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Giovanni Boccaccio Comedia delle ninfe fiorentine IntraText CT - Lettura del testo |
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[IV] Cefiso con le sue piacevoli onde disteso in dritta e quando in torta via per la terra d'Aonia ch'egli infonde, come Liriopè, la madre mia, co' suoi ravvolgimenti vinse e prese con disusata e nuova maestria, e sì per lei di Venere s'accese che, toltale la sua virginitate, non valendole prieghi né difese, me ingenerò, la qual tante fiate, quant'io veggo onde, tante son costretta del mio padre onorar la deitate; avvegna che ciò far molto diletta a me perciò che 'n esse riguardando, mi rendon la mia forma leggiadretta. La qual come sia bella in me pensando, di verdi erbette, di rami e di fiori adorno lei, d'ogni labe purgando. Sopr'esse prendo più lunghi dimori che 'n altra parte e, ninfa più felice, sento le grazie de' suoi primi amori che 'l mio fratel non fe'; di cui si dice che, bellissimo e crudo cacciatore, sanza aver di pietà nulla radice, di tutte rifiutando il caro amore, fin che sé vide in quelle ov'io mi miro, sé per sé consumando con dolore, in fior si convertì; il qual con diro occhio riguardo per pietà sovente e sanza pro di lui fra me sospiro. Né è sopra di me tanto possente la voce ch'al suo ben forse nemica gli fu per la follia della sua mente. E sì come a lui lieta fatica fu per le selve i timidi animali seguir, secondo la memoria antica, così a me; ma fine disiguali a ciò costrigne e move i nostri cani, le reti e l'arco e i volanti strali. Per fuggire ozio visito i silvani iddii e col mio coro mi balestro in luoghi ta' ch'a lui furono strani; e ciò che 'n el fu rigido e silvestro, cioè amore e 'l piacere ad altrui, questo m'è caro e più che altro destro. Chiunque fia per sua virtù colui che degnerà al mio bel viso aprire gli occhi del core e ritenermi in lui, io gli farò quel diletto sentire che più suol essere agli amanti caro dopo l'acceso e suo forte disire. Né per me sentirà mai nullo amaro tempo chi con saver la mia bellezza seguiterà, come già seguitaro color li qua', dopo lunga lassezza, lieti posai appresso i loro effetti nel ben felice della somma altezza. Cotali affanni e sì fatti diletti dal padre trassi; e dalla madre tegno i miei giocondi e graziosi aspetti. E la mia arte col sottile ingegno mi dier per nome Lia; e questo loco, al mio piacere assai più ch'altro degno, io signoreggio, accesa di quel foco del qual tutto arde il monte Citerea, e quel mi move a far festa con gioco e a servire all'amorosa dèa.
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