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Giovanni Boccaccio
Comedia delle ninfe fiorentine

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  • [XXXVI]
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[XXXVI]

L'alta corona e bella d'Adriana

di molte stelle nel ciel rilucente,

a me promessa da voce non vana,

ad operar virtù già molta gente

nel mondo mosse, tra le qua' Perseo,

quella sperando vigorosamente,

armato da Pallàde, ne rendeo

vinto il Gorgone; e 'l miracol di Creta

con ingegno sottil vinse Teseo.

Da questa ancora processe la lieta

liberazion d'Andromeda, la quale

poi di Perseo fu sposa mansueta.

Bruto con forza a nessun'altra equale

uccise i figli aderenti a Tarquino,

con giusta scure, perch'elli avean male

la libertà, la quale è don divino,

ancora conosciuta; e 'l gran Catone

che 'n Utica morio, e 'l Censorino

mostrâr con forte petto ogni cagione

dover tor via, la quale a star suggetto

viziosamente desse condizione:

e del lor santo, buono e giusto petto

Utica, Cipri, Libia e Acaia

son testimoni sanza alcun difetto;

e 'l buon Fabrizio ancora, che la graia

moneta rinunciò e de' Sanniti,

ben ch'alli avari buona e giusta paia.

I detti ornati, nitidi e puliti

di Cicerone, e di Torquato i fatti

con que' di Paulo Emilio sentiti,

di Scipion gli onori, i modi e gli atti

per questa fur lor cari, avegna dio

ch'essi per non dritta ad essa tratti

non fosser poi; e se il suo disio

avesse Dido ad essa, quando Enea

lasciò lei, vòlto sanza dire addio,

viva averebbe alla sua vita rea

rimedio ancor trovato, e forse in guisa

miglior che la credenza non porgea.

E Biblide dolente non divisa

dal mondo si saria, ma, aspettando,

l'anima avrebbe la carne conquisa.

Così di sé alcuni male oprando

incrudeliscon contro a sé dolenti,

le loro angosce mancare sperando.

Oh come folli sono e mal sappienti

chi per tal modo abandona gli affanni,

a' qua' dovrien più tosto esser contenti

che con la morte raddoppiare i danni,

o col voler di sùbito volare

da leggier duoli a vie maggiori inganni!

E io, la qual, per amore approvare,

avute ho quante noie posson dolere

a chi con lui vivendo vuole stare,

la 'mpromessa aspettando, il mio volere

ho sommesso al soffrire; e con vittoria

credo del campo levarmi e godere,

di quella ornata, nella etterna gloria.




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