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Giovanni Boccaccio
Comedia delle ninfe fiorentine

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[III]

In Italia, delle mondane parti chiarezza speziale, siede Etruria, di quella, sì com'io credo, principal membro e singular bellezza; nella quale, ricca di città, piena di nobili popoli, ornata d'infinite castella, dilettevole di graziose ville e di campi fruttiferi copiosa, quasi nel suo mezzo e più felice parte del santo seno, inver' le stelle dalle sue pianure si leva un fruttuoso monte, già dagli antichi Corito nominato, avanti che Atalante, primo di quello abitatore, su vi salisse. Nelle piagge del quale, fra gli strabocchevoli balzi, surgeva d'alberi, di querce, di cerri e d'abeti un folto bosco e disteso infino alla sommità del monte. Dalla sua destra un chiaro fiumicello, mosso dall'ubertà de' monti vicini, fra le petrose valli discendea gridando inverso il piano; dove giunto, le sue acque mescolando con Sarno, il poco avuto nome perdeva. Era di piacevoli seni e d'ombre graziose la selva piena, d'animali veloci, fierissimi e paurosi, e in più parti di sé abondanti fontane rigavano le fresche erbette. In questa selva sovente Ameto, vagabundo giovane, i fauni e le driade, abitatrici del luogo, solea visitare; e elli, forse delli vicini monti avuta antica origine, quasi da carnalità costretto, di ciò avendo memoria, con pietosi effetti gli onorava talvolta, perché elli, favoreggiato da loro, le timide bestie per li nascosi luoghi del monte, mentre sopra la terra dimorava Appollo, con sollecito passo furibondo seguiva. E rade erano quelle, che il suo occhio scorgesse, che per velocità di corso o per volgimenti sagaci, o che dal suo arco non fossero ferite o da' cani ritenute o ultimamente vinte dalle sue insidie e, nelle sue reti incappate, in brieve da lui si trovassero aggiunte: per la qual cosa di preda carico tornava sovente alle sue case. Ma essendoli una volta tra l'altre con più prosperevoli casi la strana sollecitudine pervenuta alla disiata speranza, in sé lieto, d'ogni parte carico della presa preda, intorniato da' cani, tornando alli suoi luoghi, discese le piagge, teneva il piacevole piano, già vicino a quella parte ove il Mugnone muore con le sue onde; e quivi, affannato per la lunga via e per lo grave peso e per lo soprastante caldo, sotto una fronzuta quercia, di riposo vago, dispose la ricca soma, e sopra le nate erbette disteso il vago corpo, alle soavi aure aperse il ruvido seno; e, cacciatisi dal viso i sucidi sudori con la rozza mano, l'arida bocca si rinfrescò con l'umide frondi delle verdi piante; e ricreato alquanto, con li suoi cani, ora l'uno ora l'altro chiamando, cominciò a ruzzare; e quindi levato in piede, trascorrendo tra loro or qua or là, all'uno la gola all'altro la coda e qual per li piedi tirando scherzando, dalla lasciviente turba da diverse parti era assalito, e talvolta i non ricchi drappi, stracciati da quella, il moveano ad ira: in questo trastullo, ora stendendoli in terra, ora sé fra loro stendendo, si stava. Ma mentre che così prendeva in nuova maniera sollazzo, essendo il sole caldissimo, sùbito dalla vicina riva pervenne a' suoi orecchi graziosa voce in mai non udita canzone. Per che elli, avendo di ciò maraviglia, fra sé disse:

- Iddii sono in terra discesi, e io più volte oggi l'ho conosciuto, ma nol credea: i boschi più pieni d'animali si sono dati che non soleano, e Febo più chiari n'ha pórti i raggi suoi, e l'aure più soavemente m'hanno le fatiche levate, e l'erbe e' fiori in quantità grandissima cresciuti più che l'usato, testimoniano la lor venuta. Essi, per lo caldo affannati com'io, qui vicini si posano e usano i celestiali diletti, con le loro voci forse avvilendo i mondani. Io non ne vidi mai alcuno, e, disideroso di vederli se così sono bella cosa come si dice, ora gli andrò a vedere, il sole guidante li passi miei; e acciò ch'e' mi sieno benivoli, se di preda li vedrò vòti, della mia abondevoli li farò, se vorranno. -

E con fatica a' cani, a quali con lusinghe e a quali con occhi torvi e con voce sonora mazze mostrando, pose silenzio, e verso quella parte ove il canto estimava, porse, piegando la testa sopra la manca spalla, l'orecchie ritto; e ascoltato alquanto, rivolto a' cani, quelli con li usati legami attaccati, alla presente quercia raccomandò, e preso uno noderoso bastone, col quale, portando la pesante preda, a' suoi omeri alcuno alleggiamento porgeva, verso quella parte dove udiva la dolce nota volse i passi suoi; e con la testa alzata non prima le chiare onde scoperse del fiumicello ch'elli all'ombra di piacevoli albuscelli, fra' fiori e l'erba altissima, sopra la chiara riva vide più giovinette; delle quali alcune, mostrando nelle basse acque i bianchi piedi, per quelle con lento passo vagando s'andavano; altre, posti giuso li boscherecci archi e li strali, sopra quelle sospesi i caldi visi, sbracciate, con le candide mani rifacean belli con le fresche onde; e alcune, data da' loro vestimenti da ogni parte all'aure via, sedeano attente a ciò che una di loro più gioconda sedendo cantava, dalla quale conobbe la canzone prima alle sue orecchie esser venuta. Né più tosto le vide che, loro dèe estimando, indietro timido ritratto, s'inginocchiò e, stupefatto, che dir dovesse non conoscea. Ma i giacenti cani delle riposanti ninfe, levati di colui alla vista, esso forse pensando fiera, veloci con alto latrato gli corsero sopra. E elli, poi che 'l fuggire non li valse, sopragiunto da quelli, col bastone, con le mani e con la fuga e con le rozze parole da sé, quanto poteva, cessava i morsi loro; le quali non conosciute dalle orecchi usate di ricevere i donneschi suoni, più fieri lui, già più morto per paura che vivo, seguieno; e egli, rimembrandosi d'Atteon, con le mani si cercava per le corna la fronte, in sé dannando il preso ardire di volere raguardare le sante dèe. Ma le ninfe, turbato il lor sollazzo per la canina rabbia, levate, con alte voci appena in pace puosero i presti cani, e lui con piacevole riso, conosciuto suo essere, racconsolandolo, feciono sicuro; e al loro luogo tornate, avendo d'Ameto avuta festa, così ricominciò la sua canzone la cantante:




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