro uomo le venisse meno, i frati, che santissimi e misericordiosi uomini sono, e consolatori delle vedove, non le venissero meno. Quivi, secondo che tu puoi avere udito, con suo mantello nero in capo e, secondo ch'ella vuole che si creda, per onestà molto davanti agli occhi tirato, va faccendo baco baco a chi la scontra; ma pure, se bene v'hai posto mente, ora quello apre, e ora richiude, non sappiendosi ancora delle usate vanità rimanere; e, quasi ad ogni parola in giù si tira le bende dal mento o caccia la mano fuori del mantello, parendogliele bellissima avere e massimamente sopra 'l nero. Uscita adunque di casa, così coperta se n'entra nella chiesa; ma non vorrei che tu credessi che ella per udire divino uficio o per adorare v'entrasse, ma per tirare l'aiuolo. Per ciò che, sappiend'ella, già è lungo tempo, che quivi d'ogni parte della nostra terra concorrono giovani e prodi e gagliardi e savi come le piacciono, di quella ha fatto uno escato, come per pigliare i colombi fanno gli uccellatori; e, per ciò che ciascuno non vede la serpe che sta sotto l'erba nascosa, spesso vi piglia de' grossi. Ma, sì come colei che di variar cibi spesso si diletta, non dopo molto, sazia, a prendere nuova cacciagion si ritorna; e, per averne ella due o tre tuttavia presti, non si riman'ella però d'uccellare; e, se io in questo mento o dico il vero, tu 'l sai, che parendoti bene mille occhi avere, senza sapertene guardare, nelle panie incappasti. Giunta adunque nella chiesa, e non sanza cautela avendo riguardato per tutto, e prestamente avendo raccolto con gli occhi chiunque v'è, incomincia, senza ristare mai, a faticare una dolente filza di paternostri, or dell'una mano nell'altra, e dell'altra nell'una trasmutandoli, senza mai dirne niuno, sì come colei la quale ha faccenda soperchia pur di far motto a questa e a quell'altra, e di sufolare ora ad una e ora ad un'altra nell'orecchie, e così d'ascoltarne ora una e ora un'altra, come che questo molto grave le paia, cioè d'ascoltarne niuna, sì bene le pare sapere dire a lei; e in questo, senza altro far mai, tutto quel tempo, che nella chiesa dimora, consuma. Forse direbbe alcuno: «Quello che nella chiesa non si fa, ella il supplisce nella sua casetta». La qual cosa non è punto vera; per ciò che chi si potesse di ciò essere ingannato, altramenti credendo che 'l fatto sia, io non ne posso essere ingannato, sì come colui che, s'ella alcuno bene facesse, o alcuna orazione o paternostri dicesse, il sentirei, per ciò che, non altrimenti che la fresca acqua sopra i caldi corpi è soave, così a quelli la mia arsura sentirei rinfrescare.

 

Ma che dich'io? Forse sono lo 'ngannato pure io: essa ne dice forse ad altrui nome. Già so io bene che non è ancora lungo tempo passato che del vostro mondo si partì uno, che con tanta afflizion la trafisse, ch'ella stette de' presso a otto ch'ella non volle bere uovoassaggiar pappardelle. Ma io così fidatamente ne favellava, per ciò che saper mi parea, e so, che le sue orazioni e i suoi paternostri sono i romanzi franceschi e le canzoni latine, ne' quali ella legge di Lancellotto e di Ginevra e di Tristano e d'Isotta; e le loro prodezze e i loro amori e le giostre e i torniamenti e le semblee. E tutta si stritola quando legge Lancelotto o Tristano o alcuno altro colle loro donne nelle camere, segretamente e soli, ragunarsi, sì come colei alla quale pare vedere ciò che fanno e che volentieri, come di loro imagina, così farebbe; avvegna che ella faccia sì che di ciò corta voglia sostiene. Legge la canzone dello indovinello e quella di Florio e di Biancifiore e simili altre cose assai. E, se ella forse a così fatte lezioni non intende, a guisa d'una fanciulletta lasciva, con certi animaletti, che in casa tiene, si trastulla infino all'ora che venga il suo più desiderato trastullo e che con lei si congiunga. E, acciò che tu alcuna cosa più che non sai sappia della sua vita presente, t'affermo io che, dopo la morte mia, oltre agli altri suoi divoti, ha ella per amante preso il «secondo Ansalone» di cui poco avanti alcuna cosa ti dissi, assai malconveniente a' suoi piaceri; il quale, come che per più legittime cagioni si dovesse da così fatta impresa ritrarre, mal conoscente del bene che Dio gli ha fatto, pur vi s'è messo. Ma non sarà senza vendetta l'offesa: per ciò che, se nel mondo, nel quale io dimoro, non si mente, che nol credo né non mi pare, egli ha della moglie un tal figliuolo, e per suo il nutrica e allieva, che gli appartiene meno che a Giuseppo non fece Cristo; il quale, cresciuto, ogni mia ingiuria, se ingiuria dir la debbo, vendicherà contra di lui; né è però esente, come egli stesso si crede, dal volgare proverbio il quale voi usate, dicendo «Quale asino in parete, cotale riceve»: se egli gli altrui beni lavora, egli è ben d'altra parte chi lavora i suoi. A così buona vita, adunque, e così santa s'è ritornata vicina de' frati colei che non mia donna, ma mio tormento fu, mentre vissi. Colei così onesta, così laudevole quale udisti, fu, prima che morte mi separasse da lei; e nelle virtù e ne' costumi si dilettò ed esercitò ch'io ti dissi; senza ch'ella è tale qual io assai brievemente te la disegnai. Per che vedere puoi di cui il tuo poco senno, il tuo poco conoscimento, la tua poca discrezione abbagliato t'avea e per cui messa l'anima tua, la tua libertà, il tuo cuore nelle catene d'amore e in afflizione incomportabile, e quivi ultimamente in questa valle diserta condotto; di che io mai saziare non mi potrei di riprenderti.

 

Ma da venire è all'ultima parte della nostra promessa, acciò che, più della tua impresa attristandoti, meriti più presto il perdono e la tua salute. Tu, misero, te schernito reputi da costei; e negare che tu schernito non fossi né io il farei, né tu, perch'io il facessi, il crederesti; ma non era da così gravemente prenderlo, come facesti, se così chi il faceva conosciuto avessi, come ora conoscer dèi. E, acciò che tu vegga lei in questa cosa non avere altrimenti operato che fare si soglia nell'altre e che tu del tutto fuori della tua mente la cacci, e' mi piace di dirti come e quello che io della tua letteretta senti'. Egli è il vero che di qua spesso gente ne vien di , la quale in parte quello che ci si fa ne racconta; ma nondimeno per alcuni accidenti n'è conceduto da Dio il venire di qua alcuna volta; e massimamente o per rammentare noi medesimi a coloro a' quali dee di noi calere, o per simile caso come è questo per lo quale io sono a te venuto. E avvenne che io quella notte ci venni, la qual seguette al che tu la prima lettera scrivesti a questa tua donna; e avendo visitati più luoghi, tirato da una cotale caritatevole affezione, la quale non solamente gli amici, ma ancora i nemici ci fa amare, colà entrai ove colei abita che ti prese; e, ogni parte della casa cercando e per tutto riguardando, avvenne che io della lettera, della quale ti rammarichi, sentii novellare. Egli era già una pezza della notte passata, quando, entrato in quella camera nella quale ella dorme, e quella, come l'altra casa, riguardata tutta, essendo già per partirmi, vidi in essa una lampana accesa davanti alla figura di nostra Donna, poco da colei, che la vi tiene, faticata; e, verso il letto mirando dov'ella giace, non sola, come sperava, la vidi, ma in grandissima festa con quello amante di cui poco avanti dissi alcuna cosa. Per che, ancora arrestato alquanto, volli vedere che volesse la loro festa significare: né guari stetti, che alla richiesta di colui, con cui era, levatasi e acceso un torchietto e quella lettera, che tu mandata avevi, tratta d'un forzierino, col lume in mano e con la lettera, a letto si ritornò. E quivi, il lume l'uno tenendo e l'altro la lettera leggendo e a parte a parte guardandola, ti sentii nominare, e con maravigliose risa schernire; e te or «gocciolone», e or «mellone», e ora «ser Mestola» e talora «cenato» chiamando, sé quasi ad ogni parola abbracciavano e baciavano e, parole tra' baci mescolando, si dimandavano insieme se tu, quando quelle cose scrivevi, eri desto o se sognavi. E talvolta dicevano: «Parti che costui abbi lungo l'arco? Vedesti mai così nuovo granchio? Per certo questi l'ha cavalca. Egli è di vero uscito del sentimento, e vuole esser tenuto savio. Domine, dàgli il malanno! Torni a sarchiare le cipolle e lasci stare le gentildonne. Che dirai? Arestil mai creduto? Deh, quante bastonate gli si vorrebber fare dare; anzi gli si vorrebbe dare d'un ventre pecorino per le gote tanto quanto il ventre o le gote bastassero». Oh, cattivello a te! Come t'erano quivi colle parole graffiati gli usatti e come v'eri per meno che l'acqua versata dopo le tre! Le tue Muse, tanto da te amate e commendate, erano quivi chiamate pazzie e ogni tua cosa matta bestialità era tenuta. E, oltre a questo, v'era assai peggio: che per te Aristotile, Tullio, Virgilio e Tito Livio e molti altri uomini illustri, per quel ch'io creda, tuoi amici e domestici, erano, come fango, da loro scalpitati e scherniti e annullati e, peggio che montoni maremmani, sprezzati e avviliti; e, in contrario, se medesimi esaltando con parole da fare per istomacaggine le pietre saltare del muro e fuggirsi, soliessere dicevano l'onore e la gloria di questo mondo; di che io assai chiaramente m'avvidi che 'l cibo e 'l vino, disordinatamente presi da loro, e il disiderio di compiacere l'uno all'altro, schernendoti, di se medesimi, ne' quali forse non furono già mai, li avea tratti. Con queste parole e con simili e con molte altre schernevoli lunga pezza della notte passarono; e per aver più cagione di farti dire e scrivere, ed essi di poter di te ridere e schernirti, quivi tra loro ordinarono la risposta che ricevesti; alla quale tu rispondendo, desti loro materia di ridere e di dire altrettanto, o peggio, della seconda, quanto della prima avessono detto. E, se non fosse che 'l drudo novello temeo non il troppo scrivere si potesse convertire in altro, forse della vanità di lei e della leggerezza sospicando, non dubitar punto che tu non avessi la seconda lettera avuta e poi la terza; e forse saresti aggiunto alla quarta e alla quinta. Così adunque desti da ridere alla tua savia donna e valorosa e al suo dissensato amante; e, dove amore e grazia acquistare ti credevi, beffe e strazio di te acquistavi.

 

La qual cosa veggendo e udendo io, non già per amore di te, che ancora assai ben non ti conosceva, ma perché cosa così abominevole sostenere non potea, assai male contento, non per me, ma per lei, mi partii pieno di sdegno e di gravosa noia. Questo, secondo che le tue parole suonano, non sapesti tu da singulare persona che ciò ti narrasse, ma da congetture prese di parole, da forse non troppo savia e nociva persona udite; eppure, di quel poco che comprendesti, in disperazione ne volevi venire. Or che avresti detto, quando la mente tua era ancora del tutto inferma, se così ordinatamente avessi la cosa udita? Sono certo, senza più pensarvi, ti saresti per la gola impiccato; ma vorrebbe il capestro essere stato forte sì che ben sostenuto t'avesse, acciò che, rottosi, tu non fossi caduto e scampato, sì come colui che quello, e peggio, molto bene meritato avevi. Ma, se cotale avessi la mente avuta e lo 'ntelletto sano come dovevi, avendo riguardo a quello ch'io detto t'ho, non miga a quello che tu per li tuoi studi non potevi sapere, ma a quello che per quelli ti sarebbe stato mostrato avendo voluto riguardare, riso te ne avresti, veggendo lei dalla general natura dell'altre femine non deviare; il che forse testé teco medesimo fai; e fai saviamente, se 'l fai.

 

E quello che di questa parte ho detto, quello medesimo dico della seconda: che, se tu teco medesimo riguardare avessi voluto quanta sia la vanità delle femine di quello ti saresti ricordato che tu molte volte hai già detto, cioè che gloriandosi elle sommamente d'essere tenute belle, e per essere facciano ogni cosa, e tanto più loro essere paia quanto più si veggiono riguardare, più fede al numero de' vagheggiatori dando che al loro medesimo specchio. Compreso avresti a lei non essere discaro, ma carissimo il tuo riguardare; e, per ciò che esse di niuna cosa, che a loro pompa appartenga, contente sono se nascosa dimora, volonterosa che all'altre femine apparisse, te a dito mostrava, per dare a vedere a quelle, alle quali ti dimostrava, sé ancora essere da tenere bella e d'avere cara, poi che ancora trovava amadori, e massimamente te che da tutti se' un gran conoscitore di forme di femine reputato; per che lei mostrarti aresti veduto in onore di te, non in biasimo, essere stato fatto da lei. Ben potrebbe alcun altro dire il contrario: che ella, per mostrarsi molto a Dio ritornata e avere del tutto la vita bia simevole, che piacere le soleva, abbandonata, te a dito avesse mostrato, dicendo: «Vedete il nimico di Dio quanto s'oppone alla mia salute; vedete cui egli m'ha ora parato dinanzi per farmi tornare a quello di che io del tutto intendeva, e intendo, di più non seguire!»; o forse con quelle medesime parole colle quali avea al suo amante la tua lettera dimostrata. E altri direbbono che né l'uno modo né l'altro, né per l'una cagione né per l'altra fatto l'avesse; ma solamente per voglia di berlingare e di cinguettare, di che ella è vaghissima, sì ben dire le pare; e essendole venuta meno materia da dovere dire di sé alcuna gran bugia, per avere onde dirla, te dimostrava. Ma, qual che la cagion si fosse, ricorrere dovevi prestamente a quella infallibile verità: cioè niuna femina essere savia, e perciò non potere saviamente operare. E, se riprensione in ciò cadeva, sopra te dover degnamente cadere, sì come colui che credevi, avendola alcuna volta guardata o portandole alcuno amore, quello aver fatto di lei, in sua vecchiezza, che né la natura, né forse i gastigamenti, aveano potuto nella sua giovanezza fare: cioè che ella savia fosse o alcuna cosa saviamente operasse. Tu adunque, non considerando né in lei né in te quello che dovevi, se cruccio grave n'avesti, te ne fosti cagione. Ma lasciamo stare l'essere le femine così fiere, così vili, così orribili, così dispettose, come ricordato t'hanno le mie parole, e l'avere la lettera tua palesata così schernevolmente, e te per qualunque delle dette cagioni o per qual'altra voglia avere a dito mostrato alle femine, e vegnamo al focoso amore che portavi a costei e ragioniamo della tua demenzia in quello. Io voglio presupporre che vero fosse ciò che l'amico tuo del valore di costei ti ragionò: il che se così credesti che fosse, mai non mi farai credere che in lei libidinoso amore avessi posto, sì come colui che avresti conosciuto quelle virtù essere contrarie al tuo vizioso desiderio; e, per consequente, essendo esse in lei, mai non doverti venire fatto in quello atto cosa che tu avessi voluta; sì che non quelle ad amarla ti tirarono, ma la sua forma per certo; e alcuna cosa o udita o veduta di lei ti mise in speranza del tuo disonesto volere potere recare a fine. Ma furonti sì gli occhi corporali nella testa travolti che tu non vedessi lei essere vecchia e già stomachevole e noiosa a riguardare? E, oltre a ciò, qual cechità d'animo sì quelli della mente t'avea adombrati che, cessando la speranza del tuo folle desiderio in costei, con acerbo dolore ti facesse la morte disiderare? Qual miseria, qual tiepidezza, qual tracutaggine te a te così avea della memoria tratto che, venendoti meno costei, tu estimassi che tutto l'altro mondo ti dovesse essere venuto meno e per questo volere morire? Part'egli così essere da nulla? Se' tu così pusillanimo, così scaduto, così nelle fitte rimaso, così scoppiato di cerro o di grotta o se' così da ogni uomo del mondo discacciato che tu costei sì per unico rifugio e per tuo singulare bene eletta avessi che, se ti mancasse, tu dovessi disiderare di morire? Qual piacere, quale onore, qual utile mai avesti da lei o ti fu promesso, se non dalla tua stessa sciocca e bestiale speranza, il quale poi ti fosse tolto da lei? E; la tua speranza che cosa da lei ti poteva giustamente promettere? Certo niuna, se non di metterti nelle braccia quelle membra cascanti e vizze e fetide; delle quali sanza fallo, se saputo avessi il mercato il quale n'ha fatto e fa, come ora sai, sarebbe stato il disiderio minore. Forse speravi, potendole nelle braccia venire e avendo di quella prodezza della quale ella cotanto si diletta, così essere salariato come fu già il cavaliere di cui di sopra parlai? Tu eri ingannato, per ciò che, quando quello era, ella spendeva de' miei; oggi, de' suoi parendole spendere, non dubito punto che tu non le trovassi troppo più stretta la mano che tu non t'avvisi. Egli è andata via quella magnificenza della quale forse tanto l'amico tuo la commendava. E, se questo non isperavi, in quale altra cosa ti poteva ella molto valere? Potevati costei degli anni tuoi scemare? Sì forse di quelli che sono a venire, per ciò che già ad altrui ne scemò: ma io non credo che tu questo avessi voluto; e giugnere non te ne potea, per ciò che solamente a Dio appartiene questo. Potevati costei delle cose assai, che tu non sai, insegnare? Sì forse delle malvage, per ciò che già ad altrui ne 'nsegnò: ma io non credo che tu quelle vadi cercando; dell'altre mostrare non ti potea, per ciò che niuna buona ne sa. Potevati costei, vivendo tu o morendo, beatificare? Sì forse, se quella è beatitudine che essa col suo amante, te schernendo, diterminava, per ciò che già così n'ha assai beatificati: ma io non credo, poi che alquanto la luce t'è tornata dello intelletto, che tu quella beatitudine estimi, ma tormento; della verahannearà mai, sì come colei che ad etterno supplicio, per li carnali diletti, già se medesima ha condannata. Che dunque ti poteva costei fare? Certo io nol conosco; né credo ancora che tu il conoscessi o possi conoscere. Forse t'arebbe potuto fare de' priori : che oggi cotanto da' tuoi cittadini si disidera. Ma io non so vedere il come, rammentandomi che nel vostro capitolio non è da' vostri senatori orecchia porta a' rapaci lupi dello alto legnaggio e del nobile del quale ella è discesa. Ma ben potresti tu dire: sì, potrebbe, se così fosse a grado a tutti coloro che a fare hanno lo squittino, come ella fu a te; e avessel voluto fare. Ma questo mi pare che sarebbe impossibile: che appena, che io creda, che, non che tanti, ma che un altro se ne trovasse che così ne potesse divenire abbagliato come tu divenisti. Deh, misera la vita tua! Quanti sono i signori, li quali se io per li loro titoli ora ti nominassi, in tuo danno te ne vanaglorieresti, dove in tuo pro non te ne se' voluto rammemorare? Quanti i nobili e grandi uomini alli quali, volendo, tu saresti carissimo! E per soperchio e poco laudevole sdegno, il quale è in te, a niuno t'accosti; o, se pure ad alcuno, poco con lui puoi sofferire, se esso a fare a te quello che tu ad esso dovresti fare non si dechina: cioè seguitare i tuoi costumi ed esserti arrendevole; ove tu con ogni sollecitudine dovresti i suoi seguire e andargli alla seconda. E a costei andando quanto tu più umile potevi, non parendoti così bene essere ricevuto come disideravi, non ti partivi, come fatto avresti e faresti, da quelli che esaltar ti possono, dove costei sempre ti deprimerebbe, ma chiamavi la morte che t'uccidesse; la qual più tosto chiamar dovevi, avendo riguardo a quello a che l'anima tua s'era dechinata, a che viltà, e a cui sottomessa: a una vecchia rantolosa, vizza, malsana, pasto omai più da cani che da uomini, più da guardare la cenere del focolare omai, che da apparire tra genti perché guardata sia.

 


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