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Giovanni Boccaccio Comedia delle ninfe fiorentine IntraText CT - Lettura del testo |
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[XXXI] Così tosto come la donna cominciò a parlare, Ameto rientrò ne' primi pensieri, ma con più temperato disio. Egli caccia da sé le imaginazioni vane, alle quali gli effetti conosce impossibili, e alle vere cose entra con dolce pensiero. E così fra sé medesimo dice alcuna volta: - O buoni iddii, come che queste bellissime donne amino altrui che me, io pure sono con loro, dove molti sanza dubbio più di me degni desiderebbono di stare; e pure di grazia speziale i vaghi occhi pasco delle loro bellezze. Oh quanti sarebbono quelli che più non cercherebbono che quello che io, non conoscendolo, forse posseggo. Io non so quale deità di tanta grazia io mi ringrazii, se non l'amata Lia. Certo io non posso pensare che più di me si potesse gloriare di vedute bellezze il troiano Paride. O iddii, siate testimonii a quello ch'io dico: io dirò forse cosa non credibile, ma vera. Elli nella profonda valle della sua selva Ida vide tre dèe, ma io ne veggo qui in aperta luce sette, delle quali niuna è di bellezza avanzata da alcuna dèa. Veramente di tanto fu elli più vantaggiato di me: egli le vide ignude e ogni parte del corpo bellissimo di quelle fu manifesta agli occhi suoi. Ma non si conveniva egli che alcuno vantaggio avesse un figliuolo d'uno re da uno semplice cacciatore? E se queste pur volessono, perché le vorrei io vedere ignude sanza poterle usare? Questo non sarebbe altro che un vano accendimento di più aspro fuoco, considerando che, vedendo i visi loro, appena da' disideri non liciti posso raffrenare la vaga mente. Oh quali esse dovrebbono parere, e come volentieri, se licito fosse, le vedrei. Or ecco, io non posso più vedere che agli altri uomini sia licito, e certo questo non posso io imputare ad esse; solamente i panni mi sono villani: elle non cuoprono nulla di ciò che i panni consentono a chi riguarda. Oh quanto io ancora ho più di grazia che 'l misero Ateon, al quale non fu licito di potere ridire le vedute bellezze della vendicatrice Diana; e a me non fia tolto di potere in ciascuno tempo narrare co' cari compagni il sentito bene. Ma ohimè, di che mi rallegro io? Io non avrò di questo più d'Atteon, se non solamente che io non sarò da' cani lacerato: se io narrerò queste cose, chi le crederà? Niuno fia che possa estimare, non vedendo, quello che io medesimo, vedendo, appena credo. Ma come che creduto o non creduto mi sia, io pur le veggio, e s'io il ridico dirò il vero e nel pensiero non fia la mia letizia minore; e credo che io di grazia sia presente a quelli beni a' quali, niuno che viva, fu mai a' simili. E però chi vorrà il creda, e chi no, io non me ne curo. - E queste parole fra sé dette, riguardava quelle e alquanto a quello che diceva la ninfa lo 'ntelletto prestava; e poi ritornava al pensiero e dicea: - Deh, se io di costoro le bellezze volessi narrare, come le saprò io dire? Certo le lingue degl'iddii appena potrebbono esprimere ciò che veggono gli occhi miei. O felice giorno nel quale prima m'apparve Lia! Ella m'è stata cagione certissima di vedere tutte queste belle cose, dopo la sua vista da me vedute; ma troppo più posso questo felice chiamare, il quale, se' prieghi valessono, priegherei che mai non mancasse. O beati, e più che mille volte beati, coloro i quali a queste piacciono e cui esse ne' loro amori con voce graziosa raccordano! - Egli poi, riguardando il cielo infra gli ombreggianti albori, notava in che parte il sole in quello stesse; e poi, nell'ombre da lui fatte o corte o lunghe in terra, examinava quanto egli fosse vicino a menomare gli ardori; e parevagli ch'egli studiasse più che l'usato i lucenti carri, e con tacita voce diceva: - O grazioso Appollo per li meriti de' cui caldi raggi io dimoro in tanto bene, tempera il corso tuo, non fuggire con così sùbito andamento e di ciò c'hai donato non essere privatore! Deh ferma un poco il grado a riguardare costoro le quali, qualunque s'è l'una, così meritan l'amore tuo come Danne, Climenes, Leucotoen o Clizia o qualunque altra ti piacque più mai. E se tu forse cotto dall'amorose fiamme ti senti e pauroso dubiti di mirarle, difendano questi alberi a te stante fermo con la loro ombra le loro bellezze; le quali se a mirarsi non ti ritengono, ritenganti i prieghi miei. Pensa che nell'altro emisperio sia commesso il peccato di Tieste un'altra volta; e standoti dove tu se', dà lunga notte a' luoghi che te non conoscono e dicesi che di te non hanno bisogno; deh, presta a' graziosi parlari lunga stagione acciò che io più possa dilatare il mio diletto! - Elli quasi a una ora ebbe la sua orazione finita che il canto la ninfa. Per che, alquanto levato da' dolci pensieri, a quella donna che di vermiglio vestiva impuose con piacevole voce i suoi amori recitare; e ella, ridendo e ardente nel viso, co' capelli per lo caldo disciolti, con parte al capo legati e parte sparti sopra le candide spalle, vezzosa, con chiara voce così cominciò a parlare: |
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