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Giovanni Boccaccio
Comedia delle ninfe fiorentine

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[I]

Qui comincia la Comedia delle ninfe fiorentine.

Però che gli accidenti varii, gli straboccamenti contrarii, gli exaltamenti non stabili di fortuna in continui momenti e in diversi disii l'anime vaghe de' viventi rivolgono, adiviene che altri le sanguinose battaglie, alcuni le candidate vittorie e chi le paci togate e tali gli amorosi avvenimenti d'udire si dilettano. Molti gli affannosi pericoli di Cirro, di Persio, di Creso e d'altri ascoltano, acciò che, per quelli non sentendosi primi né soli, le proprie angosce mitighino trapassando. Altri, con più superbo intendimento ne' beni amplissimi fortunali, le inestimabili imprese di Serse, le ricchezze di Dario, le liberalità d'Alexandro e di Cesare i prosperi avvenimenti con continua lettura sentendo, acciò che di più alto luogo caggiano, l'umili cose schifando, all'alte di salir s'argomentano. E alcuni sono che, dal biforme figliuolo feriti di Citerea, chi per conforto e qual per diletto cercando gli antichi amori, un'altra volta col concupiscevole cuore transfugano Elena, raccendono Didone, con Isifile piangono e ingannano con sollicita cura Medea. Ma però che il piangere accompagnato non rilieva il caduto, né gli si può per indugio tor tempo, né le memorie delle felicità passate gli exaltati sostengono, ma bene i passati amori leggendo con più piacere i nuovi raccendono, adunque, ad Amore solo con debita contemplazione seguitare, in una ho raccolte le sparte cure, i cui effetti se con discreta mente saranno pensati, non troverrò chi biasimi quel ch'io lodo. Questi, che le divine saette tempera nell'acque di Citera, pietoso de' suoi suggetti, sospiri a quelli di Rainusia contrarii tira de' caldi petti; però che, sì come quelli da sollicitudine avversa, così da disiata e sperata letizia insieme procedon questi; e, come gli altri d'accidiosa freddezza, così i suoi d'amorosa caldezza son testimonii. Questi, del ben vivere umano maestro e regola, purga di negligenzia, di viltà, di durezza e d'avarizia li cuori de' suoi seguaci; e loro esperti, magnanimi e liberali e d'ogni piacevolezza dipinti rendendo con vigilante cura, se lui con diritto passo seguitando perseverano, a' raggi della sua stella perduce con lieto fine; e i suoi exaltamenti, da umiltà regolata guidati, tolgono paura di cadere agli exaltati. Che più di costui, le molte lode in poche parole strignendo, diremo, se non che i suoi effetti tengono in moto continuo li piacevoli cieli, dando etterna legge alle stelle e ne' viventi potenziata forza di bene operare? I quali, se uditi da Creso nel fuoco o da Cirro nel sangue o nella povertà da Codro o nelle tenebre da Edippo, piaceranno. E Marte, ascoltandoli, o darà all'arme quiete o più ferventi l'opererà ne' bisogni; Pallade la dolcezza de' suoi studi, i costui fatti sentendo, d'animo diventata maggiore, e quelli lascia alcuna volta; e Minerva robusta si fa mansueta intendendoli; e la fredda Diana ne 'ntiepidisce; e Appollo più focose porge le sue saette. Che più? I satiri, le ninfe, le driade e le naiade e qualunque altro semone, seguitandolo, se n'abelliscono, e udendoli piacciono a tutti. Adunque chi sarà colui che per altra sollecitudine ragionevolmente sotto sì alto duca dica non militare? Certo niuno; e se alcuno n'è, io non son esso. E se io il seguo, ché 'l séguito, sì come a lui e alla mia anima piace, per donna, alla quale simigliante formare la savia natura né l'arte industriosa posero le sante mani, non i triunfi di Marte, non le lascivie di Bacco, non l'abondanze di Cerere, ma del mio prencipe le vittorie mi si fa di cantare. Delle quali il cielo e la terra sono pieni; e ènne il numero tale che più tosto delle stelle e delle marine arene si prenderia che di quelle. Per che con voce convenevole al mio umele stato, sanza paura di riprensione, non poeta, ma piuttosto amante, quella, di cui io sono, aiutandomi, canterò. E lasciando quel tempo, come se stato non fosse, nel quale Amore, forse con non giusto parere, mi parve grave, acciò che a coloro che gravoso il sostengono, porga di bene speranza, e diletto a chi lieto possiede i cari beni, la graziosa vista de' suoi tesori, a me indegno mostrati in terra, racconterò nel mio verso. E però chi ama, ascolti; degli altri non curo: la loro sollecitudine gli abbia tutti.

 




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