[I]
Qui comincia la Comedia delle ninfe fiorentine.
Però che gli accidenti varii, gli straboccamenti contrarii,
gli exaltamenti non stabili di fortuna in continui momenti e in diversi disii
l'anime vaghe de' viventi rivolgono, adiviene che altri le sanguinose
battaglie, alcuni le candidate vittorie e chi le paci togate e tali gli amorosi
avvenimenti d'udire si dilettano. Molti gli affannosi pericoli di Cirro, di
Persio, di Creso e d'altri ascoltano, acciò che, per quelli non sentendosi
primi né soli, le proprie angosce mitighino trapassando. Altri, con più superbo
intendimento ne' beni amplissimi fortunali, le inestimabili imprese di Serse,
le ricchezze di Dario, le liberalità d'Alexandro e di Cesare i prosperi
avvenimenti con continua lettura sentendo, acciò che di più alto luogo
caggiano, l'umili cose schifando, all'alte di salir s'argomentano. E alcuni
sono che, dal biforme figliuolo feriti di Citerea, chi per conforto e qual per
diletto cercando gli antichi amori, un'altra volta col concupiscevole cuore
transfugano Elena, raccendono Didone, con Isifile piangono e ingannano con
sollicita cura Medea. Ma però che il piangere accompagnato non rilieva il
caduto, né gli si può per indugio tor tempo, né le memorie delle felicità
passate gli exaltati sostengono, ma bene i passati amori leggendo con più
piacere i nuovi raccendono, adunque, ad Amore solo con debita contemplazione
seguitare, in una ho raccolte le sparte cure, i cui effetti se con discreta
mente saranno pensati, non troverrò chi biasimi quel ch'io lodo. Questi, che le
divine saette tempera nell'acque di Citera, pietoso de' suoi suggetti, sospiri
a quelli di Rainusia contrarii tira de' caldi petti; però che, sì come quelli
da sollicitudine avversa, così da disiata e sperata letizia insieme procedon
questi; e, come gli altri d'accidiosa freddezza, così i suoi d'amorosa caldezza
son testimonii. Questi, del ben vivere umano maestro e regola, purga di
negligenzia, di viltà, di durezza e d'avarizia li cuori de' suoi seguaci; e
loro esperti, magnanimi e liberali e d'ogni piacevolezza dipinti rendendo con
vigilante cura, se lui con diritto passo seguitando perseverano, a' raggi della
sua stella perduce con lieto fine; e i suoi exaltamenti, da umiltà regolata
guidati, tolgono paura di cadere agli exaltati. Che più di costui, le molte
lode in poche parole strignendo, diremo, se non che i suoi effetti tengono in
moto continuo li piacevoli cieli, dando etterna legge alle stelle e ne' viventi
potenziata forza di bene operare? I quali, se uditi da Creso nel fuoco o da
Cirro nel sangue o nella povertà da Codro o nelle tenebre da Edippo,
piaceranno. E Marte, ascoltandoli, o darà all'arme quiete o più ferventi
l'opererà ne' bisogni; Pallade la dolcezza de' suoi studi, i costui fatti
sentendo, d'animo diventata maggiore, e quelli lascia alcuna volta; e Minerva
robusta si fa mansueta intendendoli; e la fredda Diana ne 'ntiepidisce; e
Appollo più focose porge le sue saette. Che più? I satiri, le ninfe, le driade
e le naiade e qualunque altro semone, seguitandolo, se n'abelliscono, e
udendoli piacciono a tutti. Adunque chi sarà colui che per altra sollecitudine
ragionevolmente sotto sì alto duca dica non militare? Certo niuno; e se alcuno
n'è, io non son esso. E se io il seguo, ché 'l séguito, sì come a lui e alla
mia anima piace, per donna, alla quale simigliante formare la savia natura né
l'arte industriosa posero le sante mani, non i triunfi di Marte, non le
lascivie di Bacco, non l'abondanze di Cerere, ma del mio prencipe le vittorie
mi si fa di cantare. Delle quali il cielo e la terra sono pieni; e ènne il
numero tale che più tosto delle stelle e delle marine arene si prenderia che di
quelle. Per che con voce convenevole al mio umele stato, sanza paura di
riprensione, non poeta, ma piuttosto amante, quella, di cui io sono,
aiutandomi, canterò. E lasciando quel tempo, come se stato non fosse, nel quale
Amore, forse con non giusto parere, mi parve grave, acciò che a coloro che
gravoso il sostengono, porga di bene speranza, e diletto a chi lieto possiede i
cari beni, la graziosa vista de' suoi tesori, a me indegno mostrati in terra,
racconterò nel mio verso. E però chi ama, ascolti; degli altri non curo: la
loro sollecitudine gli abbia tutti.
|