[IX]
Manca la canzone d'Ameto, e 'l sole co' suoi cavalli corre
all'onde di Speria, e, calate l'ore ferventi, a chiudere il mondo surge la
notte di Gange: la chiamata Lia non viene ne' luoghi usati. Per la qual cosa
Ameto, già nel cielo conoscendo le stelle, co' suoi cani maladicendo la sua
pigrizia, dolente torna alle sue case, attendendo che la fortuna ne' dì
seguenti non gli sia nocevole come è stata. I festevoli giorni, dalla reverenda
antichità dedicati a Venere, sono presenti, tenendo Appollo con chiaro raggio
il mezzo del rubator d'Europa, insieme con la già detta dèa congiunto con lieta
luce. Per la qual cosa i templi, con sollecitudine visitati, risuonano, e
d'ogni parte i lidiani popoli, ornati, con divoti incensi concorrono; in quelli
li eccettuati nobili, con la moltitudine plebea raccolti, pórti prieghi e
sacrificii all'iddii, festeggevoli exultano. Le vergini, le matrone e l'antiche
madri, con risplendente pompa ornatissime, la loro bellezza, visitando quelli,
dimostrano a' circustanti: e essi templi, in qualunque parte di loro di fronde
varie inghirlandati e di fiori per tutto dipinti, dànno d'allegrezza cagione a'
visitanti. Ma tra gli altri eminentissimo, sopra marmoree colonne sostenenti
candida lammia, se ne leva uno tra le correnti onde di Sarno e di Mugnone,
quasi igualmente distante a ciascheduno, intorniato, quanto di lui si distende
del vicino piano, di graziose ombre d'eccelsi pini, di diritti abeti e
d'altissimi faggi e di robuste querce. A questo, come a più solenne, concorre
ciascuno; niuna abitazione è che quivi non mandi, nulla piaggia ritiene i suoi
pastori; e le chiare rive vi mandano le sue ninfe, e le prossime selve li fauni
e le driade; e qualunque campo tiene satiri manda quivi, e le naiade ancora
liete vi vengono; e Vertunno vi manda i suoi popoli ornatissimi, come Priapo i
suoi; e quivi mostrano alcuni come Pallade e altri come Minerva e chi quanto
Giunone e quali quanto Diana siano state lor graziose. A questo tempio Ameto,
lasciato il villesco abito e di più ornato vestitosi, corre; e similemente
ornatissima vi vien Lia; e co' vicini raguardamenti nutricano le loro fiamme.
Ma, poi che pórti furono da tutti i suoi incensi e' prieghi e gli animi furono
pasciuti, tacque il tumultuoso tempio; e già del giorno venuta la calda parte,
tutti, quello abandonando, cercano le fresche ombre; e quivi, presi i cibi, a
varii diletti si dona ciascuno, e, in diverse parti raccolti, diversi modi
truovano di festeggiare. Alcuni col suono delle sue sampogne, sì come già
Marsia fece, ad Apollo s'oppongono, altri con le sue cetere credono Orfeo
avanzare; e tali sono che si vantano, tra gli urtanti animali, essere in
giudicio simili ad Alexandro; e quali i sagrificii di Bacco e di Cerere
trattano diversamente con nuove quistioni; e i più, alle fila di Minerva
rivolti, s'ingegnano d'aguagliarsi ad Aragne, sanza che molti, seguendo
Vertunno, errano diversamente armati delle astuzie d'Arcadia. Ameto solo
séguita la sua Lia; la quale, al tempio non guari lontana, in bellissimo prato
d'erbe copioso e di fiori, difeso da molti rami carichi di novelle frondi,
sopra chiara fontana con sua compagnia si pose a sedere; e, sé alquanto sopra
quella mirata, asciugati i caldi sudori, si rifé bella dove mancava; e co' suoi
occhi contentando Ameto, soavemente cominciò a parlare, e, de' superiori iddii
e de' difetti mondani verissime cose narrando, con dolce stilo faceva gli
ascoltanti contenti.
Ma il suo mostrare non era guari disteso quando, assai di
lontano, verso di sé conobbe venire due bellissime ninfe, obvia alle quali
reverente si levò Lia; e poi che insieme liete e graziose accoglienze più volte
reiteraro, disposte le superflue cose, con lei sopra la fonte s'asettarono a
sedere, rintegrando Lia, con la licenza di loro, ciò che avanti con le compagne
parlava. Ameto alla venuta delle due ninfe di sopra i verdi cespiti levò il
capo; e quelle con occhio vago rimira, e tutte insieme e particularmente
ciascuna considera. Elli vede all'una, quella che più in sé estima eminente, i
capelli con maesterio non usato avere alla testa ravolti e con sottile oro, a
quelli non disiguale, essere tenuti con piacevole nodo alle soffianti aure; e
coronata di verdissima ellera, levata dal suo caro olmo, sotto quella, ampia,
piana e candida fronte mostrare; e, sanza alcuna ruga, aperta si palesava; alla
quale sottilissime ciglia, in forma d'arco, non molto disgiunte, di colore
stigio, sottostare discerne; le quali, non nascosi né palesi soperchio, due,
non occhi, ma divine luci più tosto, guardano con convenevole altezza
sollecite. E, intra le candide e ritonde guance di convenevole marte consperse,
di misurata lunghezza e d'altezza decevole, vede affilato surgere l'odorante
naso; a cui quanto conviensi sopposta la bella bocca, di piccolo spazio
contenta, con non tumorose labbra di naturale vermiglio micanti cuoprono li
eburnei denti, piccioli, in ordine grazioso disposti; la quale, al mento
bellissimo, in sé picciola concavità sostenente, soprastante non troppo, appena
gli occhi d'Ameto lascia discendere a considerare la candida gola, cinghiata di
grassezza piacevole non soverchia, e il dilicato collo e lo spazioso petto e
gli omeri dritti e equali. Ma sì sono belle e all'altre parti ben rispondenti
le dette ch'a forza è tirato da quelle a veder quelle. Le quali con ammirazione
riguardate, considera la coperta parte in piccioli rilievi sospesa sopra la
cinta veste, la quale, sottilissima, di colore acceso, dalle mani indiane
tessuta, niente della grandezza de' celestiali pomi nasconde, i quali,
resistenti al morbido drappo, della loro durezza rendono verissimo testimonio.
Da questa parte gli salta l'occhio alle distese braccia, le quali, di debita
grossezza, strette nel bel vestire, rendono più piena mano; le quali, dilicate,
con lunghissime dita e sottili, ornate vede di cari anelli li quali elli
vorrebbe che per lui da lei, avanti che per altrui, si tenessero. E quinci, dal
composto corpo alle parti inferiori discendendo, più che il piccolissimo piede
non se li mostra. Ma lei avendo diritta veduta e la sua altezza servata nella
sua mente, imagina quanto di bene si nasconda ne' cari panni. E appena levati
gli occhi da lei, all'altra non men bella li torce, né alcuna particella di
quella lascia a riguardare, se non come fe' della prima. Egli, li suoi capelli
attendendo, in altro ordine, con bella treccia e con artificio leggiadro
ravolti, non come i primi micanti d'oro, ma poco meno, sotto ghirlanda di
mortine verde lucenti li vede; e in sé quali più si debbano laudare
quistionando, non sa che si dire: sotto la quale verdeggiante ghirlanda, la spaziosa
testa e distesa, imitante la neve per propia bianchezza, apparisce più bella.
Nella quale due ciglia sottili con debita distanzia disgiunte, raccolte
insieme, farieno un tondo cerchio, allato alle quali li spenti carboni si
diriano bianchi da' riguardanti; e sotto esse risplendono due occhi di tanta
chiarezza ch'appena la poté sostenere Ameto ne' suoi; del mezzo de' quali il
non camuso naso in linea diritta discende, quanto ad aquilino non essere
domanda il dovere. E le guance, all'aurora sorelle, meritano nell'animo del
riguardante Ameto graziosa laude; ma più la cortese bocca, difendente alla
vista co' bellissimi labbri gli argentei denti, servanti l'ordine de' più
belli. E il bellissimo mento, lungamente da Ameto mirato, concede che egli
discenda alla diritta gola, vaga ne' moti suoi, a cui il collo candidissimo non
era dissimigliante, residenti come diritta colonna sopra gli omeri equali, da
bella vesta in parte nascosi. E quella parte che dello spazioso petto era ad
Ameto palese ebbe forza di tenere a sé lungamente li suoi occhi sospesi, però
che a quello luogo vicino dove con esso si congiungono i preziosi drappi, in
mezzo da ogni parte igualmente levata la bella carne, vede una graziosa via, la
quale alle case degli iddii non una volta ma molte s'imaginò ch'ella andasse; e
per quella, quanto il più puote, con sottile riguardo più fiate l'ardito occhio
sospinse. E rimirando sopra i nascondenti vestiri avvisa dove perverrebbe la
pronta mano, se data le fosse licenzia, e loda le rilevate parti in aguta e
tonda forma mostrate dalli strignenti drappi. E le braccia, lunghe non più che
'l dovere né meno, li piacciono, e le candide mani, articulate di distese dita,
le quali, sparte sopra il porporino vestimento, largo ricadente su le ginocchia
della sedente ninfa, più aperta mostran la loro bellezza. Egli lei nella
cintura non grossa, manifestantelo i panni per sé dimoranti, cinta la vede con
largo volgimento di strema lista; e ampia, ove conviensi, in sé lei con l'altra
loda sanza misura, non meno gli occhi a loro che gli orecchi a' parlamenti di
Lia tenendo sospesi.
|