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Giovanni Boccaccio Comedia delle ninfe fiorentine IntraText CT - Lettura del testo |
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[XVI] O voi, qualunque iddii, abitatori delle superne e belle regioni, di tutti i ben cagioni e donatori, che noi e' ciel' con etterne ragioni reggete e correggete, disponendo sempre a buon fine i tempi e le stagioni, e te massimamente, a cui intendo, o sommo Giove, i voti dirizzare focosi del disio ond'io m'accendo, con quella voce ch'io posso più dare divota, vi ringrazio di tal bene qual v'è piaciuto agli occhi miei mostrare. Tantalo, Tizio o qualunque altro tene di Dite la città, vedendo queste, sentiria gioia, obliando le pene. Voi le creaste e belle le faceste con virtù liete, savie e graziose, e a' nostri piacer le disponeste: adunque a' prieghi miei sempre gioiose, servando lor la bellezza e l'onore, le fate, sì come son, disiose. E tu, da me non conosciuto, Amore, da poco tempo in là, il qual m'hai tratto dalla vita selvaggia e dallo errore, istato rozzo infino allora e matto, ché col suo canto e con gli occhi la via m'aperse Lia a darmiti con atto non istinguibil della mente mia, non notar ciò che la mia voce canta, ma ciò che 'l cuor, subietto a te, disia. Io rendo grazie al tuo valor con quanta virtù si puote esprimer nella voce, umile sempre a tua deità santa; e bench'io senta il raggio tuo, che coce me, per la forza degli occhi di quella ch'alla tua via rozzissimo mi doce, son io disposto sempre la tua stella come duce seguir, fermo sperando a buon porto venir, guidandomi ella. L'arco, li strali e il cacciar lasciando le paurose fiere, e' vo' seguire le belle donne, sempre omai amando, maladicendo il tempo che reddire non puote indietro, nel qual già diletto ebbi, faccendo le bestie fuggire, sì ch'i' 'l potessi spender nello effetto de' tuoi servigi; ma s'e' me ne avanza, darolti tutto quel ch'omai aspetto. Qual selva fu o qual lieta speranza col seguitato ben, mi desse mai tanto di gioia, o quale ombrosa stanza, quant'ho sentita, poi ch'io rimirai di prima Lia e ch'io vidi costoro le quali, in ben di me, raccolte ci hai? Certo nessuna; e credo, se nel coro fossi de' tuoi regni, i' non starei la metà ben che rimirando loro. Per ch'io ti priego pe' meriti miei, s'alcun ne feci o debbo fare o posso, e teco insieme tutti gli altri dèi, che dal mio domandar non sia rimosso tosto l'effetto, ma compiutamente segua il disio che da pietate è mosso: il qual si è che noi etternalmente, come noi siam, tegnate in questo loco, sanza ch'alcun se 'n parta mai niente, giovani, lieti e in festa e in gioco, sanza difetto sempre mai accesi, ognora più ferventi nel tuo foco. Deh, se o Danne o Mirra furo intesi da voi ne' lor bisogni, non si nieghi a me che contra voi mai non offesi. Né sia bisogno ch'io a voi lo spieghi quanti nimici vostri abbiate uditi, con diligenza dando effetto a' prieghi, sì come 'l ciel ne mostra a lui saliti, e ancora la terra il fa palese e il mar simigliante e i suoi liti. Adunque siate al mio priego cortese benigni acciò che, con etterno ingegno lodando voi, le menti faccia intese di chi vive qua giù al vostro regno.
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