[XXI]
- In quelle parti le quali Alfeo, non lento fiume, da alte
grotte disceso, bagna con le sue onde, quasi nel mezzo tra 'l suo nascimento e
la fine, nacque il padre mio. Il quale, ancora che quivi plebeio fosse, agli
ozii de' nobili si dispuose, lasciando la sollicitudine del padre di lui, stata
ne' servigi di Minerva continuo. Egli d'una ninfa di Corito, garrula quale le
figlie di Piero, questi luoghi colente, sopra le pulite onde a noi vicine
m'ingenerò e alle naiade de' vicini luoghi mi diede a nutricare. E non molto
spazio dopo il mio nascimento passò che egli al cielo quello che qui n'avea
rendéo interamente. Ma io, non seguente i canestri né le lane della santa dèa,
alla quale il mio avolo era stato subietto, né gli ozii del mio padre né le
loquaci maniere della mia madre, a portare i vendichevoli archi di Latona e a
seguire lei ne' miei puerili anni mi diedi. E già conosciute avea l'operate
vendette da lei contro la superbia di Niobe, quando essa ne' cori della
figliuola mi mescolò a servirla; alla quale io piacqui tanto che più ch'altra
vergine lei seguente m'amò e con sollicito studio mi fece dotta delle sue arti.
Ma essendo io non molto men grande che io mi sia e già da marito parevole, la
mia madre un giorno con cotali parole mi prese:
«Emilia, cara figliuola e unica agli anni miei, lascia i
presi studi, e Giunone, a cui la tua forma non richiesta matrimonio richiede,
di servir ti disponi. Tu dêi a me nepoti sì come io dovea alla mia madre. Li
quali spero che concedenteliti Lucina, ti loderai d'avere seguito il mio
consiglio; dal quale cessandoti, di necessità di me perderesti l'amore».
La cui volontà conoscendo io, prima alla mia dèa cercato
perdono e conosciutola di ciò consenziente nel movimento benigno della sua
imagine, a mia madre risposi me presta a' matrimonii essere, ma non a lasciare
Diana per altra dèa, dove da lei rifiutata non fossi. Consentì a questo la
lieta madre e, trovato uno giovane secondo il suo cuore, il cui nome grazioso
mi piacque, a lui per isposa mi diede. Alla casa di cui essendo io menata e
gittati copiosamente sopra il mio capo i doni di Cerere e fattemi tòrre tre
frondi della ghirlanda d'Imeneo, testimonio della mia virginità e festevole
dimorante alle mie nozze, e entrata con le accese tede nella camera del novello
sposo, le quali credetti che più lieta mano portasse che non portò, e la gran
pompa de' festanti giovani e le varie maniere degli strumenti ausonici
exultarono. Lieta tra l'altre giovani, contenta mi potea dire se Giunone, de'
nostri matrimonii congiugnitrice, non avesse la mano ritratta con isconci
accidenti dalle nostre fortune; la quale non dubito che più benivola a noi
stata sarebbe se a' suoi doni avessi voluta la mia bellezza prestare, lasciando
Diana, la cui benivolenzia, a me mostrata ne' giovani anni, mai non misi in
oblio; e ancora che per li celebrati matrimonii del suo coro degna non fossi di
seguitarla, già mai non lasciai né da lei mi fu donato congedo come a Calisto,
con tutto che una volta gravante come quella apparissi nelle sue fonti, con
maschia progenie poi dal peso diliberandomi.
Non m'era dunque altra deità nota del cielo, quando, non ha
ancora gran tempo, visitando io li templi della nostra città, e questo
massimamente dove oggi i solenni sacrificii abbiamo celebrati, ornata come sono
al presente e forse più vaga, nelli suoi luoghi, cantando un giovane graziosi
versi a' miei orecchi, m'apparve la santa Venere, de' suoi cieli discendente in
forma quale al reverente Anchise, fuggente gli sconci incendii de' suoi tetti,
nel tempo notturno infra le tenebre si mostrò la chiara luce dell'avolo suo.
Alla quale il tiepido cuore s'aperse nel primo sguardo; e quella, con le sue
fiamme entratavi sùbito, vi rimase, me di costumi, d'abito e di modi in parte
cambiando. E tanta fu di Diana ver me la benivolenzia ferma che già per questo
non mi negò la sua compagnia, ma parve che io nella sua grazia crescessi.
Duranti adunque i nuovi fuochi della santa dèa nel petto
mio, avvenne un giorno che, per questi prati soletta passando con l'arco e con
le mie saette, mi vennero alzati gli occhi: e in aere, non sanza molta
ammirazione, dinanzi ad essi vidi uno ardente carro tirato da due dragoni, tale
a riguardare qual forse quello di Medea fuggente Teseo fu potuto vedere. Nel
quale una giovane donna, nello aspetto altiera e di fuoco così come il carro
lucente, armata di bellissime arme, con uno cappello d'acciaio con alta cresta
e con iscudo, vidi reggente quello, e così veloce corrente per l'aere quali le
saette turchie, pinte da forte nervo, sogliono sanza alcuna comparazione volare.
A lato alla quale uno spirito bellissimo, del suo fuoco accendentesi tutto,
vidi sedere; e con lei più volte tentata l'entrata degli alti cieli, non
conceduta loro, per l'aria vagabundi in voce altiera faccendola risonare,
andavano questi versi cantando:
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