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Giovanni Boccaccio
Comedia delle ninfe fiorentine

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[VII]

Continua nella incominciata opera Ameto e sospinto da focosi disii séguita i caldi amori con petto non sano; ma il lagrimoso verno, nemico ai suoi piaceri, avendo spogliate di frondi le selve e l'alte spalle de' monti eccelsi coperte di bianca vesta, con lunga dimoranza turba le vaghe cacce. Egli alcuna volta, uscendo delle sue case, il mondo biancheggiante riguarda; e vede li rivi, per adietro chiari e correnti con soave mormorio, ora torbidissimi, con ispumosi ravolgimenti e con veloce corso tirandosi dietro grandissime pietre degli alti monti, con romore spiacevole gli ascoltanti infestando, discendere, o quelli tutti in pietra per lo strignente freddo essere tornati pigri; e i prati, altra volta bellissimi, ora ignudi, mostrare dolenti aspetti riguarda, e li spaziosi campi, s'alcuno sanza neve ne truova, con vedovi solchi soli può rimirare. Né le voci d'alcuno uccello sente, che le sue orecchie con dolcezza solleciti, né alcuna piaggia conosce che tenga o pecore o pastore; e il cielo già stato ridente e chiaro, e promettente con la sua luce letizia, vede spesso chiudersi di nuvoli stigii li quali, con la terra congiunti, hanno potenzia di fare profonda notte del mezzo giorno; e da quelli crepitanti alcuna volta prima con sùbita luce e poi con terribile suono è spaventato; e per le regnanti Pliade a' venti ogni legge essere tolta conosce; onde essi, discorrenti con soffiamento impetuoso, agli alberi e all'alte torri, non che agli uomini, minacciano ruina, sovente diradicando li robusti cerri de' luoghi loro; e la terra, guazzosa per le versate piove dal cielo, spiacevole si rende a' viandanti: per le quali cose ciascuno volentieri guarda le propie case. E quinci Ameto non piccolo spazio di tempo della sua ninfa perde la chiara vista, e con ragione, da dolore costretto, i suoi lunghi ozii e le spiacevoli dimoranze del verno maladice, a' suoi occhi imponendo la legge che serva il cielo. Ma acciò che il male grazioso tempo non passi perduto, in acconciare reti, in rimpennare saette, in aguzzare li spuntati ferri e in risarcire li faticati archi e le loro corde lo spende. Egli ancora ammaestra cani e con sollecitudine continua rapaci uccelli apparecchia alle celestiali risse, questi per sé e quelli serbando per la sua Lia.

Ma poi che Febo, venuto nel Monton frisseo, rendé alla terra il piacevole vestimento di fiori innumerabili colorato, a lei dal noioso autunno suto per adietro spogliato, e gli alberi, di graziose fronde e di fiori ricoperti, sostennero i lieti uccelli, e le occulte caverne renderono a' prati gli amorosi animali, e i campi l'ascosta Cerere fêr palese, e l'allodole, imitanti l'umane cetere col lor canto, gaie, cominciarono a riprendere il cielo, e tutta la terra, dipinta, da argentali onde rigata, si mostrò lieta, e a Zeffiro soavissimo fra le nuove foglie sanza sturbo furono rendute le fresche vie, e il cielo igualmente porgeva segno di grazioso bene, Ameto i già tepidi amori con la vista del nuovo tempo, il quale ottima speranza gli porge di Lia, riscalda con più acceso animo; e, incominciando a visitare i boschi, con le voci propie, col corno e co' cani li fa risonare, acciò che, agli altri per lo suo andare accendendosene il disio, Lia, vedendolo, più tosto a ciò si muova: e in ciò gl'iddii gli sono favorevoli. Ella, le sue armi racconce a tal guerra utili, vedendo il giovane tempo, cerca le selve e il ritrovato Ameto contenta della sua vista. E ciascun giorno, ritrovandola, egli séguita le sue cacce; e nella calda ora, i prati freschi fra l'alte erbe e fra' colorati fiori, sotto le graziose ombre de' giovani alberi, allato a' chiari rivi prendono piacevoli riposi. La quale, se avviene che alcuna volta da Ameto ritrovata non sia, in questi luoghi da lui è sovente aspettata infino alla sua venuta, sì come in luoghi di quella fedelissimi renditori. Egli, molto faticato, un giorno lei cercando, non avendola potuta trovare, ad aspettarla nelli usati prati era disceso; dove, acciò che la fatica sentisse minore, disteso il corpo sopra il verdeggiante prato, difeso da' raggi solari da piacevoli ombre, così cominciò a cantare:

 




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